Sullo Stretto guerra tra toghe

Sullo Stretto guerra tra toghe Sullo Stretto guerra tra toghe Un esposto contro la procura di Reggio NEL PALAZZO DEI VELENI COME magistrato mi addolora. Ma il fatto che sia mio cugino sta sullo sfondo, non può influenzare il mio ruolo dentro palazzo di giustizia». Antonio La Torre, presidente della corte d'appello di Messina e cugino omonimo di uno dei due giudici arrestati ieri, dal suo ufficio commenta la nuova bufera che si è abbattuta sul palazzo di giustizia, che adesso appare ancora più fragile e indifeso: prima i «messaggi», le finte bombe, i ladri che rovistano tra le carte dei giudici, poi i veleni, infine gli arresti. Complice anche la giornata semifestiva, ieri i corridoi di palazzo Piacentini erano semideserti. All'ingresso, i carabinieri e i militari di «Vespri siciliani» stavano come di consueto a guardia del portone a controllare che entra e chi esce. Dentro, tensione e sconcerto erano palpabili. Si teme il clima da caccia alle streghe. Forse anche per questo, un gruppo di magistrati ha già presentate una relazione ai colleghi della procura di Catania per segnalare il comportamento dei giudici di Reggio Calabria che avrebbero non soltanto regi- strato le dichiarazioni dei pentiti, ma anche rivolto loro domande «sul conto di magistrati che non risultano indagati per alcunché». Dalla procura di Catania solo silenzi: «Queste sono cose troppo delicate - dice il procuratore aggiunto Mario Busacca - e non voglio assolutamente parlare». Tuttavia, è proprio da Messina che arriva qualche cauta conferma, diventata certezza dopo l'arrivo della notizia che per giovedì prossimo il procura¬ tore nazionale antimafia Bruno Siclari ha convocato a Roma i vertici delle due procure sulle sponde opposte dello Stretto. Nonostante l'esposto e alcune dichiarazioni al vetriolo dei giorni scorsi, lo scontro tra Reggio e Messina, a sentire adesso i magistrati, non esisterebbe. Nella procura peloritana si tiene a precisare che i procedimenti sfociati negli arresti di ieri erano stati avviati proprio da Messina e trasferiti a Reggio Cala- bria per competenza, quando si è scoperto che c'erano implicati i giudici dello stesso distretto. Per qualcuno dei magistrati è anzi «fisiologico che una cosa del genere accada. E' un segnale positivo; sarebbe stato più allarmante se, riscontrato un illecito, non fosse accaduto nulla». Nei mesi scorsi la procura di Messina ha avviato un'inchiesta su «un disegno globale di delegittimazione» che sarebbe in corso nella città dello Stretto. L'obiet¬ tivo dei presunti responsabili, in questo caso, sarebbe quello di screditare l'opera dei magistrati che hanno scardinato il sistema, di potere a Messina e in provincia, fondato sul voto di scambio e su pericolose relazioni tra mafia e politica. Per questo, adesso i giudici temono che un possibile danneggiamento dell'immagine complessiva, possa creare «guasti considerevoli ai processi seri che si stanno facendo o sono pronti per andare in dibattimento». Una preoccupazione condivisa anche dal sostituto di «Mani pulite» Enzo Romano: «Quando si entra nel merito della valutazione di un giudice - dice - se non si usa un criterio di grandissima prudenza, con riscontri esterni, si corre il rischio di invadere un campo che, per l'indipendenza del giudice, deve rimanere riservato». Per Romano, comunque, questa è una questione di metodo. Per il resto, parla di grande serenità all'interno della procura: «Nessuno di noi ha preoccupazione per il proprio lavoro se non ha scheletri nell'armadio. Ma una tranquillità turbata è una turbata indipendenza». [f. a.] Un gruppo di giudici mette sotto accusa il metodo di indagine seguito dai colleghi calabresi Luciano Violante e Bruno Siclari

Persone citate: Antonio La Torre, Bruno Siclari, Enzo Romano, Luciano Violante, Mario Busacca