Sul set di Salò, «il mio film più crudele» di Oreste Del Buono

Sul set di Salò, «il mio film più crudele» Sul set di Salò, «il mio film più crudele» passato amato. Il mio violento amore per il tempo perduto. E' il sesso che si afferma contro i divieti della repressione. Ma ora è in atto la tolleranza, e il sesso non è più gioia, il sesso è diventato triste e ossessivo, nella soggezione alla permissività, al consumismo. Il sesso è oggi la soddisfazione di un obbligo sociale, non un piacere contro gli obblighi sociali. Ecco perché allora non mi sono sentito di ricavare un film dagli atti del processo di Gilles de Raines, e ora, invece, mi sento di ricavare un film dal libro di Sade. Sade è stato il principale poeta dell'anarchia del potere. Le 120 giornate di Sodoma è il suo libro forse più costruito...». «E' stata una tua lettura fondamentale?...». Di nuovo ero stato imprudente nel parlare. Come se dubitassi della sua cultura sadiana. Mi guardava interrogativamente, e mi sforzavo di non distogliere gli occhi dai suoi, di non apparire in qualche modo diffidente. «Non la prima lettura» mi spiega, lottando contro lo sfinimento, dovrei provar rimor- so a costringerlo a faticare anche a giornata finita, anche a notte. «La prima lettura è stata una lettura trascurata, una letturaccia. Come, del resto, la prima lettura de Le Mille e una notte. La vera lettura è quella successiva...». «E' la lettura di questo film?...». Era lui stesso a mettermi in bocca le domande. «Salò ole 120 giornate della città di Sodoma non è una trascrizione pedante del libro di Sade. Anche se dal libro di Sade, dall'impianto del libro di Sade, parte con indubbia fedeltà. Ma, oltre a Sade, ci sono dentro anche gli altri, tutti gli altri che hanno letto Sade, come, a esempio, Maurice Blanchot e Pierre Klossowski. Sade, mon prochain di Klossowski è un libro molto importante...». Voleva proprio convincermi della sua erudizione sadiana. La sua preoccupazione di tirare in ballo altri, da Sergio Cittì a Pierre Klossowski nella genesi del suo nuovo film era puntigliosa addirittura eccessiva, ma non poteva togliermi dalla testa che in quella repentina infatuazione di Pier Paolo Pasolini, Le 120 giornate di Sodoma di Sade entrassero solo sino a un certo punto. Appena come pretesto. Tutto il resto doveva essere puro parole. Il mio film più crudele perché parla dell'anarchia del potere, dell'anarchia degli sfruttatori...». Pier Paolo Pasolini sbatteva le palpebre ferite dalla luce artificiale troppo forte. Le palpebre evidentemente non bastavano neppure come riparo provvisorio. Allora, alzò le mani, se le strofinò sulla faccia come per lavarla dal contagio aspro della luce. «Anche nel mio film come nel libro di Sade ci saranno quattro potenti. Un duca, un monsignore, un presidente di tribunale e un banchiere che si sono ritirati in una gran villa durante il periodo repubblichino. E vi compiono una specie di sacra rappresentazione nefanda, accumulando delitti su delitti. E ci saranno i loro servi, i loro sicari, i loro torturatori, e ci saranno, ovviamente, le loro vittime, umili, ridotte allo stato di oggetti dopo esser state catturate in rastrellamenti, cacce all'uomo spietate...». Sinché bisbigliava tra le mani chiuse sulla faccia, avevo tirato a indovinare la maggior parte di quanto mi diceva. Ma ora dischiuse le mani, e la sua faccia era un'autentica faccia da vittima. «Racconterò anche la loro anarchia. Ma l'anarchia degli sfruttati ha la disperazione e l'idillio di quanto Pier Paolo Pasolini, avesse letto un'infinità di volte il testo originale o lo avesse sfiorato solo una volta a metà con Sergio Cittì, una mezza volta, addirittura. «Salò o le 120 giornate della città di Sodoma è il mio film più crudele. Ci sono molti eccessi. Eccessi di crudeltà. Ma appunto per questo io accentuo il mio distacco. Non ho mai girato un film in questo modo. Neppure Teorema, con il quale presenta qualche rassomiglianza. E' un film girato con la mano sinistra», la voce di Pier Paolo Pasolini calava ancor più di tono, quasi non capivo come facesse a continuare a parlare o come facessi io a sentirlo, a decifrare i suoi bisbigli. «Girato con la mano sinistra non significa trascuratezza. Significa solo