IL VIZIO DI STRONCARE
IL VIZIO DI STRONCARE IL VIZIO DI STRONCARE Duranti e la sua editor, Carpirteli^ replicano a Giovanardi Troppi luoghi comuni per un giurato del Campiello, « miei libri hanno fatto la loro piccola strada, in Italia e fuori, con i loro mezzi naturali. E non le avrei scritto se la sua fosse stata solo una stroncatura: quando ho cominciato a pubblicare non intendevo certo piacere a tutti e conoscevo la prassi che vuole per i critici lo stesso privilegio assegnato dalla Costituzione al Presidente della Repubblica e dal Codice penale ai malati di mente: la non responsabilità. Ero pronta perciò a subire di tanto in tanto qualche beccata e a tenermela, per stupida o immotivata che mi sembrasse. E in fondo mi è andata bene: in vent'anni, tra i ritagli da giornali di tutto il mondo che conservo - e che potrei spedirle attraverso Gondrand se non fosse che mi costerebbe troppo - ci sono solo tre critiche sfavorevoli, tutte apparse sulla stampa italiana: Cherchi, Raboni e Golino. Mi sono tenuta quelle, senza protestare, e mi terrei anche la sua; ma prima di spiegarle perché stavolta rispondo, approfitto per dirle che considero la sua recensione di qualità modestissima: incaponita su punti inessenziali, impermeabile ai significati centrali (la ribellione al valore superstizioso della verità unica, l'allarme di fronte al rafforzamento della virieocrazia, l'identificazione del Nuovo Padrone nel detentore del telecomando); debole dal punto di vista della forza argomentativa; scorretta dal punto di vista deontologico. Santo Cielo, lei scrive, con fine ironia: «un computer, chiamato, chissà perché, Bonzo». E allora, già che c'era, doveva dire anche «una signora chiamata, chissà perché, Giulia, una ragazza chiamata, chissà perché, Adriana, un professore chiamato, chissà perché, Antonio». Vede che massa di argomenti critici ha sprecato? O forse nella frase non c'era ironia, lei voleva veramente sapere, non conoscendola, la ragione per la quale vengono assegnati i nomi alle persone, agli animali domestici, alle barche, alle case di campagna. Gliela rivelerò: si sceglie un nome perché chi deve decidere è attratto dal suono o dal significato di quel nome; oppure vuole così onorare qualcuno - vivente, defunto o immaginario. Francesca Duranti: rìs/mnde alla stroncatura clic Giovanardi ha fallo al suo ultimo romanzo valutare l'importanza dei riconoscimenti letterari essendo lui stesso giurato, e proprio al Campiello. Non abbandoniamoci, poi, al luogo comune che in Italia nulla cambia, e nemmeno nell'editoria. E' una generalizzazione pericolosa, che impedisce di vedere, dietro al prodotto, le persone che valgono e crescono. A me sembra di constatare due fenomeni, nel nostro campo: un minor numero di lettori (purtroppo) ma una sempre maggiore esigenza di qualità tra i lettori che restano. Questo significa molti problemi, ma anche un obbligo continuo a migliorare e quindi a cambiare. Tutto questo, in ogni caso, si collega al terzo punto toccato dal critico di Repubblica a proposito dei temi di fondo della nostra come di qualsiasi altra professione: onestà intellettuale, valori ecc., un discorso che richiede un contesto ben diverso da quello nel quale Giovanardi si è espresso. Decidendo di prenderlo sul serio lancerei allora un invito: apriamo un dibattito, parliamoci una buona volta allargando però il campo a tutti gli interessati, tutti coinvolti, dai critici ai giurati dei premi, a chi scrive e lavora alle pagine culturali dei giornali, oltre agli autori (se vogliono) e agli editori senz'altro. Questo sarebbe il discorso serio da fare». Estraendo quanti scheletri dall'armadio? [m. app.l Ed è una recensione scorretta, dicevo. Per esempio, nel mio libro c'è una ragazza siciliana che - a torto o a ragione, sono affari suoi rimprovera ai propri conterranei una consapevolezza ossessiva dell'identità sessuale; il suo ricordo della madre, paradigma di una femminilità ingombrante e enfatica, è affidato, ironicamente, a immagini, appunto, enfatiche e ingombranti. Lei, caro Giovanardi, con le sue pinzette maligne, tira fuori dal contesto la frase e la lascia cadere lì da sola, come se io seriamente descrivessi una donna a quella maniera. Inoltre non ha letto l'ultima parte, e questo è un suo diritto, visto che il libro non le è piaciuto. Ma perché recensirla? O, se proprio doveva, perché non farsela raccontare da un lettore dotato di intelligenza media, capace di afferrarne almeno il significato letterale? Ma se fosse tutto qui non le avrei mai scritto, neppure in privato. Bisogna accettare le stroncature, anche quelle che ci sembrano ottuse e pretestuose. Ma questa non è una stroncatura. La ragion d'essere del suo articolo, come lei sa benissimo, ha ben poco a che fare con il dovere di documentare il lettore: se il libro fosse davvero così brutto lei se ne sarebbe occupato troppo, con troppo rilievo; se non lo fosse il giudizio espresso sarebbe inesatto. Eh, no, qui non si tratta di informazione, ma di pura e semplice crudeltà, accanita, mortale; le sue due colonne sono la macroscopica manifestazione di un costume della critica giornalistica a cui gli scrittori che ne sono vittime - e gli altri per solidarietà hanno il diritto e il dovere di ribellarsi. Caro Giovanardi, la sua recensione non ha alcuna parentela né con l'intelligenza né con la cultura; ne ha di più con le imprese di quegli allegri ragazzotti che trascorrono una lieta serata dando fuoco a un gatto, o a un extracomunitario. Provi a rileggerla a mente fredda e si domandi se essa non possa sortire un effetto boomerang, disegnando al tempo stesso la figura del recensore come un probabile soggetto psichiatrico. Francesca Duranti
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