il mio giorno più lungo

il mio giorno più lungo il mio giorno più lungo Wisa passa sempre attraverso le linee nemiche». Per due giorni interi, per 48 ore, l'allora ventiquattrenne «Lieutenant Second Class», il Sottotenente Alvin Ungerleider aveva ballato su un mezzo da sbarco al largo nella burrasca della Manica, in attesa che il maltempo si rompesse e che da Eisenhower arrivasse il «go», il via all'Operazione Overlord. «Passare il tempo era la fatica più dura. Come al solito c'era chi scriveva, chi giocava a poker, chi si bruciava la razione di sigarette, un pacchetto al giorno, in poche ore, chi pregava. Io andai a frugare negli armadi della cambusa e trovai un libro, La canzone di Bernadette, la santa, Bernadette Soubirous. Lo lessi e mi diede una grande pace». Ma lei non è ebreo? «Sì, ma quando si sa di poter morire, ogni Dio va bene». Alle 4 del mattino, all'ora H -2, l'ora dello sbarco meno due ore, il cuoco della nave servì il breakfast caldo a tutti i 157 uomini della compagnia imbarcata, uova stra¬ pazzate, bacon fritto, caffè bollente. «Poi uscimmo all'aperto e credetti di sognare. Mai avevo visto tante navi coprire il mare, tanti aerei in cielo. Sentii lacrime scendermi sulla faccia, credo di gioia. Ci abbracciammo, in un gran tintinnio di elmetti, davanti a quella vista, perché anche noi, poveri fanti qualsiasi, capimmo che la battaglia sarebbe stata vinta. Non esisteva una forza al mondo capace di resistere a quell'Armada». Che cosa vi avevano detto i generali, per prepararvi alla battaglia? «La verità. Che saremmo sbarcati per liberare il mondo da un mostro che non doveva sopravvivere, Hitler». Alle 6 del mattino, la sottile linea bianca di Omaha Beach comparve all'orizzonte. «Cominciai a pregare, Adonai, Adonai il mio Dio». Alle 9 e A pochi metri dal sottotenente Ungerleider, sulla sua destra, gli uomini del 116° reggimento della sua stessa divisione, la 29a, stavano annegando nell'acqua e nel loro stesso sangue, colpiti dai mortai e dalle mitragliatrici tedesche ancora mentre erano a mezzo busto nelle onde. «La risacca, fortissima, spingeva i portelloni all'indietro e chi non era pronto a saltare veniva stritolato, vidi morire così un sergente che conoscevo bene, un italoamericano, Richard Dantini». Alle 3 hai l'appuntamento con il fisioterapista. Sì Ruth, mi ricordo. Ma il reparto del Sottotenente Ungerleider ebbe la vita un poco più facile. «Questione di pochi metri. Alla nostra destra, il 116° reggimento veniva massacrato. Nei primi 20 minuti dallo sbarco, le compagnie A, B, C e D del suo terzo battaglione furono eliminate, tutti mezzo del mattino Ruth, la moglie del colonnello, rientra dalle compere e interrompe. Hai preso le pillole per il cuore? Sì Ruth. E le vitamine? Ma sì Ruth. Non approfittare dei ricordi per bere troppo caffè che ti fa male. Va bene Ruth. Alle 6 e 30 in punto, la nave da sbarco a chiglia piatta si ferma a pochi metri dalla spiaggia. «Dio mi stramaledica se uno solo dei miei soldati si bagnerà i piedi, ci aveva giurato il comandante della nave e mantenne la promessa. Sbarcammo quasi all'asciutto e fu un grande sollievo, perché avevamo visto che cosa stava succedendo ai mezzi da sbarco che si erano fermati troppo indietro e avevano aperto la paratia nell'acqua alta».

Persone citate: Alvin Ungerleider, Bernadette Soubirous, Eisenhower, Hitler, Richard Dantini, Ungerleider