In cella dirigeva il narcotraffico di Alberto Gaino

Sarà processato il boss Ursini Sarà processato il boss Ursini In cella dirigeva il narcotraffico «Sono stato calunniato e chiedo giustizia». Il gip Piera Capidoglio ha interrotto Mario Ursini: «Questa è un'udienza preliminare. Potrà parlare in tribunale, al processo». E lo ha rinviato a giudizio per i reati proposti dai pm Elisidoro Rizzo e Gabriella Viglione: associazione per delinquere e traffico di stupefacenti. Con Ursini, il 20 settembre prossimo, compariranno davanti alla terza sezione penale Rocco Pronestì e Basilio Franzè, considerati i suoi ultimi luogotenenti; un fratello di quest'ultimo, Giuseppe; i gregari Vincenzo Calliari e Biagio Mallia. Un settimo imputato, Martino Polito, è latitante. L'inchiesta fu avviata dalle rivelazioni di quattro «collaboratori di giustizia», cui si sono aggiunte in questi ultimi giorni le dichiarazioni di altri pentiti, dell'organizzazione siciliana della Stidda, che con la cosca di Ursini avrebbero fatto «affari». Droga, sempre droga. Le chiamate di correità di Antonio Mangione, un pregiudicato che ha deciso di collaborare con la direzione distrettuale antimafia, e degli altri pentiti hanno aperto uno squarcio su un traffico di stupefacenti in grande stile (50 chilogrammi di eroina a settimana, per un valore sul mercato torinese di 30 miliardi) dal luogo più impensabile: il carcere. Ursini vi è restato per sette anni - dal 1982 al 1989 - e attorno a lui, secondo l'accusa, ruotava quel piccolo mondo di malavitosi che cercava dietro le sbarre Comicizia» importante per fare carriera e soldi nel proprio ambiente. Basilio Franzè era uno dei tanti: finì in galera e seppe scegliersi la compagnia giusta. Ne uscì «valorizzato». Anche perché - ha ricostruito un dossier della Questura per la Corte d'Assise che nei mesi scorsi ha deciso di confiscargli Mario Ursini s rà processato oltre un miliardo di beni Franzè sfruttava a dovere i permessi-piemio ottenuti per buona condotta: portava gli ordini dei capi detenuti agli uomini della cosca. Così ne scalò rapidamente la gerarchia. All'inizio degli Anni Ottanta la moglie lavorava ancora in fabbrica. Pure Mangione, tornato rapidamente in cella, si era ritagliato un ruolo analogo: nelle sue chilometriche deposizioni ha raccontato ai pm di essere stato detenuto nelle stesse sezioni, soprattutto nel carcere di Alessandria, con Ursini e gli altri. Ha rivelato confidenze, rapporti, struttura della cosca in cui lui aveva acquisito gradualmente peso. Ieri, nel corso dell'udienza preliminare, gli avvocati Masselli, Macchia, Ronco e Zancan hanno chiesto nuove indagini sui luoghi e i periodi di detenzione di Mangione e dei suoi accusati per verificare la «compatibilità» fra le dichiarazioni e l'effettiva possibilità che, in carcere, il trafficante sia entrato in contatto con costoro. Ma vi sono anche altre confessioni. In particolare di Edoardo Marzo, proprietario del ristorante Cannon d'Oro di Piossasco, che era uno dei centri di smistamento dell'eroina. Nella conferenza stampa indetta in seguito all'ultimo arresto di Ursini (21 aprile 1993) il procuratore aggiunto Maddalena, nel sottolinearne il ruolo («E' il boss più potente a Torino»), aggiunse che la rete di traffico e riciclaggio di Ursini si appoggiava a numerosi ristoranti, negozi di abbigliamento e altri esercizi commerciali del centro e della periferia. Settimane dopo arrivò una lettera al giornale. «Chiacchiere di pentiti». Mittente: Mario Ursini, carcere di Asti. Alberto Gaino Rinviato a giudizio con due luogotenenti Da sinistra Rocco Pronestì e Basilio Franzè Sono considerati gli ultimi luogotenenti del boss calabrese Mario Ursini Mario Ursini sarà processato

Luoghi citati: Alessandria, Asti, Piossasco, Torino