«Non vogliamo andare al governo»

«Non vogliamo andare al governo» «Non vogliamo andare al governo» Borrelli: è bene che si riduca il nostro potere ruzione livello altro bellata» «Certo, è ancora lì, tutt'altro che debellata, una corruzione che attraversa la burocrazia trasversalmente dai livelli più bassi ai più elevati». Allora? «Questa esplosione dei casi giudiziari di Tangentopoli deve servire come richiamo per il prossimo Parlamento, per adottare tutta una serie di misure a livello normativo e organizzativo che possano per lo meno prevenire le forme più gravi di corruzione ed evitare che diventi un fatto sistemico». In occasione delle elezioni del 5 aprile '92, la magistratura dette la sensazione di non muoversi. Perché? «Soltanto una sensazione. L'indagine nacque nella seconda metà del mese di febbraio, le prime settimane furono impiegate essenzialmente per mettere a fuoco la vicenda di Mario Chiesa, colto sì con i soldi nel cassetto, ma sulle cui passate attività bisognava indagare. Arrivammo a fine marzo con pochi dati». Ma stavolta c'è chi pensa a una situazione capovolta... «Quando il problema è nato, il voto non era stato ancora deciso». Dicono che la politica nel nostro Paese sia cambiata: lei è consapevole di aver contribuito a questo mutamento? Che effetto le fa? «Se sia avvenuto un mutamento nella vita politica, lo vedremo prossima legi- nella soltanto slatura». Mani Pulite, soprattutto all'inizio, vide il suo tempo scandito dai suicidi. Perché tante morti? «Credo che ogni suicidio abbia una sua storia personale. Per alcuni personaggi, è come se si fosse squarciato all'improvviso un velo davanti agli occhi: si sono resi conto che un certo taglio da essi dato alla propria attività di supporto al partito era qualche cosa che appariva accettabile nelle condizioni storico-culturali presenti fino ad un certo momento. Poi, improvvisamente, di fronte alla ribellione dell'opinione pubblica, una sorta di sommossa morale, si sono resi conto di questo fossato che si apriva tra loro e la gente. E sono crollati». Per tutti, così? «Forse la morte di un Gardini ha connotazioni diverse. E' qualche cosa che assomiglia di più alla scelta volontaria di chi si lancia dall'alto di una rupe per non andare incontro a una disfatta, di chi aveva tenuto lo scettro di un impero, e che poi ha rifiutato una sorta di immiserimento della propria figura. Con i mezzi che certo era riu¬ scito ad accantonare, Gardini avrebbe avuto una latitanza dorata e invece scelse la via del sacrificio». Politici, imprenditori, giornalisti e magistrati. Chi è il peggiore? «Non vorrei fare valutazioni di carattere morale. In ogni modo, sono più o meno tutti egualmente colpevoli: quanto più alta è la quota di potere che l'imprenditore o il finanziere o l'uomo politico detiene, tanto maggiore è la responsabilità». Prima dell'indagine Chiesa che cosa era stato fatto? «Parecchi interventi. Ma si esaurivano in un tempo più o meno breve, in uno spazio più o meno ristretto, rimanevano isolati. Parlo di vicende molto importanti: Teardo in Liguria, poi Milano, Torino». Eppoi, che cosa è accaduto? «In poche parole si potrebbe dire quello che va ripetendo il mio collega Davigo: sono finiti i soldi. Se vogliamo fare un discorso un po' più articolato, si è creato uno stato d'animo collettivo di rottura della solidarietà verso l'assetto precedente e così sono cominciate le collaborazioni con la magi- stratura. Perché se la gente si chiude nel silenzio e non collabora, non c'è niente da fare». Venerdì 30 luglio per strada e in Duomo durante i funerali per le vittime della bomba di via Palestro la gente vi ha applaudito, qualcuno urlava: "Alla forca alla forcai" Lei disse: "Quegli incitamenti per un momento potrebbero anche far piacere, ma non è giusto, non è questo il nostro ruolo, e certe grida mi mettono i brividi". Perché? «Perché l'uomo è debole, il magistrato è uomo, l'impatto delle urla o semplicemente dei sentimenti di una folla anche silenziosa è un impatto al quale è molto