Duelli sulle vette avvelenate

Odii e tradimenti al limite della morte polemica. Sotto accusa l'alpinismo, schiavo di industria, sponsor, media Duelli sulle vette avvelenate Odii e tradimenti al limite della morte OLPI proibiti sulle grandi pareti. 0 meglio sotto. Cime avvelenate. Il mondo dell'alpinismo, dietro l'immagine dell'eroe «inutile» in lotta per un ideale a dietro quella della cordata simbolo di reciproca solidarietà, rivela invidie, astii, gelosie,' tradimenti, piraterie, più adatte ai set cinematografici o alle scalate in borsa. Vecchi scarponi o colorati pants, scalata artificiale o free climbing, spedizioni himalayane o solitarie dolomitiche, la faccia di ghiaccio di Bonatti dopo la Nord del Cervino o quella abbronzata di Manolo sui gialli strapiombi delle Pale, alpinismo e arrampicata fanno tradizionalmente parte di una cultura e una morale positiva, dove vincono valori come lealtà, coraggio, generosità, abnegazione. Storie come Assassinio sull'Eiger con Clint Eastwood o Grido di pietra di Werner Herzog non sono che fantasie: alpinisti e arrampicatori sarebbero tutti dei Garrone non dei Franti. Ma non è così. «Tanti alpinisti di oggi sono pericolosi mitomani. Di loro non c'è proprio da fidarsi: hanno problemi psicologici, usano metodi omertosi», dichiara Enrico Camanni, direttore della rivista Alp. Sull'ultimo numero ha attaccato tutto l'ambiente. Per tre casi. Ermanno Salvatemi, ottimo dolomitista, frettolosamente dato per morto in Patagonia solo perché qualcuno aveva captato alla radio la notizia di un alpinista morto in un crepaccio, con qualche erre nel nome e un suono sudamericano nella località. Stessa sorte per Catherine Destivelle, prima donna a mettersi in tasca l'Eiger e le Jorasses in due inverni. Infine il caso di Tomo Cesen, accusato dai francesi «di aver contraffatto» le sue solitarie. Ma dov'è finito il mito dell'alpinista bohémien, del puro in lotta con la società dei consumi? «Oggi i campioni stanno quasi tutti bene, non esistono più i "ribelli" degli Anni 60 come Bonatti - dice Camanni -. L'alpinista è un integrato, spesso anzi un figlio di papà e non lo nasconde: Tomas Bubendolfer vive a Montecarlo, è il primo ad ammettere di essere ricco. La montagna non ti riempie corto di soldi, semmai li presuppone. Forse la svolta è stata segnata da Reinhold Messner: lui è un anarchico, dice quello che pensa e critica liberamente il Cai, ma ha fatto entrare nel mondo dell'alpinismo l'industria, gli sponsor, le esasperazioni dei inedia». Anche Piero Dal Prà, ventiduenne di Vicenza, guida a Cortina, nella scorsa stagione il numero uno degli alpinisti italiani, punta l'indice contro: «I personaggi del nostro mondo sono ormai visti soltanto come produttori di exploit, con una competitività fortissima che genera acute rivalità in un ambiente molto ristretto. Così si perde il senso dell'attività e del rischio in montagna. Quando vedo Toni Valeruz scendere in sci della Tofana e del Civetta, dico che è una vergogna: non si può rischiare la vita in quel modo, soltanto per vendere un'impresa, con l'elicottero che ti gira sopra. «Quanto al caso di Tomo Cesen, secondo me nasce dall'invidia verso chi è più forte - continua Dal Prà -. La Sud del Lothsc era forse l'ultimo dei grandi problemi alpinistici. I francesi sono stati lì sotto quattro anni senza farcela: arriva uno che sale da solo, in sessanta ore, senza fermarsi, Siccome non si accetta di essere battuti si inette in dubbio la sua impresa. Si diffondono malignità. A livelli inferiori, si conoscono ormai tanti piccoli episodi del genere. Non si accetta il fuoriclasse. Così nascono anche nell'alpinismo queste piccole storie borghesi. Storie di provincia». In realtà fin dalle origini la storia dell'alpinismo è una storia di rivalità spietate e tradimenti. La prima ascensione del Monte Bianco, duecento anni fa, diede il via a una intricata querelle fra il montanaro Balmat. e il medico Paccard: il secondo avrebbe rubato al primo il merito dell'impresa, secondo una ricostruzione del pittore ginevrino Marc-Théodorc Bourrit, confermata da un'intervista di Alexandre Dumas al bon sauvage. Per oltre un secolo Paccard risulterà di fatto cancellato (complice anche De Saussure, ideatore e finanziatore dell'ascensione). Bisognerà arrivare al 1957 perche si ristabilisca la verità (nel volume-dossier The Firt Ascent of Moni Hlanc di Brown e De Beer). E la conquista del Cervino nel 1865, da parte di Edward