La nostra Normale? E' finta di Luciano Gallino

La nostra Normale? E' finta La nostra Normale? E' finta L'Italia sta ancora aspettando una scuola vera che sappia costruire il servitore dello Stato PRENDIAMO due casi fra i tanti di efficienza comparata, entrambi nel campo dei beni culturali. A Parigi I mettono in piedi un gruppo di lavoro composto da funzionari provenienti da una ventina di ministeri e direzioni municipali diverse, più buon numero di consulenti esterni, e in poco più di cinque anni realizzano (spendendo meno della metà di quello che l'Italia ha speso per i mondiali '90) una colossale impresa culturale-archeologico-urbanistica: raddoppiano il Louvre, ch'era già il più grande museo del mondo. A Roma impiegano quasi cinquantanni per decidere che l'uso di una proprietà dello Stato (palazzo Barberini) passi da un ministero ad un altro, ovvero dalla Difesa ai Beni culturali, senza che di mezzo ci sia da spostare un mattone o compiere due palmi di scavo. Uno scarto così macroscopico e, ahimè, rappresentativo - nella capacità di concepire ed attuare progetti pubblici di largo respiro si può certo imputare a molti fattori, come la diversa cultura poli- tica, la particolarità delle leggi, i modelli differenti di burocrazia. Ma uno va messo in primo piano. Porta i nomi di due scuole al tempo stesso concorrenti e complementari, giacché gli studenti possono scegliere tra le due o passare dall'una all'altra, l'«Ecole Normale Supérieure» (Ens) e l'«Ecole Nationale d'Administration» (Ena), di cui in Italia, al di là di assonanze di nome (la pur illustre Normale di Pisa, la Scuola superiore di Amministrazione di Caserta) non è mai esistito né esiste l'equivalente. Scuole, l'Ens e l'Ena, in superficie quanto mai differenti. Bicentenaria quest'anno la prima, parto dell'immaginario educativo di rivoluzionari che già pensavano in termini imperiali. Non ancora cinquantenne la seconda, costituita nel 1946-'47 come elemento integrante di un vasto disegno di riforma del servizio civile francese, ossia della bu¬ rocrazia statale - la riforma che l'Italia sta ancora aspettando. Più simile a una università la Normale, con la sua vastissima offerta di corsi nei più vari settori delle discipline umanistiche e delle scienze sociali. Più vicina invece al modello di una business school l'Ena, divenuta ben presto celebre nel mondo per la sua abilità nel formare menti dai vasti orizzonti e insieme dalle solide competenze specialistiche. Ma sostanzialmente convergenti, le due scuole, per intento e per effetti formativi. L'intento di formare in numero adeguato vuoi capaci ed efficienti servitori dello Stato, vuoi intellettuali che dello Stato abbiano il senso anche quando magari ne criticano aspramente strutture e funzioni. E gli effetti: la diffusione a tutti i livelli dell'apparato pubblico e del privato di un personale politico, intellettuale, amministrativo che possiede un metodo comune di lavoro, sa come impostare e far avanzare un progetto pur ambizioso, e si capisce al volo al di là delle specializzazioni individuali grazie a codici lessicali e simbolici condivisi. Con il risultato che due o tre dozzine di normaliens e di énarques attorno a un tavolo anche se tra loro ci sono, come nel caso del progetto grande Louvre, mappe cognitive svariatissime come quelle di funzionari, storici dell'arte, ingegneri, archeologi, economisti, architetti, geologi e quant'altri - riescono a macinare più cose che non un intero ministero italiano, al di là dell''mpegjiù o delle competenze individuali dei suoi dipendenti. Il problema principale della burocrazia pubblica, come di ogni tipo di organizzazione che non sia deliberatamente parassitaria, consiste infatti nell'evitare che individui adulti i quali posso¬ no vantare ciascuno un quoziente d'intelligenza dell'ordine di 140, cioè prossimo al genio, prendano decisioni collettive valutabili con un quoziente d'intelligenza pari o inferiore a 70, cioè prossimo all'idiozia. Che è, alquanto spesso, il caso italiano. Nel fare la differenza sono importanti le strutture, i regolamenti, i modelli organizzativi. Ma lo è altrettanto la formazione, di base e specialistica, intellettuale e professionale dei quadri dirigenti. I rivoluzionari francesi del 1794, tra una botta di ghigliottina e un discorso in gran lingua da consegnare ai posteri, lo avevano capito benissimo. Perciò avevano fondato l'«Ecole Normale Supérieure». Aspettarsi che si propongano di fare qualcosa di simile i quasirivoluzionari italiani del 1994, tra alleanze suicide, sgambetti agli amici e pronunciamenti alla tv in dialetto neopolitichese, è forse aspettarsi troppo. Ma ci resta sempre l'ottimismo dei sentimenti, visto che la ragione proprio non ce la fa. Luciano Gallino

Persone citate: Barberini

Luoghi citati: Caserta, Italia, Parigi, Roma