difficile sottrarsi: e genera turbamento, un turbamento emotivo. Tutto ciò è nemico della chiarezza, dell'analisi, della freddezza di cui deve poter disporre il magistrato sia giudice che pubblico ministero, anche se i ruoli sono diversi». Che cosa vuol dire? «Che il pm può anche, in certi momenti, assumere atteggiamenti di incisività e di aggressività che non sono consentiti ovviamente al giudice, ma tutto questo deve avvenire sempre con la testa fredda. Ecco: l'impatto con la folla è pericoloso, può dare alla testa e creare l'illusione di una missione vendicativa che non è propria nemmeno del pubblico ministero. Io lo temevo non tanto per me, che sono magistrato da anni, ma per i giovani». Ma la gente vi stava dando carta bianca... «Con la stessa rapidità con cui si eccita, osanna e applaude ai propri idoli del momento, la folla è disposta poi a buttar giù quegli idoli. La storia ce lo insegna. Noi non vogliamo essere idoli anche perché non abbiamo la possibilità di dare al Paese quello che talvolta il Paese sembra attendersi da noi, cioè la ricostruzione di una nuova realtà istituzionale e morale». A che punto è l'inchiesta sulla bomba di via Palestro? «Siamo in contatto con le procure di Firenze e Roma. Per il momento risultati concreti non ce ne sono». Quattro italiani su dieci sarebbero favorevoli alla pena di morte: lei che cosa ne pensa? «Che è semplicemente spaventoso. Posso dire che nella mia esperienza di presidente di assise, a Milano, durata un certo numero di anni, i giudici popolari che componevano le corti il primo giorno entravano con idee di vendetta, l'ultimo ne uscivano con sentimenti di pietà e di compassione per il «No adi spma sogiudi colpo ugna uzione iaria» delinquente, anche il più nero e il più incallito». Da Mario Chiesa a oggi, quanti sono gli imputati di Tangentopoli? «Intorno ai duemila». E' possibile, per Tangentopoli, la soluzione politica? «La soluzione politica sarebbe controproducente se dovesse tradursi in un'amnistia o in un condono puri e semplici, nel classico colpo di spugna che azzera le responsabilità del passato. La soluzione politica, che noi preferiamo chiamare soluzione giudiziaria o tecnica, potrebbe sì prevedere delle misure di indulgenza, ma dovrebbe accompagnarsi con modifiche da introdurre stabilmente nel codice penale e nel codice di procedura penale. Modifiche che valgano non soltanto a snellire il meccanismo del processo penale, ma anche ad introdurre delle forme di attenuazione della pena collegate con la collaborazione o con la spontanea confessione. Quindi? «L'attenuazione della pena dovrebbe essere condizionata alla collaborazione da prestarsi entro un lasso di tempo da precisarsi normativamente, che potrebbe essere nell'ordine di mesi dalla perpetrazione dell'illecito o dall'entrata in vigore della nuova legge». mWmS^Mmì: Che cosa potrà fare in futuro una magistratura divenuta così potente in pochi mesi? «Predisporre tutta una serie di meccanismi di controllo che non esistevano o non funzionavano: dovranno prevenire il ripetersi di quanto è accaduto. Non credo sia possibile spegnere ogni germe di corruzione (e addirittura qualche economista ha scritto come un piccolo tasso di corruzione favorisca lo sviluppo economico) ma bisogna attuare meccanismi all'interno soprattutto della pubblica amministrazione che portino a efficaci controlli, interni prima di tutto, eppoi di carattere politico che nascono dalla effettiva contrapposizione delle parti politiche: il rovescio di quello che è stato spesso realizzato in Italia. In fondo tutti traevano benefici da un certo stato di cose e bisogna dire che anche le opposizioni non hanno fatto il loro mestiere». Dottor Borrelli, andrà alla presidenza della corte d'appello oppure preferisce rimanere il Torquemada di Milano? «Le dico la verità: non ho ancora deciso. Ma una cosa la so: io non mi sento per nulla Torquemada... ».

Persone citate: Borrelli, Davigo, Gardini, Mario Chiesa, Teardo

Luoghi citati: Firenze, Italia, Liguria, Milano, Roma, Torino