Whympor, che segna la nascita dell'alpinismo sportivo, fu l'atto finale di una romanzesca contesa con il valligiano Carrel detto il Bersagliere. Dopo cinque anni di tentativi insieme, non senza incomprensioni, dal versante di Breuil, Carrel accettò, all'insaputa di Whympcr, di guidare una cordata tutta italiana, per soddisfare i progetti nazionalistici del neonato Clup Alpino. Un tradimento che Whymper punì arrivando per primo in cima dal più facile versante svizzero. Ma sarà soprattutto in due periodi di questo secolo, gli Anni 30 e gli Anni 50 che fioriranno leggende di rivalità e spietatezze. Quante vie rubale a chi le aveva cominciate, nella corsa degli Anni 30 alle pareti di sesto grado. Come quando, sulla Mannolada nel 1936, Castiglioni e Detassis sono costretti a scendere, a causa di un'indisposizione di Detassis, e sulle loro tracce balzano subito Soldà e Confòrto finendo la via. Quante maldicenze nell'esa| sperata competizione degli Anni 50 I sui problemi alpinistici europei ed extraeuropei. Come quando, in Pa| tagonia nel 1959, Cesare Maestri | riesce a vincere il Cerro Toire, con Toni Egger che muore in discesa, e al ritorno l'ambiente mette in dubbio la parola di Maestri, aprendo una ferita mai rimarginala. «L'alpinismo è lo sport più carico di agonismo negativo - dice oggi Maestri, l'indimenticabile ragno delle Dolomiti -. Perché non ci sono parametri indiscutibili: il più bravo è quello che arriva primo a fan; una cosa che nessuno ha ancora fatto. Pur di aggiudicarsi una via c'è chi è disposto a tutto. Togliamoci dalla testa che il nostro sia un paradiso con gli angioletti: è pieno anche di figli di puttana». «Le rivalità e le polemiche nascoI no soprattutto intorno al grande i personaggio, solo contro tutti», spiega Roberto Mantovani, direttore della Rhnsta della Montagna, che racconta: «Quando Ignazio Piussi tenta la prima ripetizione della durissima via di Lino Lacedclli alla Cima Scotoni, aperta nel 1952, addirittura con una piramide umana su staffe, non riesce a passare, ma scopre che Lacedelli aveva distrutto con la mazza da chiodi dei pilastrini di pietra in un passaggio chiave. Per rendere impossibile la ripetizione della via». «L'alpinismo è una sfida individualistica in cui si mette in gioco la pelle: non ci si possono concedere debolezze, Insogna essere spietati», dice Pietro Crivellare accademico del Cai e storico dell'alpinismo, che in un saggio sulla rivista Mira degli Affari ha dissacrato anche la cordata: «E' una rinuncia ad andare da soli per una ragione di prudenza: il compagno diventa un attrezzo tecnico, una misura prudenziale. Basta pensare a storiche liti per restare capicordata su tutta una via». 1954, spedizione italiana al K2. Walter Bonatti, il numero uno degli Anni 50 e 60, è stato al centro del caso forse più grave, di cui oggi, dopo averci scritto un libro - Pivcesso al K2 - non vuole più parlare. Salito con uno sherpa a portare l'ossigeno a Compagnoni e Lacedelli, dovette passare l'intera notte in una buca di neve a ottomila metri: i due non lo aiutarono a raggiungere la loro tendina, dissero di non avere sentito i suoi richiami. Ma il dubbio terribile è che non volessero far posto a un concorrente più fòrte, che sarebbe stato capace di salire in cima anche senza ossigeno. «Non è l'alpinismo che può fare migliori gli uomini. Sono gli alpinisti che secondo la loro personalità e cultura fanno migliore o peggiore l'alpinismo.- dice oggi Bonatti con pacatezza, al telefono dalla sua casa in Valtellina -. Certo la montagna migliora l'uomo quando la vive come nutrimento dello spirito e quando ne fa competizione con se stesso. La grande natura e la dura lotta possono risvegliare ciò che di positivo è latente in noi. Ma poi l'alpinista rientra a valle e torna a essere l'omuncolo che la vita ti costringe ad essere. In definitiva la montagna migliora solo chi è già portato a migliorarsi, Il resto è retorica». Ma ci sono anche le buone notizie. Per i quarantanni del K2 sembra che il Cai voglia riconoscere che Bonatti aveva ragione su come andarono le cose sulla montagna degli italiani. Carlo Grande Alberto Papuzzi Cesare Maestri vinse il Cerro Torre ma i colleghi non gli credettero Bonatti abbandonato in una buca a 8 mila: «Non lo sentimmo» Qui accanto: Walter Bonatti e (a sinistra) Cesare Maestri. Sotto: il K2 La montagna non è soltanto natura inviolata. Sopra: Reinhold Messner

Luoghi citati: Breuil, Cortina, Montecarlo, Vicenza