«Vogliamo processare Stefanini»

C'è anche Citaristi. Calvi, legale del pds: «Àgli atti non c'è nulla che coinvolga il senatore» C'è anche Citaristi. Calvi, legale del pds: «Àgli atti non c'è nulla che coinvolga il senatore» «Vogliamo processare Stefanini» Tangenti Sea, chiesto il rinvio a giudizio per 43 imputati E in procura torna il «signor G» interrogato sulle consulenze con la Standa vengono contestate tangenti sugli appalti per la pista dell'aeroporto, per l'aerostazione, e la gestione dei contratti d'appalto. Un affare, secondo i calcoli della procura, che si aggira attorno ai 295 milioni. Quanto preso dai socialisti finiti nella stessa inchiesta per questa vicenda. Commenta l'ufficio stampa della Quercia: «Coloro che almanaccavano su una presunta parzialità della magistratura a nostro favore probabilmente si sentiranno per parte loro serviti. Piena fiducia alla magistratura, attendendo con serenità l'udienza preliminare presso il gip. Già in quella sede, ne siamo certi, emergerà la verità dei fat¬ LMILANO A procura va nuovamente all'attacco della Fininvest. Contro il «no» del giudice Anna Introini alla richiesta di arresto per Marcello Dell'Utri e per gli altri manager del «biscione» la procura si rivolge al Tribunale della Libertà. Replica Anna Introini: «Queste le loro valutazioni. Adesso decida il Tribunale». Sì, lo scontro è aperto tra il quarto (procura) e il settimo piano (giudici per le indagini preliminari) del palazzo di giustizia. In gioco sono le manette per il presidente di Publitalia 80 Marcello Dell'Utri, e per gli altri cinque manager di società del Gruppo: Romano Luzi, Valerio Ghirardelh, Lorenzo Onorati, Anna Troisi, Mauro Lecci. Non ci sono dubbi che proprio di manette si tratti. Lo scrivono a chiare lettere Gherardo Colombo, Francesco Greco e Margherita Taddei: «Non può considerarsi adeguata la misura degli arresti domiciliari: presuppongono un atteggiamento assolutamente leale nei confronti dell'ufficio (cosa all'evidenza non verificatasi)». Aggiungono, sul punto: «Dall'altra gli arresti domiciliari non sarebbero sufficienti per impedire contatti, accordi e direttive in considerazione delle notevoli possibilità economiche degli indagati e dei raffinati strumenti oggi disponibili sul mercato». E la Finivest replica: «Prendiamo atto che si sta procedendo secondo un teorema accusatorio», confermando (da totale fiducia nei confronti di Dell'Utri e del suo operato». Giocano tutte le carte in loro possesso Colombo e gli altri due magistrati. Partono dal rischio di vedere cancellate o manomesse le prove dei falsi in bilancio, delle contabilità contraffatte, delle fatture emesse ad hoc: «Gli inquisiti dispongono di notevolissimi mezzi per inquinare le prove». E poi citano il caso della fuga di notizie che ha portato all'inchiesta sui cronisti giudiziari e alle indagini sul Tg5 che ha rivelato i nomi degli «arrestandi». «Si sono verificate gravissime violazioni del segreto relativo alle indagini preliminari. La richieste di emissione dei provvedimenti cautelari, e addirittura i nominativi dei destinatari sono stati pubblicati con una tempestività sorprendente da un'emittente del Gruppo». E non è finita. In 9 pagine Gherardo Colombo, Francesco Greco e Margherita Taddei lanciano una vera bordata anti-Fininvest: c'è una «talpa» di Berlusconi tra gli «007 del fisco». A casa di un alto manager del «biscione» è stato trovato il «sunto» di una informativa del Secit, organo speciale del mini- ti e la completa estraneità del senatore Marcello Stefanini rispetto alla vicenda in questione». «Amareggiato» si dice invece l'avvocato Guido Calvi, difensore di Stefanini. Commenta: «Agli atti non c'è nulla, neppure un labile indizio che coinvolga direttamente il senatore Stefanini. Da qui l'amarezza di una richiesta processuale sorprendente ed ingiustificata». Il pds non è solo. Altri politici finiscono in questo calderone di