Dopo i fischi alla Scala per il «Don Pasquale» di Donizetti

Dopo i fischi alla Scala per il «Don Pasquale» di Donizetti Dopo i fischi alla Scala per il «Don Pasquale» di Donizetti MILANO. «Non me lo ha ordinato il medico di restare alla Scala»: parole di Riccardo Muti, poche ore dopo i fischi al «Don Pasquale» di Donizetti, l'altra sera alla Scala. Ieri mattina il maestro presentava il laser-disc del «Don Carlo» che inaugurò la stagione scaligera del '92-93, quello della famosa stecca di Pavarotti. Era ancora amareggiato. Per la prima volta i fischi hanno avuto anche lui come bersaglio. Le sue parole però non sono sembrate anticipare la clamorosa decisione di lasciare la direzione artistica del teatro. E' stato uno sfogo, un momento di malumore: nulla di più. Ha infatti detto: «Penso di restare ancora qualche anno alla Scala, cercando di migliorare sempre la qualità del lavoro». Ha anche aggiunto, subito dopo: «Mi piacerebbe però che anche il pubblico migliorasse. Vorrei che svanisse quella immagine di colore con cui noi italiani siamo conosciuti nel mondo. Vorrei che la gente avesse un modo di ascoltare la musica proprio della gente colta, senza fanatismi incontrollati». Come dire: io resto alla Scala e miglioro la qualità della musica a patto che anche il pubblico impari a essere un bravo pubblico. Quasi un avvertimento. Non è più un idillio, fra Muti e il pubblico; meglio, fra lui e una parte, anche molto esigua, del pubblico. A chi si rivolgevano le critiche di Muti? A un «piccolo grup¬ po di catoni», cioè i loggionisti. «Mi viene un moto di repulsione - ha rincarato il maestro - quando vedo che il lavoro di artisti seri viene svillaneggiato da gente che poi sghignazza nell'ombra». E' polemica dura e aperta. Se non interviene un gesto distensivo, le prossime esecuzioni di Muti alla Scala potranno avere vita agitata. Che cosa succederà, ad esempio, quando verrà dato «Rigoletto?» Muti è chiaro: «Chi si aspetta i luoghi comuni più triti, se li scordi, perché Verdi non l'ha scritto così». Il maestro ha difeso con passione il «Don Pasquale» andato in scena con la regia del giovane Stefano Vizioli: «Splendido. Un esempio di come quest'opera dev'essere fatta. Coloro che dicono il contrario vadano a vedere all'estero le pagliacciate immonde che vengono fatte, dove la gente non ascolta nemmeno la musica di Donizetti ma si sollazza con le trovate comiche dei registi». Invece quest'opera ha in sé anche «un'importante vena di malinconia, che deve trasparire». E' l'interpretazione di Muti: «Questa è la nostra musica, la nostra cultura. Io mi sforzo di rendervi omaggio affinché venga ben compresa nel mondo. Io sono molto fiero di questo "Don Pasquale"». Fin dal primo atto, martedì sera, è sceso dall'alto un veemente «Senza voce!», appena il soprano Nuccia Focile, la Nonna dell'opera, termina «Quel guardo il cavaliere». Muti scuote la testa, quasi si volta verso il loggione. Alla fine i fischi del loggione sono robusti, ma il pubblico in platea e nei palchi aumenta gli applausi quasi per sovrastarli. E quando Muti raggiunge il palcoscenico, i fischi colpiscono pure lui. E' la prima volta. Di qui la sua reazione, la sua amarezza. Dall'inizio della stagione lirica, stando alle cronache, i dissensi non sono mancati. Rimangono contenuti, deboli, alla prima della «Vestale» di Spontini, il 7 dicembre. Ma alla prima della «Rondine» di Puccini, il 16 febbraio, lo scontento raggiunge il livello dello schiamazzo: sotto tiro il cast dei cantanti, so- prattutto Denia Mazzola; si salvò bene il maestro Gavazzeni. Poi «Maometto II» di Rossini, l'& marzo: è il maestro Gabriele Ferro che stavolta non riscuote apprezzamenti. E adesso il «Don Pasquale». Che succede alla Scala? Che cosa agita i loggionisti, i «catoni», come li chiama Muti, per tradizione ritenuti i depositari esuberanti dell'intransigenza critica? Appassionati e imprevedibili, hanno sempre offerto colore e spunti alle discussioni. Ora sembrano degli scontenti cronici. Il sospetto che serpeggia fra i melomani milanesi è che ci sia sotto quasi una strategia del dissenso. Con chi ce l'hanno? Con la stessa Scala? E se sì, perché? E perché far sentire fischi e «buuh» solo alle prime, quando più forte è l'amplificazione dei media? Impossibile ieri rintracciare qualcuno degli Amici del Loggione. Da parte sua, il sovrintendente Carlo Fontana risponde così davanti alle telecamere della Rai, intervistato da Grazia Coccia: «Non commento. Siamo nella patologia». Alcuni loggionisti hanno infine dichiarato di aver visto che alcuni signori si sono avvicinati ad altri loggionisti e li hanno invitati ad uscire. Chi erano? «Poliziotti in borghese», è la voce. Solo una voce. «Io non c'ero - dice Anna Crespi, presidente degli Amici della Scala -. Fosse vero, sarei molto perplessa». Claudio Al tarocca «Non me lo ha ordinato il medico di restare in questo teatro» La rabbia Qui a destra Lucio Gallo. Sotto Nuccia Focile e Ferruccio Furlanetto

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