che questo film è girato con una mano diversa dalla mano destra. La mano destra è quella della tradizione, di determinati valori culturali. Il mio nuovo film è diverso. E' un film di fatti, di attenzione ai fatti, senza risvolti psicologici. E' un film anche di Una scena del film, a lato: Pasolini «Perché Sade? Perché è stato il principale poeta dell anarchia del potere» non si realizzerà mai. Mentre l'anarchia del potere si realizza con la massima facilità e la massima insistenza, subito, in fretta e furia, in articoli di codice per una crudele prassi. Sin dall'inizio i potenti di Salò o le 120 giornate della città di Sodoma non fanno che elaborare regolamenti e scriverli nei loro quaderni. Hanno l'ossessione di codificare la loro sopraffazione. E' per questo che le loro parole contano come i loro fatti per il mio film più crudele. Anche le parole dei mostri che non so se poi saranno mostri. Non meno e non di più, comunque, delle loro vittime umili...». Uno dei mostri era seduto alla tavolata del ristorante e assentiva con la testa, compunto. Era Uberto Paolo Quintavalle, scrittore nella vita ed Eccellenza nel film. Uno dei tanti esordienti dei film di Pier Paolo Pasolini, che, come tutti gli esordienti dei film di Pier Paolo Pasolini, prendeva molto sul .serio la sua parte: «Abbiamo continuato a parlare e a scrivere nelle riprese di oggi» mi confida. «Discorsi così difficili tra noi potenti. E' un'esperienza straordinaria. Non si sentono neppure i terribili spifferi della villa in cui si svolge quasi tutto questo film...». Ma le sue autorevoli confidenze vengono interrotte da una discussione scoppiata d'improvviso tra Pier Paolo Pasolini e il più giovane della nostra tavolata, Claudio Troccoli che nel film faceva la parte di un milite della X Mas, ma la sua età lo rendeva quasi sfacciatamente più vittima che mostro. Quella sera si era ormai stufato di starci ad ascoltare e aveva deciso di andare al dancing perché c'era Raffaella Carrà. «Ma cosa ti può interessare, la Carrà?» obiettava Pier Paolo Pasolini. «L'ho vista appena una volta e non m'è piaciuta. Ha un culaccio...». «A me piace...» diceva, cocciuto, l'altro. «Ora devi parlare con tuo padre. Andiamo, che ti aiuto a telefonare», e Pier Paolo Pasolini mi spiegava. «Lui non se la cava con il telefono. E' figlio di contadini di Chia, dove ho la casa di campagna...». Si allontanò. Anche l'Eccellenza Quintavalle accennava ad accomiatarsi. «Un'esperienza straordinaria» ripeteva. «Pasolini non rimprovera mai, incoraggia sempre, aiuta gli esordienti a superare gli impacci, le esitazioni, i dubbi. E non fa prove prima di girare. Lui sa che gli esordienti possono indovinare la recitazione la prima volta che recitano più che tutte le altre volte seguenti. Un'esperienza straordinaria...». Uscì con sussiego dalla comune. Pier Paolo Pasolini tornò solo. Si sedette di nuovo a tavola come se tutto ricominciasse, Ma poi non ci stava. Sbadigliava, continuava a sbadigliare. «Se anche volessi fare film come quelli della Trilogia della Vita, non potrei più. Perché ormai odio i corpi dei nuovi giovani e ragazzi italiani. Oggi la degenerazione dei corpi ha assunto valore retroattivo. Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto divenire ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente e...». Uno sbadiglio più forte lo convince a interrompere il discorso. Si alzò di nuovo: «Dopotutto potrei anche andare a dormire...» ammise ma per non esser troppo brusco, aggiunse: «Perché non ti fermi sino alla partita. Li facciamo fuori tutti...». La partita di calcio tra la troupe di Salò e la troupe di Novecento che lavorava a poca distanza era trattata da un grande diplomatico quale Nico Naldini presente per motivi di lavoro su tutt'e due i set. Doveva servire a riportare pace tra Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci che si era offeso per le critiche dell'amico a Ultimo tango a Parigi. Dopo qualche giorno, telefonai per sapere il risultato. Ottimo: i due si erano riabbracciati. Pier Paolo Pasolini aveva, al contrario di Bernardo Bertolucci, giocato con la consueta foga. E aveva perso. Mancavano ancora pochi giorni al 2 novembre 1975. Oreste del Buono

Luoghi citati: Parigi, Salò, Ultimo