DE FELICE nazione senz'anima

DE FELICE DE FELICE nazione senz anima nalismo. Il tipo di identificazione nazionale caratteristico dell'età liberale fu poi definitivamente soppiantato da un altro conseguente all'affermazione del comunismo in Russia e del nazismo in Germania e al solco che la contrapposizione tra queste due realtà (entrambe antidemocratiche e, sia pure in modi diversi, supernazionali) scavò all'interno dei Paesi ad assetto liberal-democratico. Stante questa realtà, la seconda guerra mondiale costituì il culmine della crisi dell'idea di nazione, negata come responsabile prima della guerra e dei suo mostruosi errori. A completare l'opera vennero lo sviluppo economico e tecnologico degli anni immediatamente successivi, la «paura atomica», la guerra fredda con le loro conseguenze a livello psicologico e etico e il mutamento nella scala dei valori da essi messo in moto. Ciò detto, va però detto anche che, se andò in crisi e venne contestata un po' a tutti i livelli, a cominciare da quello intellettuale, l'idea di nazione però non morì. Si modificò (sia in negativo che in positivo), ma sopravvisse. Assunse caratteri che talvolta collidevano con quelli precedenti, democratici o antidemocratici che fossero, ma, ripeto, non morì. E infatti la «caduta del muro» e la fine del bipolarismo l'hanno vista tornare in primo piano non solo nei Paesi che avevano costituito l'«impero esterno» sovietico e in quelli dell'ex Urss, ma in tutto il mondo occidentale, in cui ha assunto caratteri nuovi o moltiplicato motivi e tendenze che erano già affiorati in precedenza, ma erano sino allora rimasti minoritari e circoscritti e, in genere, erano stati considerati e contrastati come pericolosi o antistorici (tipico in questo senso è il caso dei micronazionalismi). A questo punto, mi domando se è possibile liquidare la ' x' questione riducendo l'idea di nazione ad un fenomeno ormai «residuale» o di reviviscenza più o meno «di assestamento», dovuto cioè alla lunga compressione nella quale sono state mantenute certe popolazioni dell'Est e del Sud-Est europeo e agli odi etnici alimen¬ EE tesi di De Felice sullo stretto nesso tra crisi dell'idea di nazione e crisi della democrazia meritano di essere riprese e integrate con altre considerazioni. Innanzitutto un'osservazione storica per l'Italia. Se la nazione moderna si misura con i criteri della democrazia, allora va riformulata l'affermazione di molti storici che l'idea di «nazione» in Italia sia andata in crisi in modo irrecuperabile con l'8 settembre 1943. Quasi fosse irreversibilmente legata ad un'esperienza non democratica. Al contrario, occorre andare a fondo al paradosso per cui proprio la democrazia italiana non ha saputo valorizzare come risorsa di civismo e solidarismo il senso di una comune appartenenza storica. O, se lo ha fatto, perché lo ha fatto in modo surrettizio. E quindi perché proprio oggi ci poniamo questo problema. Il discorso ci riporta così a quella che De Felice chiama la demotivazione collettiva e quindi Una via contro crisi e localismi: recuperiamo i vincoli comuni vi, diversi da quelli tipici dell'età liberale, ma anche da quelli dell'età democratica e che, anzi, si ricollegano più o meno consapevolmente e coerentemente proprio alla «crisi della democrazia». Ad esempio, per Arturo Carlo Jemolo il motivo per cui il sistema democratico non sarebbe più in grado di affrontare e risolvere i problemi della società contemporanea risiederebbe essenzialmente nel fatto che l'estrema complessità di tati da essa, ma, tutto sommato, destinato a placarsi e a scomparire grazie alla logica irresistibile dello sviluppo economico e del benessere, o se, piuttosto, si deve guardare ad essa come a qualcosa che affonda le sue radici soprattutto in motivi nuo¬ questa non permetterebbe né un'effettiva loro conoscenza (e, quindi, una scelta consapevole tra le soluzioni proposte) né una competente trattazione e gestione di essi da parte delle assemblee legislative e degli stessi governi. Ancora più esplicito è stato Gino Germani che ha affrontato il problema delle disfunzioni democratiche, elencandone due serie. Per un attento studioso come lui della complessa realtà della società di massa e delle spinte, controspinte e tensioni che in essa si generano, il funzionamento oggi della democrazia va visto alla luce di due serie di fattori che non incidevano o incidevano solo in misura minima su quello dei precedenti regimi democratici e liberali. Della prima serie farebbero parte lo sviluppo tecnologico, la modernizzazione e ancor più la secolarizzazione (che oltre un certo limite dissolve come un acido i vincoli di lealtà tradizionali e nega di fatto l'indispensabile nucleo prescrittivo delle norme e dei valori e moltiplica i «diritti» negando in pratica i «doveri») e l'estendersi della comunicazione a livello mondiale (con tutto ciò che essa produce di negativo: visione simbolica, beni simbolici, desideri crescenti autogenerantisi all'infinito ecc.). La seconda serie concerne invece le conseguenze che tali fenomeni avrebbero sull'efficienza del sistema politico sotto il profilo dell'esercizio del governo nei Paesi democratici. Conseguenze che Germani individua soprattutto, per un verso, nella concentrazione del potere al vertice sotto la spinta della necessità di disporre in particolari situazioni d'urgenza di una reale capacità e rapidità a inquieta della nostra epoca, scomparso un anno fa

Persone citate: Arturo Carlo Jemolo, De Felice, Germani, Gino Germani

Luoghi citati: Germania, Italia, Russia, Urss