VATTIMO-QUINZIO Dio che cerchiamo di Sergio Quinzio

Il filosofo e il teologo a confronto: il ritorno della religione, il peccato, l'inferno, il magistero del Papa Il filosofo e il teologo a confronto: il ritorno della religione, il peccato, l'inferno, il magistero del Papa VATTIMO-QUINZIO // Dio che cerchiamo w] TORINO 1 NVECCKIO - dice Gianni a Vattimo - . Ho 58 anni, si av■ vicina il momento in cui ti~ I rerò le cuoia». Il filosofo spiega perché da un po' di tempo ha ripreso a parlare di Dio. In alcuni suoi articoli recenti si potevano notare accenni a una ricerca religiosa. Gli abbiamo chiesto di parlarne, e ha scelto di dialogare con il teologo Sergio Quinzio. Un dialogo a distanza, per telefono: Vattimo in una stanza della Stampa, Quinzio a casa sua a Roma. Comincia Vattimo: «Parlo di nuovo di religione perché la problematica religiosa si è ripresentata: sono cadute le ragioni sistematiche dell'ateismo (scientismo, storicismo hegeliano e marxista) e ci sono questioni che appassionano (manipolazione genetica, eutanasia ecc.). E ne parlo di nuovo anche per ragioni personali. Ma non credo che sia tanto l'avvicinamento alla morte che avvicina alla religione, quanto l'esperienza vissuta, le persone più care che muoiono. Una ragione rispettabile». «Io la trovo serissima», dice Quinzio. «Di funerali ne ho visti abbastanza, di recente - riprende Vattimo -. Mi autocritico: "Ridiventi religioso solo per paura, per lagnosità, per tristezza?". Per la verità ho cambiato un po' idea a cominciare dal Pensiero debole, che è dell'83. Dopo la fine del sogno del '68, il pensiero debole è già il tentativo di vedere la storia come un progresso paradossale, nel senso dell'impoverimento, della riduzione. La secolarizzazione è il processo di riduzione promosso dal cristianesimo e dalle filosofie che elaborano il messaggio cristiano: una promozione attraverso l'indebolimento della potenza, delle strutture autoritarie e rigide». «Le scelte teoriche coinvolgono l'esperienza personale - concorda Quinzio -. Io ci sono nato dentro, alla fede. Il 25 aprile del '45 ad Alassio, il giorno che viene ricordato come giorno di Liberazione, per me è stato un incubo: è stata abbattuta la porta di notte e hanno portato via mio padre, che era un povero capo dei vigili urbani e non aveva fatto niente di male. Ho visto coi miei occhi uccidere dei ragazzi a decine e non ho mai visto un vescovo che ha detto qualcosa. Non avevo ancora 18 anni. Poi ho conosciuto il formalismo di un'Accademia militare. Ho visto l'insufficienza del mondo e ho cercato salvezza nell'approfondimento della fede». «Anche le mie origini religiose sono avviluppate con eventi politici - racconta Vattimo -. Tornato a Torino dallo sfollamento in un paese della Calabria dove facevo il chierichetto, sono stato mandato all'oratorio in virtù del suggerimento di due droghiere di quartiere, dette "le sorelle De Gasperi" perché cattoliche. Lì ho incominciato a interessarmi di religione in un ambiente fortemente connesso con la politica. Sono stato dirigente dell'Azione cattolica, facevo prediche nelle parrocchie di campagna». «Non sono mai stato attratto da un cattolicesimo politico - interviene Quinzio -. Non ho mai votato in tutta la mia vita, non ho mai parte- cipato a nessun movimento. Neanche oggi. Le vicende del mondo le ho lette alla luce dell'Apocalisse: un mondo che decade allontanandosi continuamente da Dio». «E' un'altra differenza tra di noi nota Vattimo -. LApocalisse per me svela il senso di ciò che è accaduto, dell'impoverimento della storia, non lo rovescia. Dio si fa disfacendosi. Penso alle parole del Vangelo: "Chi non perde l'anima in questa vita, non la salva nella vita eterna". E mi scandalizzo quando il Papa mi impedisce di credere perché dice delle cose che, secondo me, non stanno non solo in terra ma neanche in cielo». «Cioè?». «Ma càspita! Se il Papa, appellandosi alla "legge naturale", rifiuta il controllo delle nascite, in modo che in Brasile sempre più bambini vengano al mondo per essere poi ammazzati, oppure vieta l'uso del preservativo col rischio di pigliarsi l'Aids - e trascuro altri aspetti che mi riguardano più da vicino, come quando dice che l'omosessualità è un disordine