Immortalò Lenin per dieci rubli

Alfred Eberling e l'arte russa nascosta Alfred Eberling e l'arte russa nascosta Immortalò Lenin per dieci rubli MILANO NA delle poche consolazioni di questo prevedibile mestiere, a contatto spesso con mostre stantie e con nomi ogni volta risaputi, è quella di concedersi talvolta qualche scoperta. Ed è stimolante, a questo proposito, la preziosa mostra di Alfred Eberling, che una coraggiosa galleria milanese, la Capitani di via Senato 36, propone dopo altre ricognizioni su quell'arte nascosta russa, che per decenni è stata rinchiusa nelle cantine dell'ideologia. Inutile cercare il nome di Eber- < ling nelle storie della pittura russa, per esempio in quella pur valida di Sarabianov. Forse a causa della sua nascita polacca (1872), ma soprattutto della sua prensilità e della sua tempra volage e cosmopolita, Eberling sembra davvero soltanto figlio del proprio secolo e di nessuna geografia. Anche se studiò a Pietroburgo e con il grande Repin, il ritrattista di Musorgskij, di Turgenev e di tante scene di genere cechoviano. Ma si spostò anche a Monaco, per entrare nello studio del non meno corteggiato von Lenbach. Piace subito, e molto. Espone a Parigi accanto a Rodin, la critica lo vezzeggia. E' libero nel tratto, sciolto negli scorci di prospettive, risente un poco del gusto cartellonistico francese, alla Cheret, ma sa subito contenere la coquetterìe facile e decorativa. Al Museo di San Francisco è ancora apprezzato un suo letteratissimo quadro, leggermente pompier negli intenti, ma non nella resa pittorica: Sogno d'artista. Il pittore, vinto dalla stanchezza, s'accascia sul cavalletto ed intorno a lui danza Eberling, «Tara Karsavina» leggiadra e colorata la Pace fra le Nazioni. Potrebbe diventare un Sert russo (sicuramente sarà stato amico di Misia, lui così legato a Diaghilev, alla Pavlova e sentimentalmente alla grande Karsavina, che non smette di ritrarre): si occupa anche degli affreschi della Chiesa Russa di Costantinopoli e della rivista 1 fuochi. Succede a Serov al Kuingi, accanto al più visionario Bilibin. Ma lo salva il viaggio in Italia, dove si placa, prensile spugna stilistica, prendendo studio a Firenze, lungo il Mugnone. Diventa una sorta di post-macchiaiolo emigré, come rivelano certi scorci di case coloniche alla Cecioni, o certe sagome reclinate alla Ghiglia. Eppure ha già in sé qualche cosa di mitemente futuristico: certe figure non sarcastiche, ma lievemente caricate, fanno pensare ai nostri Dudreville, a Bonzagni, alla Bisi Fabbri. Un liberty già amareggiato e sospinto verso l'espressionismo: come dimostra la fulva moquette d'una copertina dei Demoni di Dostqjevskij, le prove di tinta ed una bocca bomarzesca da mostro che sembra voler divorare i colori. O il simbolistico frontespizio d'uno spartito di Ciaikovskij, con una donna velata inseguita da una labirintica fuga di scale e dal fumo di un tripode. Spesso spande intorno un cromatismo profumato da ouverture di Rimskij-Korsakov, tal altra il raptus rabbioso di un notturno di Skriabin. Splendidi i suoi taccuini da tasca. Persino il regime lo lascia stare: e gli chiede di disegnare la faccia di Lenin per il primo biglietto da dieci rubli. Dalle sognanti Beatrici al cerbero rosso. E lo sventurato rispose. [m. vali.] < Eberling, «Tara Karsavina»

Luoghi citati: Costantinopoli, Firenze, Italia, Milano, Monaco, Parigi, Pietroburgo, San Francisco