Il grande giorno della metafora

Il grande giorno della metafora UN GROVIGLIO DI PAROLE Il grande giorno della metafora Sottigliezze giuridiche per non decidere nulla ELLA sua allarmante tragicità è stata anche una seduta comica: si è conclusa con un nulla di fatto e anzi, io che di questi consessi mi intendo poco, vedendo i consiglieri che si alzavano dopo il discorso di Scalfaro, ho pensato che ci fossero cinque minuti di pausa prima di votare. Macché. Il Consiglio superiore della magistratura si riunirà, vedrà, delibererà. E allora? Tutto inutile? Soltanto una fiera di trombonate prevedibili con qualche sprazzo di sinistro umorismo? No: la linea l'ha dettata il Presidente della Repubblica che, con il suo tono perentoriamente oleoso, la sua costruzione di frasi a doppio bilancino interno con retromarcia e aria condizionata dalla situazione politica, ha sostanzialmente detto, parzialmente negato, agglutinato e deglutito che questa giudichessa di Palmi che ha ordinato il sequestro degli elenchi di una forza politica in lizza per le elezioni di domenica prossima, è da cacciare via sui due piedi, per il bene di tutti. Naturalmente il groviglio delle parole era di ben altra e intricata complessità, ma la sostanza era proprio questa. D'altra parte, niente di più facile: la dottoressa Omboni è in scadenza e basta non rinnovarle il visto di soggiorno, per rispedirla a casa. Ma poi il Consiglio superiore della magistratura dovrà decidere se processarla o non processarla, punirla o non punirla, cioè spedirla o no davanti a quella curiosa corte marziale dei giudici che è la sezione disciplinare. Il fatto politico certo è che ieri nessuno si è nascosto o ha potuto nascondere la gravità in sé del fatto: il sequestro degli elenchi dei candidati e dei dirigenti di un partito a centocinquanta ore dall'apertura delle urne e nel quadro di accuse infamanti. Restava da stabilire se la sostituta di Palmi abbia agito così perché incapace di capire la portata comunicativa e dell'interferenza politica della sua azione, oppure se lo avesse capito benissimo e magari ci avesse avuto anche gusto a farlo. E poi se la necessità tecnica di acquisire questi elenchi c'era o non c'era. E così via. Il fatto è che questa prima Repubblica, di cui con troppo anticipo si firmano certificati di morte, agonizza e sguazza nel linciaggio, nelle rivelazioni sui segreti giudiziari, nelle commistioni - quanto meno ipotizzabili e a getto continuo fra opinioni e umori politici dei magistrati e loro azioni penali. Esplorazione penale, l'ha chiamata Mauro Mellini, dando a questa nuova figura inquisitiva un carattere da medicina clinica del basso ventre; e ha parlato *i colpo di Stato. Devo dire che tutti, nessuno si è tirato in- dietro, hanno messo in ballo il colpo di Stato, per paventarlo o negarlo, ridicolizzarlo o mostrarlo nel dritto o nel rovescio delle metafore. Scalfaro sedeva composto come una statua di cera con la sua camicia a rigoni azzurroni. Il Presidente della Repubblica, forse per far dispetto al suo predecessore, ha suonato il violino e cantato la serenata al Consiglio superiore della magistratura, trattandolo come un consesso di nobilissima fattura e dignità, mentre aveva davanti a sé gli avanzi e gli esiti del più squisito e lottizzato parlamento partitocratico e della magistratura divisa per sette. E la sceneggiata dei membri del cosiddetto autogoverno è proseguita secondo un prevedibile copione: cuius regio, eius et religio, dimmi chi ti manda e ti dirò come ti schieri. Mellini era indignato e aveva accanto a sé Pio Marconi che aveva chiesto la seduta. Poi ha parlato il laico socialista Mario Patrono, professore di diritto a Padova, il quale ha detto che siamo oltre il fascismo, che dovette istituire i tribunali speciali, sulla dirittura del golpe. E ha aggiunto che i pentiti parlano come pappagalli a comando. Gli ribatte Palombarini, che ironizza sul golpe e svolge una orazione su quanto sono buoni i magistrati in questo cattivo Paese in cui tutti i poteri si sono dati alla fuga o alla latitanza. Tuttavia ammette: l'episodio di Palmi è «preoccupante», ma ci vuole pazienza perché i giovani magistrati, mandati allo sbaraglio, cadono preda di visioni «sostanzialistiche» e si comportano come matti. Per la reproba, basta non rinnovarle l'incarico. Criscuolo difende la Omboni e dice che in fondo la giudiches¬ sa non ha fatto un soldo di danno perché gli elenchi erano pubblici. Si scopre poi, con la distribuzione di un lancio di agenzie, che la Omboni ha preteso gli elenchi dei candidati di Forza Italia, che ancora non sono al Viminale, e anche l'elenco dei presidenti dei club Forza Italia. Criscuolo si vede sgonfiare la tesi innocentista fra le mani dopo aver detto «non vedo lo scandalo, vedo l'inopportunità». Due parole anche lui contro la tesi di un colpo di Stato e via. I consiglieri si azzuffa¬ no e fanno la voce grossa, Scalfaro suona una campanaccia dorata come un bidello e poi dice una delle sue frasi equilibrate: «La presidenza è grata a chi l'aiuta, ma non molto». Parla Teresi e poi Amatucci che introduce l'appassionante tema: i giudici devono stare attenti ai tempi, o no? Cioè devono guardare il calendario della politica quando fanno atti che turbano la politica? Tutti sostengono che i giudici non devono stare attenti ai tempi, ma al tempo stesso dicono che invece ci devono stare attenti. Come si fa a risolvere la «contraddizion che no '1 consente»? Ci pensa il Presidente della Repubblica con un suo detto lapidario: «Il magistrato non deve guardare i tempi, ma non può essere fuori dal tempo». Palla al centro. Intanto il consigliere Santoro, con un tono da Mangiafuoco e anche da «quando ce vo', ce vo'» romba che la seduta è illegale, illegittima, fuori dai margini. Replica Scalfaro che gli dà educatamente del cretino. 11 Presidente invita gli oratori, che vagano nelle loro visioni, a stare al tema. Parlano ancora Maurizio Landi il quale ci informa che «ci sono state delle particolarità che mi preoccupano» e Condorelli. Si discute se delibare o no sul comportamento da esplorazione penale. Il Presidente pronuncia una orazione di devozione sul Csm e lo invita a fare il suo dovere: «Aggiungo per scrupolo - dice - che se il Csm non decidesse nulla, chi ne uscirebbe leso sarebbe lo Stato di diritto». E spiega che si deve agire non per motivi politici, ma per salvaguardare l'indipendenza della magistratura. Poi si alza e torna al Quirinale. Ma l'incontro con Berlusconi è slittato ad oggi. Paolo Guzzanti Scade sabato 26 marzo il mandato al sostituto procuratore di Palmi L'interessata si difende: «L'ha chiesto la Digos» A lato, il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso

Luoghi citati: Padova, Palmi