oggettivo -, beh, io a una natura così non ci credo. Purtroppo, o per fortuna, i preti non si sono mai scandalizzati tanto dell'omosessualità, purché uno andasse a confessarsi. Non vedo perché Dio dovrebbe essere il custode del retto uso di certe parti del corpo. Ho sempre dato l'8 per mille alla Chiesa; adesso ci penserò due volte: non posso continuare a essere insultato duramente. Io sono riconoscente alla Chiesa: se non mi sono completamente disfatto da me, lo devo probabilmente alla mia educazione cattolica... Non ho quasi nessun senso del peccato. Mi sforzo di polemizzare contro una visione troppo disciplinare del cristianesimo. Cosa prevale, la verità o la carità? Uno come Buttiglione direbbe: se tu credi che la carità sia anche quella di accettare l'omosessualità, toglitelo dalla testa, perché se non c'è la verità, non c'è la carità». «Tu dai troppa importanza alle parole del Papa sull'etica», osserva Quinzio, «vivi il cattolicesimo in funzione di un ruolo storico-mondano. Io che proietto la mia fede, viceversa, in una tensione messianica, che così follemente attendo questo evento miracoloso da parte di Dio, è chiaro che le affermazioni della Veritatìs splendor mi lasciano freddo. Il significato della fede cristiana non si misura sulle affermazioni moraleggianti che fanno i Papi o i vescovi o i monsignori di Curia. Non è questo il punto. Lo diventa quando tu parli di "non senso" del peccato. Io storco un po' il naso, perché "non senso" del peccato vuol dire "non senso" della Croce, vuol dire che non c'è nulla dal quale si debba essere salvati». «Non dico che il peccato non ci sia - precisa Vattimo -. Ma il peccato è la mia finitezza, la mia povertà, il fatto che certe volte sono costretto a sparare contro uno che mi viene contro con un fucile. Il peccato è come un'esclamazione: "Porca miseria, guarda in che stato sono, che devo fare anche certe cose!". Ma cosa ho fatto?! Rubo la marmellata, commetto atti impuri. Davvero pensi che Dio s'incazzi per questo?». «Le idee di Dio mi restano piuttosto oscure - confida il teologo -. Ma guardiamo alla Bosnia: l'orrore che proviamo è ancora legato al senso del peccato». «Hai ragione tu - ammette Vattimo -. Di fronte alla Bosnia cosa dico? Che non c'è il male nel mondo? Tuttavia penso che il giudizio di Dio sugli stupratori della Bosnia non sarà identico a quello dell'eventuale tribunale internazionale. La misericordia di Dio cos'è? Non è soltanto giustizia. Tu credi all'eternità dell'inferno?». «Io sì, certo», risponde Quinzio. «Ecco, io no. Dio avrà pietà dei fondamentalisti che combattono in Bosnia. Dice l'Antico Testamento: "0 Babilonia, beato colui che sbatterà i tuoi bambini contro 0 muro". Voglio prender sul serio questo Dio qui? Se Dio davvero fosse uno che ispira queste parole a cui devo ancora attribuire un senso letterale, ebbene, grazie no, non è 0 mio Dio. Però trovo nel Nuovo Testamento sufficienti ragioni per pensare che quelli erano dei modi di dire». «Un'operazione troppo semplificatrice», giudica Quinzio. «Io sostengo - insiste Vattimo che Cristo è venuto a interpretare in maniera meno giustizialistica, meno drammatica, il contenuto dell'Antico Testamento. Cristo segna il passaggio da un mondo a un altro. Pensare che ci sia uno sviluppo dell'interpretazione, nel senso di una maggiore spiritualità dei significati nella Scrittura, questo credo sia abbastanza cristiano». «Nella Scrittura le contraddizioni ci sono, e sono anche enormi - rico¬ nosce il teologo -. Ma non si può giungere al punto di dire che non c'è il peccato. Il peccato è la causa della morte, della vecchiaia, della guerra, della malattia. Se togli il buio non puoi più parlare di luce. La tragedia cristiana è il non poter prescindere da questa doppia presenza». «Fra dieci anni - dice Vattimo ritroverò forse il peccato, quando non saprò più commetterne... Ti domando: c'è un limite all'interpretazione spiritualizzante della Scrittura?». «Secondo me, sì - è la risposta di Quinzio -. E' il punto fondamentale». «Ma è la carità, non l'autorità della Chiesa o il diritto naturale». Quinzio: «Io dell'autorità della Chiesa non ho parlato». Vattimo: «Allora neanche la lettera della Scrittura, perché anche la lettera deve essere interpretata». «E' da vedere se questo processo di spiritualizzazione sia quello buono, valido. In base a quale argomento?». «In base all'affetto di Gesù - risponde Vattimo -. "Non vi chiamo più servi, ma amici". Mi sforzo di interpretare ragionevolmente i detti di Gesù espungendone alcuni che mi sembrano contraddittori con la sostanza del suo insegnamento». «Che gli attribuisci tu», accusa il teologo. «Ma lui parla a me, non alla filologia». «Marcione ha fatto come te: gli è rimasta una metà del Vangelo e un paio di lettere di San Paolo. Dovessi giudicarti secondo le mie categorie, direi che la tua idea è anticristica: l'idea di un uomo che ritiene di poter fare con le proprie forze ciò che Dio non ha ancora fatto. Molti teo- logi di oggi la pensano comunque come te. Kùng, per esempio». «Bollato come Anticristo! - esclama Vattimo -. Cos'è per me la fede? La speranza che Cristo sia riuscito a sconfiggere la morte cominciando a sconfiggere il peccato. Il peccato è la violenza... Io spero di non morire del tutto». Quinzio: «"Tutto quello che pregando chiederete, abbiate fede di riceverlo e lo otterrete". La mia prima moglie è morta a trent'anni. Io ho pregato, ma non ho ottenuto nulla e ho provato una terribile delusione... Anni fa mi raccontasti che tua mamma da bambino ti aveva consacrato a Don Bosco. E al 31 gennaio...». «Andavo sempre all'Ausiliatrice continua il filosofo -. Facevamo quelle marce di mattina presto, faceva un freddo cane ed eravamo anche piuttosto poveri. Una mattina ci siamo andati a prendere una cioccolata in corso Regina e non avevamo abbastanza soldi per pagare. Mia madre mi figurava come Domenico Savio: Don Bosco gli tiene la mano sulla testa nei santini... Questi sono ricordi costitutivi della mia fede, perché la mia è una fede debole. Io credo di più come una vecchina che biascica il rosario che come un teologo che sa tutto. La mia è una religiosità da tre Ave Maria la sera, che dico quando mi capita. E recito anche l'Angelus, ma non diciamolo sennò il Papa s'arrabbia ancora: "Ma come, vecchio maledetto, ancora dici l'Angelus?"». «La vecchina - dice Quinzio - crede di vedere al di là della morte le persone care che aveva amato». «La mia speranza nell'aldilà potrebbe anche arrivare a questo punto. Volevo andare dal dottor Rol dicendo: "Beh, potrei anch'io comunicare con l'aldilà?". Non l'ho fatto perché mi vergogno un po'». «Questo ti salva dall'anticristicità», dice il teologo. «Perché sono una vecchia bigotta. Quando recito i Salmi sento soprattutto il risuonare di tutta la storia dei martiri, dei santi, dei virtuosi, anche di Domenico Savio. E questo mi commuove profondamente. Sulla Sindone leggo i pellegrinaggi, la gente che ci è andata. E' questa la storia della Chiesa, che il Papa crede di chiudere dentro formulazioni. Il Papa crede di potermi escludere. Il Papa vuole costituire la Chiesa come un esercito di conquista e non come una comunità di gente che si vuole bene». «Ci abbiamo provato per venti secoli a costruire la comunità di gente che si vuole bene», dice Quinzio. «Per questo mi sento cristiano. Ammiro questa tradizione. Credo troppo alla Chiesa come comunità per essere protestante: non mi autorizzerei mai a fare un libero esame della Scrittura. Io mi sento dentro alla comunità che mi ha trasmesso il messaggio di Cristo e rispetto a questa mi sento responsabile, non rispetto a un'autorità che vuole fermarne la vita. Non ti rattristare troppo, Sergio». «No, per carità. Tolstoj diceva che la salvezza è nell'amore». Claudio Alta rocca «La Chiesa di Wojtyla: un esercito di conquista, esclude troppe persone» Vattimo: «La mia è una fede "debole", da vecchina bigotta che biascica il rosario: una mezza verità» Quinzio: «Io proietto il mio cattolicesimo in una tensione messianica, follemente aspetto l'Apocalisse» «La tragedia cristiana: senza il buio, non puoi più parlare della luce» I DIALOGHI A sinistra Gianni Vattimo: «Ho 58 anni, ma non credo che sia tanto l'avvicinamento alla morte che avvicina alla religione, quanto l'esperienza vissuta, le persone più care che muoiono». A destra Sergio Quinzio

Luoghi citati: Alassio, Babilonia, Brasile, Calabria, Roma, San Paolo, Torino