IL GIOVANE BAZLEN DA SVEVO A MONTALE di Giuseppe Marcenaro

IL GIOVANE BAZLEN DA SVEVO A MONTALE IL GIOVANE BAZLEN DA SVEVO A MONTALE // suggeritore di casa Adelphi cendomi poi pervenire i tre romanzi dell'autore stesso; mi fece conoscere molte pagine di Kafka, di Musil, di Altenberg...». Il giovane «raccontato» da Montale era il medesimo che, gioiosamente testardo, si slanciava sulla macchina per scrivere onde riuscire a conquistare qualche «merito impiegatizio». Durante la fase d'esercizio, come d'uso, Bazlen, con apparente giudiziosa cura, cominciava col ricopiare, più volte, qualche lettera commerciale; poi ricopiava altre cose scritte, per impratichirsi alla velocità. D'altra parte l'importante era scrivere battendo furiosamente sui tasti. Abbandonate le ricopiature, rapito ipnoticamente dalla tastiera, il giovane Bazlen scappava così dall'ordito commerciale, per lasciarsi trascinare dall'immaginario della scrittura, lasciando che fosse «il caso» a succhiargli i pensieri, insomma buttava nella macchina, che mantrugiava le parole, tutto quanto gli passava per la mente. Roberti} Bazlen Cosa siano in realtà queste pagine ci si accorge esplorandole minuziosamente. Un «cult» per la letteratura, l'ammucchio affastellato, veloce come il pensiero, di un'esperienza che, nel perverso esercizio tecnico della scrittura, tira fuori dal dattilografo avventizio ogni più spuria e preziosa scheggia. Bazlen, il «gran tarlatore di libri», l'auscultatore della letteratura, pensa in tedesco e scrive in italiano, trafigge il dialetto triestino, ascolta i discorsi della madre, sussulta in inglese, ancora il tedesco che strapiomba in variazioni su Genova, passeggere folgorazioni e - come affiorano alla memoria che induce le mani a correre a perdifiato sulla tastiera - citazioni sparse, rosicchiate, sbocconcellate da Heine, Goethe, Hofmannsthal, Poe, Stefan George, Eichendorff, con salti tra l'Anna Livia Plurabella di Joyce e la farfalla impigliata in una ragna del Montale degli Ossi di Seppia. Il dattiloscritto «ghiribizzoso» è il fruscio di un tempo clamorosamente ricco, quello di una città, Trieste (dove Bazlen era nato nel 1902), vivacemente at¬ tenta al battito del mondo, da cui Bazlen «ritaglia» la sventagliata delle sue incursioni, con personaggi ilari e perniciosi, raccontati di sghembo con espressionismo automatico e che fanno, di questi fogli, la sinopia delle curiosità e dei tics del suo autore. Il brusio della vita che sta nella testa del giovane uomo, vissuto con i sensi alti - il giovane che sarebbe diventato il personaggio più originale della cultura italiana di questo secolo dilaga nella «furia meccanica»; ancora citazioni di letture, il cinema, les morceaux choisis di conversazioni familiari, l'eco di un incontro fortuito o cercato con Italo Svevo. Tutto in gioiosa, voluta occasionante, con risultati da far orrore alla più algida segretaria d'azienda: un gomitolo scrittorio intrugliato, nel dritto e nel rovescio, come la tela di un ragnetto ubriaco. Ma anche un grande esercizio di scrittura automatica, illusoriamente surrealista: e, in «lettura visiva», con richiami a certi «esercizi di lettrismo» vicini ai preziosi collages di Hannah Hòch e Raoul Hausmann, esperienze del più impertinente Dada. Del suo soggiorno genovese, nella lotta con la macchina per scrivere, Bazlen ripullula in alcuni punti. «E passavano donne trasandate, sporche e brutte, e passavano uomini dalle fronti basse e parlavano di cambiali e 10 sono tornato e ho imprecato, e quando fui tornato, solo allora venni a sapere della vita vera a Genova, così come era, prima che io arrivassi, così come era, quando io di nuovo... e come si era fermata al tempo in cui io ero Bobi a Genova, eh già, eh già. Di belle donne a Genova venni a sapere, di grandi storie di perversione, e della vita chiassosa e intricata che nulla aveva a che fare con quella spelonca da morti dove ero vissuto nei tre lunghi mesi in cui io il Bobi vi alloggiavo e m cui perdevo il mio tempo con gli intellettuali». Chi fossero «gli intellettuali» si scopre in due cartoline inviate, il 7 e 11 agosto 1925, al pittore Paolo Rodocanachi, il futuro marito di Lucia. La prima ricorda «Entusiasta racconto di Montale Giro del Follo...», località genovese poco lontana dal luogo di cui Balzen, nello scartafaccio meccanico elogia, «... le belle ragazze di S. Siro di Struppa... Ali mio Dio, che storia anche questa, a lungo ho vissuto a Genova...». La cartolina reca tre firme: Bobi, E. Montale, Lodovici. La seconda, sempre dei tre, viene da una gita a Bocca di Magra. E Lucia? Il primo messaggio di un'amicizia più confidenziale e piena di lettere, parte da lei che, 11 19 dicembre 1937, scriveva a Bazlen: «Le mando ad un indirizzo ipotetico questi auguri. Del resto è giusto che da isole deserte si affidino i messaggi alle bottiglie ed all'oceano. Benché lei mi sembri amico da tempo immemorabile causa il sarcofago di "Casa Panfili" e la palla di cannone della "Casa delle bisse", causa la nostra comune infanzia triestina». Giuseppe Marcenaro

Luoghi citati: Genova, Trieste