La RADIO sfida il Far West di Aldo Grasso

Parte oggi la rivoluzione sulle tre reti della Rai: parla il direttore unico Aldo Grasso Parte oggi la rivoluzione sulle tre reti della Rai: parla il direttore unico Aldo Grasso La RADIO sfida il Far West I w\\ MILANO Il ROFESSOR Aldo Grasso, V da oggi cambia la radio della Rai: informazione e I—*—I buona musica leggera per la prima rete, intrattenimento per la seconda, cultura per la terza. Il cambiamento porta la sua firma. Perché lei ha lasciato l'insegnamento alla Cattolica e la critica televisiva sul ((Corriere della Sera» per entrare in Rai? Per potere? Per denaro? «Per carità. Si stava meglio a fare la critica tv. A 45 anni ho scoperto che ho le ferie». Quanto guadagna? «Un centinaio di milioni l'anno. Lordi». Che cosa allora l'ha indotto a accettare? «Mi son detto: "Se hanno cercato me, che ho sempre combattuto la lottizzazione e ho dato bastonate alla Rai, vuol dire che hanno davvero voglia di nuovo". A dire di no mi sarei sentito un vigliacco. Una scelta morale». Via i tre direttori di rete, un direttore unico come lei: la radio può essere il laboratorio che Gambiera la tv? «Credo che ci stiano pensando. E' alla radio che per ora avviene la vera rivoluzione: strategia di mercato, prodotti diversi nelle tre reti. Un ritorno all'antico, ma in tutt'altro contesto: il Far West radiofonico è molto più spaventoso di quello televisivo. Ci sono situazioni imbarazzantissime: in Sicilia le radio private sono più numerose che in Lombardia. Mafia? Certo è che avere una radio è costituire un territorio. Regole del gioco chiare per tutti sono il vero impegno civile». Scelta morale, impegno civile: che cosa risponde a chi l'accusa di moralismo? «Che non bisogna vergognarsene troppo. Ai partiti credo che dopo le elezioni torni la voglia di mettere le mani avanti. Tre sono le armi per reagire: professionalità, tensione morale, andarsene via. Io sono pronto... Ho una casa a Dogliani vicina a quella di Luigi Einaudi, vigna contro vigna. Il mito einaudiano per me esiste davvero; dentro quella casa vedo un'elegante sobrietà. Einaudi la sera aveva la follia simpatica di tenere i conti persino dei francobolli. Io faccio anche questo: trovo giusto riportare un po' d'ordine nel caos che c'era in azienda. Mi trovo la sera a passare i tabulati del computer e vedo le dotazioni dei giornali: sono sterminate e senza senso. Alcune mazzette entrano ed escono intonse dall'azienda. Giri incredibili. Devo fare anche i conti della serva». Come reagisce ai manifesti in Rai contro di lei? «Ci sono scritte, non manifesti. Una dice: "27 marzo, Grasso che cala". E' simpatica e mi va bene: se il mio esser lì è legato ai partiti, me ne andrò dopo le elezioni». Chi la contesta di più? «I contrattisti, che sono circa 500. lo devo prima far lavorare gli interni dell'azienda. Molte persone, per contrasti precedenti o per i soliti giri all'italiana, da anni e anni non erano nella produzione. E' intollerabile che chi rimane in Rai, in questo momento di difficoltà finanziaria, non lavori. Ne abbiamo comunque recuperati 65, di contrattisti, con criterio meritocratico. Per molti collaboratori il contratto, secondo sistemi inveterati, era una specie di foraggiamento. E trovo un po' esagerato che alcuni giornali abbiano sposato la causa di questi contrattisti. E' demagogia». Le si rimprovera di ingaggiare divi della tv come Chiambretti, Fazio, Ippoliti. Non costano troppo? «Uno: è assurdo oggi mettere steccati fra i mezzi. Due: sono nomi che fanno da locomotiva, il beneficio cioè ricade su tutta la radio. Tre: non sono costosi. A tutti ho detto: "Non c'è più trippa per i gatti". Sono venuti con contratti ridicoli». Perché non dice mai nulla sulle sedi regionali Rai? «Sembra quasi un racconto kafkiano: alle volte non si sapeva neanche chi, nelle sedi, apparteneva alla radio e chi alla tv. E' in corso una specie di censimento. Una cosa spaventosa. La mia idea è di far uscire le sedi periferiche dai ghetti: dovranno collegarsi con noi non con rubriche fisse, ma nei programmi di maggior ascolto». Come pensa di migliorare la dizione di chi parla alla radio? «Negli Anni 70 è avvenuta una rivoluzione scomposta: il passaggio dalla lingua scritta alla lingua parlata. Gli aspetti innovativi vanno conservati: anche gli errorini, gli anacoluti, le ripetizioni hanno una loro espressività. Però adesso dobbiamo apportare due correzioni: la prima è che la radio nazionale non è romanocentrica; la seconda è l'eliminazione del cosiddetto cazzeggio, delle parole che non interessano nessuno. Ciri va al microfono deve recuperare la coscienza di parlare in un network nazionale e deve esibire una competenza. Non sopporto l'imparaticcio. A me la radio priva di forma non interessa... Da piccolo avevamo in casa una Telefunken di legno, con le valvole che si surriscaldavano e si rompevano. La si guardava, non la si ascoltava soltanto. Io mi perdevo... Prima stavo a Sale delle Langhe, dove mio padre aveva l'unico spaccio. Vendeva di tutto, dalla carne al pane, al filo. Mio nonno faceva il vino, il dolcetto. Poi siamo andati a Savona, dove un Natale mi regalarono una radio più moderna. Ascoltavo Gran varietà: uno dei miei divertimenti in Rai è rintracciare registi e tecnici e farmelo raccontare». Quali sono i principali difetti che ha trovato in Rai? «"Guardi che la radio non si sente", ho detto all'ingegner Vannucchi, nuovo anche lui, responsabile del- l'hardware. Lo sapeva già, e la prima cosa che ha fatto è di investire i pochi soldi che ci sono nel migliorare il segnale d'ascolto. Nel clima dell'Italia che speriamo di abbandonare, si spendeva negli studi, negli appalti, nelle cose di facciata e non sostanziali. Inoltre la Rai, per un accordo con lo Stato, non può superare una certa potenza d'emissione. Adesso cerchiamo di rimediare: per non commettere lo stesso errore dello scontro frontale tra tv, puntiamo a rapporti diretti con le private per giungere al più presto a una regolamentazione, d'accordo con il ministero. E' in atto nel mondo una rivoluzione tecnologica: si sta passando dal segnale analogico a quello digitale, computerizzato, preciso e di altissima qualità. Il rischio è il suicidio globale della radio in Italia». Un altro difetto di fondo? «La burocrazia, la struttura ministeriale. Con imboscati, contratti di comodo, sterminati apparati cartacei. "Se vuoi l'are un programma, devi aprire una pratica", questo è lo slogan. I cosiddetti supporti sono da sfrondare, perché aumenti il numero di chi lavora direttamente ai programmi. Ho trovato insomma una radio un po' seduta, ma la voglia di riscatto c'è, l'orgoglio radiofonico esiste ancora, benché sopito e incattivito. Occorre rimotivare. Ognuno aveva una nicchia e i settori non comunicavano: di qui ripetizioni, improvvisazioni, privilegi. Un libro al mattino veniva esaltato, al pomeriggio stroncato, la sera un'altra cosa ancora. Mancanza di linea editoriale, spacciata per pluralismo». Aldo Grasso, che cos'era per lei la critica televisiva? «Un corpo a corpo estetico, un esercizio di stile, unica arma di fronte al magma. Di una trasmissione privilegiavo la fattura tecnica, bnguistica». Quale radio sogna? La radio per lei è ancora una sirena? «Al canto delle sirene si poteva naufragare, diventare un'altra persona. Ulisse invece si fa legare all'albero e mette la cera nelle orecchie dei rematori: all'incantesimo oppone la razionalità. E' un furbone: lui vuol tornare a casa. E chi se ne frega, di tornare a casa: lasciatevi andare, naufragate con la radio. La suggestione, l'emozione, il gioco sono più importanti di ogni pedagogia. Il mio libro preferito è Bouvard e Pécuchet: la conquista della cultura ha anche aspetti divertiti e divertenti. "Esageroma non", mi dicevano i miei: non prendiamoci troppo sul serio... Una radio che non si ascolti in ciabatte, che riconquisti un po' il carattere di cerimonia e strappi l'ascoltatore dalla quotidianità. "La quotidianità uccide tutto", diceva Tolstoj. E il barone di Miinchhausen si tirava su con il codino e guardava dall'alto: così dovrebbe essere la radio. Produrre uno sguardo differente, uno scarto. