Inizia il dopoguerra nella lotta ai clan di Enrico Deaglio
r L'ANALISI Inizia il dopoguerra nella lotta ai clan SULL'ULTIMO terreno di polemica preelettorale il presunto voto della mafia - ci sono tre elementi di fatto poco conosciuti. 1. Dall'estate del 1992 ad oggi, la repressione della mafia (intesa nelle sue varie denominazioni regionali) ha conosciuto successi fino a ieri impensabili: sulla scorta di centinaia di «soldati» passati dalla parte dello Stato, è stato scompaginato, con migliaia di arresti, il «corpo militare» della criminalità organizzata: la magistratura inquirente, dal canto suo, ha rivelato una rete vastissima di connessioni che arrivano fino ai massimi livelli della vita politica. 2. Con un'applicazione rigorosa della legge Rognoni-La Torre, sono stati posti sotto sequestro beni per diverse migliaia di miliardi (non solo conti correnti bancari, ma proprietà immobiliari, attività commerciali ed industriali) in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Queste proprietà, che in molte zone coincidono con le principali fonti di lavoro e di reddito, sono oggi oggetto di un contenzioso giuridico tanto importante quanto poco valutato. Da una parte, si preme per la loro confisca e il loro passaggio allo Stato; dall'altra, per il loro ritorno ai «legittimi proprietari». Per dare un'idea della vastità della posta in gioco, basti dire che l'ammontare delle privatizzazioni messe in atto dal governo Ciampi equivale a circa 6 miliardi di dollari; e già oggi il valore dei patrimoni mafiosi sequestrati si avvicina a questa cifra. 3. L'inchiesta milanese «Mani pulite» monopolizza l'attenzione pubblica. Ma le inchieste delle procure di Palermo, Messina, Catania, Agrigento, Peggio Calabria, Palmi, Bari, Napoli, Salerno, Firenze hanno una portata venti volte superiore e sono passate come una ruspa su interi strati consolidati di società meridionale. Già dodicimila mafiosi sono finiti in carcere; e dal carcere si moltiplicano le diserzioni che al¬ largano in continuazione il cerchio delle indagini. Circa diecimila sono già oggi i processi istruiti, che necessiteranno, con i tempi attuali della giustizia, almeno un decennio per essere smaltiti. Se la dimensione di questo fenomeno è sottovalutata dal mondo politico ufficiale, sicuramente non lo è da parte del «mondo mafioso» che, ovviamente, cerca di favorire i propri interessi. E questi sono: non perdere la proprietà della «roba» (ovvero: non avere i beni confiscati). Ottenere per i capi mafia in carcere un trattamento meno duro, che li tolga comunque dall'isolamento attuale. Ottenere, per i «soldati» in carcere, una qualche speranza processuale da spendere nei loro confronti per limitare una loro pericolosa tendenza al «pentimento». Più ingenerale, poi, si tratta di decidere, per la mafia, se l'Italia diventerà un Paese «ostile» o se continuerà ad essere un buon posto dove reinvestire capitali illeciti. Questi temi non sono all'ordine del giorno nella campagna elettorale, ma viaggiano (e quanto viaggiano!) sotto traccia. I segnali sono molteplici e difformi: ci sono quotidiani annunci di attentati, e ci sono gli attentati portati a termine, come quello contro le tre donne di Genova. A Napoli invece si «pente» Carmine Alfieri (capo camorrista con 1500 miliardi di proprietà) e don Riboldi, vescovo di AcoiTa, sponsorizza la «dissociazione» di migliaia di camorristi in cambio di clemenza processuale; in Sicilia invece ricompaiono le intimidazioni nei paesi di mafia e alcuni politici inquisiti si ripropongono alle elezioni, per altro con grande consenso popolare. Dalle grandi forze politiche, candidate a governare l'Italia, non viene nessun segnale strategico. E' comprensibile, però. E' una situazione del tutto nuova: un dopoguerra, mentre la guerra è ancora in corso. Enrico Deaglio ilio |
Persone citate: Carmine Alfieri, Ciampi, La Torre, Riboldi
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