«Così aiutavano i boss»

In manette l'ex presidente del Tribunale e un altro magistrato In manette l'ex presidente del Tribunale e un altro magistrato «Così aiutavano i boss» Messina, set pentiti contro 2 giudici MESSINA NOSTRO SERVIZIO Corruzione aggravata e falso. Per i due magistrati arrestati ieri notte a Messina l'accusa non lascia spazio a congetture: Antonio La Torre, 70 anni, ex presidente del tribunale, in pensione da appena tre mesi e mezzo, e Francesco Mancuso, 63 anni, presidente del tribunale di sorveglianza, sono stati ammanettati all'alba di ieri; il primo nella sua abitazione. L'altro è stato prelevato in una clinica dove si era fatto ricoverare per disturbi cardiaci. Li accusano i pentiti della mafia messinese, almeno sei, e una serie di riscontri ordinati in questi mesi dai giudici della procura di Reggio Calabria. Tra i collaboratori, l'ex capocosca Mario Marchese, il capo della banda del quartiere «Mangialupi» Salvatore Surace, e il catanese Claudio Samperi. Quando sono arrivati i carabinieri, i due giudici quasi se l'aspettavano. Uno dei due, secondo indiscrezioni, è stato trovato in cucina, davanti a un caffè, mentre leggeva sui giornali l'annunciato arresto. La Torre e Mancuso sono i personaggi più importanti dell'operazione che, durante la notte, ha portato in carcere altre persone: in tutto le ordinanze di custodia cautelare Firmate dai giudici per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Alberto Cisterna e Iside Russo, sono dodici. Sei sono state notificate in carcere ad alcuni mafiosi che ap- pena ventiquattr'ore prima erano stati arrestati in un'altra operazione; due persone sono sfuggite alla cattura. I due magistrati sono stati arrestati per diverse vicende, nell'ambito di tre distinte inchieste. In una, La Torre avrebbe addomesticato alcuni processi quando era giudice a latere della Corte d'appello: avrebbe incassato 60 milioni per avere fatto assolvere dall'accusa di omicidio un mafioso, Sebastiano Valveri, a sua volta ucciso due mesi dopo aver ottenuto la scarcerazione. Era il 1985. Tra gli arrestati di ieri c'è anche Giovanni De Tomaso, l'uomo che avrebbe materialmente consegnato il denaro al magistrato. De Tomaso era l'autista personale di Gaetano Costa, potente boss messinese dei primi Anni Ottanta. Il giudice Mancuso sarebbe stato accusato dal pentito Salvatore Surace di avere intascato denaro in cambio di permessi-premio o per malattia, concessi a detenuti. Surace, ascoltato in un primo momento dai giudici di Messina, raccontò che i detenuti del carcere di Gazzi erano in grado di programmare ed eseguire rapine, in coincidenza con il periodo di libertà concesso dal magistrato corrotto. Un permesso di quattro-cinque giorni signficava un guadagno di circa cinque milioni di lire. All'inizio dell'anno, Surace ha confermato le sue accuse ai giudici reggini, aggiungendo che anche altri clan, e tra questi quello del boss pentito Luigi Sparacio, avrebbero utilizzato lo stesso sistema. Anche un'informativa dei carabinieri dello scorso 25 gennaio incastrerebbe il magistrato: i militari hanno confrontato i permessi rilasciati in quel periodo da Mancuso; sette delle persone che ne hanno beneficiato sono tra gli inquisiti di questa scottante inchiesta. Il giudice veniva pagato direttamente o tramite un intermediario, amico di famiglia. La moglie del magistrato, Libana Fulci, dice che l'arresto del marito «è un provvedimento eccessivo. Invito tutti a non dimenticare la presunzione d'innocenza fino a sentenza definitiva». La terza inchiesta, in realtà non sarebbe ancora conclusa e riguarda nuovamente il giudice La Torre, ma potrebbe riservare ulteriori sorprese nei prossimi giorni. La Torre avrebbe ricevuto venti mi¬ lioni da uno degli ex presidenti dell'Aias di Milazzo, Antonio Morabito, in cambio di un decreto ingiuntivo contro la locale Usi e a favore dell'Associazione per l'assistenza agli spastici. Nell'inchiesta è coinvolto anche l'ex pretore di Barcellona Pozzo di Gotto, Francesco Sidoti, che nei mesi scorsi ha ricevuto un avviso di garanzia. Indagini anche su quattro avvocati civilisti e sullo studio nel quale lavora Oreste La Torre, figlio del giudice arrestato, che avrebbe beneficiato di perizie di consulenza assegnate dal tribunale. Il riserbo sulla vicenda resta massimo. Ieri mattina, il procuratore di Reggio Calabria, Gaetano Gaeta, si è limitato a leggere ai giornalisti un comunicato, rifiutandosi di rispondere alle domande; anzi, da ambienti giudiziari reggini si è appreso che sarebbe stata aperta un'inchiesta su una possibile fuga di notizie. E i difensori del giudice Mancuso, Carlo Taormina ed Emidio Tommasini, hanno difusso un comunicato nel quale esprimono «sdegno e preoccupazione per il verificarsi di anomale situazioni extraprocessuali, destinata ad esercitare un'indebita forma di pressione sulle parti e sul procedimento». Il ministro della Giustizia, Conso, che ha chiesto la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per Mancuso ha annunciato un comunicato sul caso Messina. Fabio Albanese Avrebbero chiesto soldi per «aggiustare» alcuni processi e concedere permessi ai detenuti Altre dieci persone nei guai I! ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso ha deciso la sospensione dello stipendio per il giudice Mancuso indagato dai colleghi di Reggio Calabria

Luoghi citati: Barcellona Pozzo Di Gotto, Messina, Reggio Calabria