Trieste unita per Miran

Andreatta: sul delitto indagano somali e Onu, inutile sperare Andreatta: sul delitto indagano somali e Onu, inutile sperare Trieste unita per Mirali Un funerale bilingue all'operatore TRIESTE DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Ho vissuto solo otto anni con papà. Pochi, no?». Negli occhi storditi c attoniti di Ian, il figlio di Miran Hrovatin, l'operatore della VideoEst di Trieste, ucciso a Mogadiscio con l'inviata del Tg3 Ilaria Alpi, si leggono queste parole. Anche per Ian, che a otto anni ha dovuto superare una delle prove più difficili, ieri è stato il giorno più lungo, il giorno dei funerali del papà, il cui corpo senza vita ora gli sta davanti, chiuso nel feretro coperto dal tricolore della marina militare italiana. Nella chiesa di Sant'Antonio Nuovo, gremita di gente, Ian è rimasto in piedi, in prima fila, per quasi tutta la Messa; dietro la mamma, Patrizia, anche lei con la stessa tristezza negli occhi («avrei voluto parlarci ancora una volta», ha detto a voce bassa). In questo clima di dignitosa commozione, senza lacrime e senza retorica, ieri Trieste ha detto addio all'operatore morto nel cuore di Mogadiscio, il «Paese tranquillo» dove Miran pensava di essere approdato, dopo essere uscito indenne dall'inferno della Bosnia, nella quale lavorava da due anni. Chi temeva che la città non rispondesse al lutto di un suo cittadino bilingue (Miran apparteneva alla minoranza slovena) è stato messo subito a tacere: per la seconda voi- ta, dopo la morte dei tre giornalisti Rai triestini uccisi a Mostar da una granata alla fine di gennaio, migliaia di triestini si sono stretti attorno ai familiari della nuova vittima, a dimostrazione del fatto che solo le ideologie non hanno pietà. Accanto ai parenti, ai tanti amici e colleghi, a tanta gente comune, nella chiesa erano presenti il direttore del personale della Rai di Roma Pierluigi Celli e il ministro degli Esteri Beniamino Andreatta. A quest'ultimo è stato chiesto se verrà mai fatta giustizia e se i responsabili di questo terribile attentato verranno almeno identificati. «Se in Somalia ci fosse uno Stato tutto sarebbe possibile, ma le indagini per la morte di Miran Hrovatin e di Ilaria Alpi sono affidate all'Unosom e alla polizia locale», ha detto secco il ministro. Al termine del rito il vescovo di Trieste Lorenzo Bellomi ha parlato in sloveno chiedendo che «la morte di Miran tra un popolo massacrato dalla divisioni, dalla miseria e dalla guerra, possa essere anche per il popolo somalo un dono di riscatto». Un «dono di riscatto» che forse porterà alla famiglia Hrovatin un indennizzo di 200 milioni di lire, piccolo frutto di un'assicurazione che Miran aveva stipulato con un'agenzia svizzera. Per chi non è dipendente ma ò «free-lan- ce» la vita ha un altro prezzo. «Tutti e quattro sono morti per la stessa ragione: un lavoro in cui credevano. Speriamo che questo sacrificio serva a qualcuno», ha detto con voce ferma Daniela, la moglie di Marco Lucchetta, uno dei tre giornalisti uccisi a Mostar, che in queste ore è rimasta accanto alla vedova di Hrovatin. All'uscita della chiesa la folla ha applaudito il corteo funebre diretto al cimitero di Sant'Anna. Qui il feretro ha sostato alcune ore prima di essere traslato a Udine dove la salma verrà cremata. Miran voleva così. Elena Marco Miran Hrovatin, il cameraman ucciso

Luoghi citati: Mogadiscio, Roma, Somalia, Trieste, Udine