Gli orfani innocenti della Prima Repubblica
Poche persone per il comizio allo stadio. Il leader: «Noi vinceremo» IL PALAZZO Gli orfani innocenti della Prima Repubblica sa loro, chi ci pensa? Chi ci pensa, adesso, chi si preoccupa, chi dedicherà un po' di tempo, un po' di cuore, un po' di solidarietà ai 160 lavoratori licenziati o malamente cassintegrati del psi? Non vedono una lira da dodici mesi, di liquidazione non se ne parla nemmeno. Così, ogni mattina, in gruppi sempre meno folti, in abiti sempre meno eleganti, mesti giovanottoni ex craxiani e già sfavillanti segretarie ormai senza trucco, con lo sguardo triste e con la pupa al seguito si piazzano sotto gli uffici residuali del partito, a via Tomacelli, e fischiano, fischiano per dei diritti che nel loro caso sembrano meno giusti di quelli degli altri. E solo perché fino a ieri sono stati pagati, e forse anche un po' viziati (ma neanche tanto, poi, e non tutti) con i soldi della corruzione. Vittime innocenti di Tangentopoli, perciò, che reclamano giustizia e non ottengono nemmeno un po' di compassione. Quando la pietà, appunto, diventa un optional, e il più delle volte è negata, oppure soffocata sotto il peso dell'indifferenza o del più iniquo «se-lo-sono-meritato». L'altra settimana uno di loro s'è incatenato giù per strada. Un altro, che era riuscito a penetrare negli uffici, a un calorifero spento. Malato di tumore, è stato giudicato un «caso umano» e liquidato al volo con dieci milioni. Ma il punto è che questi «casi umani» di fine regime, anche se non si vedono o ispirano al limite un senso di fastidio, cominciano a essere diversi. Piccole vicende strazianti, soprattutto individuali, annidate nelle pieghe della cronaca, vittime incolpevoli e incomprese della partitocrazia a cui sembra venga interdetto perfino il beneficio del compatimento. E se pure è vero che l'angelo della pietà difficilmente stende l'ala sui sentieri della vita pubblica, forse vale la pena di dedicare un pensierino a questo emergere di detriti proprio in mezzo alla campagna re i 1 eme elettorale, quando stanno per decidersi le magnifiche sorti - e magari pure progressive - dell'Italia politica. Già fa impressione, nella sua marginale spettacolarità, la storia dell'impiegato della de che senza più lavoro va in tv e assicura di esser disposto a vender un rene. Ma quell'atmosfera un po' alla Alberto Sordi si fa gelida, anzi tragica, disperata, di fronte al gesto di un'altra impiegata di Palazzo Sturzo. Si chiamava Adele Greci, pure lei pensionata a forza da quando gli industriali hanno (finalmente) smesso di scucire i soldi e la de ha ridotto il personale; pure lei, a quel punto, senza assegni mensili (anche per via di una richiesta inviata in ritardo). Pure lei, dietro a quell'improvviso intrico di anzianità pregresse, contributi, cassa integrazione, «scivoli» e quant'altro, deve aver avvertito che stava crollando un mondo. Per farla breve, s'è buttata dalla finestra del quarto piano. Un articolo in cronaca, e addio. E addio anche a Vittorino Striglione, galantuomo liberale di Teramo, a lungo bandiera del pli abruzzese. All'ultimo congresso di incarognimento e dissoluzione del suo vecchio partito non era voluto neanche andare. Della sorte del pli, di De Lorenzo e dei miserandi, grotteschi appetiti che s'erano scatenati su un partito di ex signori ridotto un cadavere gliene ha parlato, al ritorno, il figlio. «Adesso - ha risposto Vittorino - posso morire anch'io». E così è stato la notte appresso, tristemente, rapidamente. Il silenzio degli innocenti, ora, nel frastuono preelettorale. Martiri quasi senza più causa, né visibile misericordia. Filippo Ceccarelli Bili | se
Persone citate: Adele Greci, Alberto Sordi, De Lorenzo, Filippo Ceccarelli Bili, Sturzo, Vittorino Striglione
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