Povero Arnett, tutto guerra e niente vita privata di Fabio Galvano

Povero Arnett, tutto guerra e niente vita privata Tv e giornali inglesi attaccano l'inviato della Cnn, eroe di Baghdad: è un folle, solo lui non se ne rende conto Povero Arnett, tutto guerra e niente vita privata «Se volete incontrarlo, fate esplodere qualche bomba in città» LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Peter Arnett abita a McLean, in Virginia. Se volete incontrarlo, fate esplodere qualche bomba in città. Mentre la folla fugge, in preda al panico, lui è quello che corre verso le esplosioni urlando in un microfono». E' una presentazione dissacrante del giornalista di guerra più celebre al mondo, dell'uomo che sugli schermi della Cnn portò la guerra del Golfo e il bombardamento di Baghdad - in diretta - in milioni di case. Ma di fronte alla storia di quella vita in prima linea c'è anche chi sputa veleno e gli dà tranquillamente del pazzo. Anzi, dice che il suo protagonismo lo fa sembrare un imbecille, per usare un eufemismo italiano di gran lunga meno of¬ fensivo dell'originale inglese. Non c'è satira ma aperta critica nella parole di Christopher Morris, produttore televisivo e co-autore di un programma satirico di grande successo della Bbc-2, The Day Today, il giorno d'oggi, una velenosa rassegna delle notizie della settimana. Morris - e la sua voce non è forse isolata - se la prende con l'ultima fatica di Arnett: un libro autobiografico che s'intitola Live from the Battlefield, in diretta dal campo di battaglia, e che in Italia è appena uscito (Sperling & Kupfer) semplicemente come Campi di battaglia. E' la storia di un uomo a cui manca qualcosa, sostiene Morris: «Un uomo con un buco esistenziale riempito con la guerra». Lo stadio finale, insomma, di quella specializzazione così particolare nel mondo del giornalismo che è 1'«inviato di guerra». Ma non tutti gli inviati di guerra sono come Peter Arnett, neozelandese, nato giornalisticamente nel Vietnam e incoronato a Baghdad quando fu l'unico a restare col naso rivolto al cielo mentre i bombardieri americani scaricavano missili e i pochi altri giornalisti occidentali rimasti si erano rinchiusi nel sotterraneo dell'hotel Al-Rashid. «Chiunque con un po' di sale avrebbe mancato la notizia per salvare il corpo», afferma Morris in un polemico articolo comparso sull'Independent, che riflette la crescente insofferenza britannica per il dilagante giornalismo protagonistico in tv: «Chiunque, tranne Arnett». Peggio: «La sua lucidità non si estende alla percezione della propria follia, così facilmente deducibile dal lettore». Il libro, secondo lui, rivela l'immagine triste di un uomo di 57 anni per cui il pericolo è veramente parte essenziale dell'essere: «Se la tua vita è fare l'inviato di guerra, la noia mortale del non farlo è peggio che il rischio di finire come un pezzo di immondizia in Iraq». Questo è il primo libro di Arnett. «Prima non ne avevo mai scritto uno - spiega - perché ne avevo visti troppi inutili, e comunque ritenevo di avere dato il meglio di me nei miei servizi giornalistici». Ma Morris incalza, incurante della fama di Arnett. Se la prende, per esempio, con la «schizofrenia del suo stile»: pomposo quando liquida in poche pagine la prima metà della sua vita, fino a quel giorno in cui scoprì in Vietnam la sua droga e si fece a nuoto il Mekong per dare la notizia del golpe nel Laos; e invece, ammette nell'unico complimento, «uno sgorgare di chiarezza adrenalinica» di fronte al conflitto. Ma lì sta il rimprovero: «Duecento pagine sull'emozione di giocare a rimpiattino con i proiettili, su elicotteri pieni di corpi sanguinanti, e pochi capoversi per la sua vita privata». Ecco la schizofrenia: «Lontano da una guerra, la sua scrittura si disintegra». Gli inglesi hanno il dente avvelenato con gli «eroi» televisivi delle guerre di tutto il mondo; e Arnett con il suo libro capita al momento giusto - dopo l'indigestione bosniaca - a fare da parafulmine. «I resoconti di guerra - afferma Morris - sono creati e distrutti dall'ego dell'inviato. L'inviato è colui che se vi porta con sé in una trincea in fiamme fa un buon lavoro. Ma quando si lamenta per la scheggia che s'è preso nel braccio (Arnett compreso, n.d.r.) fa la figura dell'imbecille». E poi rileva una mezza bugia nel titolo stesso del libro. Davvero «in diretta»? Prima di approdare alla Cnn nel 1981, Arnett aveva trascorso metà della sua carriera riscrivendo a tavolino i notiziari di guerra della Associated Press. Ma soprattutto, in chiave antieroica, Arnett suggerisce tristezza: «Sembra pronto a morire legato a un missile, gridando: "In battaglia, vogiio sentire l'odore della noti- Fabio Galvano La sua autobiografia? «La storia di un uomo cid manca qualcosa» Peter Arnett, della Cnn, l'inviato di guerra più famoso del mondo

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Italia, Laos, Londra, Vietnam, Virginia