Mani pulite su cui il giudice delle indagini preliminari dovrà esprimersi il 2 maggio. E tutti devono rispondere, a vario titolo, di corruzione, violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti e turbativa d'asta. Compaiono in elenco: l'ex ministro de Giorgio Santuz, ed altri due esponenti dello scudo crociato, Luigi Baruffi e Maurizio Prada, poi c'è il repubblicano Antonio Savoia. E via con gli imprenditori. Numerosi anche loro. C'è Clemente «Tino» Rovati, già finito sotto processo per le mazzette al Pio Albergo Trivulzio ai tempi di «Mariuolo» Chiesa. E c'è Alberto Mario Zamorani, il top manager Iri che annunciò mille arresti dopo la sua scarcerazione e solo lui ha visto metà carceri d'Italia. Spuntano Il tesoriere del pds Marcello Stefanini dall'elenco, tra gli imprenditori, Enrico Maltauro, Ugo Fossati, Gabriele Mazzalveri, Paolo Pizzarotti, Vincenzo Romagnoli e Riccardo Meregaglia. E le indagini vanno avanti. In procura, per l'ennesima volta, si è visto Primo Greganti, il signor «G» delle (presunte) tangenti rosse. «Scrivetelo, scrivetelo che fino ad ora, dopo 13 mesi di indagine, non sono mai stato smentito dai magistrati», dice con un sorriso. E poi si infila nell'ufficio di Paolo Ielo che indaga sui rapporti di «consulenza» tra il signor «G» e la Standa di Silvie Berlusconi. Il magistrato, in mattinata, aveva sentito pure Aldo Brancher, manager Fininvest, che aveva confermato il rapporto con Greganti, chiamato a promuovere il nome della Standa in Cina. Sereno come sempre Greganti spunta alle 15 e 30. Ripete la sua estraneità ad illeciti nella vicenda Standa e la butta subito in politica. Dice: «In carcere ho conosciuto gente che ha subito più ingiustizie di me. Spero che le elezioni vedano il futuro ministro della Giustizia all'altezza della situazione». Sui possibili candidati Greganti semplicemente «non si augura», e rifiuta i pronostici. Poi, spiega il suo pensiero elettorale: «Spero che la gente non voti come i naziskin, Craxi o chi tiene la gente in galera senza le prove». [f. poi.] metà del cammino .verso le elezioni, molti italiani sembrano aver già deciso che andranno a votare a video spento. Per strada o sui tram si sente parlare poco di trasmissioni elettorali. L'audience della videopolitica è bassa, quando non tracolla addirittura, per effetto delle partite di Coppa. La cupa profezia di Apocalisse televisiva della Politica non sembra essersi avverata neanche questa volta. Il flusso continuo di tribune e tribunette ricorda anzi sempre più da vicino un «Dse» (diesseché) della seconda Repubblica. Sul perché la videopolitica sia entrata in crisi, proprio alla vigilia delle «elezioni più importanti dal '48 ad oggi», verrà aperto prima o poi un dibattito nazionale, probabilmente in televisione. Ora anticipiamo un paio di tesi. Le tribune politiche sono, televisivamente parlando, strumenti grigi e arrugginiti - rottami del defunto «servizio pubblico» -, come del resto i presentatori-moderatori e gli ospiti che le popolano. Ma non è il caso ora di buttare la croce addosso ai riciclati Bruno Vespa e Nuccio Fava, né alle volonterose neofite Lilli Gruber e Pialuisa Bianco. Il vero guaio è che scarseggia l'offerta - i politici - e invece abbonda (troppo) la domanda. In «assenza di un conflitto reale», come scrive Newsweek - la Sinistra ha adottato un programma di centrodestra, il Centro e la Destra: boh -, fin dal principio si sono puntati i riflettori sulle personalità dei candidati. Con discreto vantaggio della Destra, che vanta tre leader «telegenici» (Berlusconi, Fini e Umberto Bossi) a zero. Ma l'uso selvaggio dei «faccia a faccia», nell'urgenza di riempire i palinsesti di sei o sette reti, ha portato a effetti perversi che nulla c'entrano con la vagheggiata o temuta politica spettacolo «made in Usa». Anche perché, va ricordato, la presunta videocrazia americana si esauri-

Luoghi citati: Cina, Italia, Usa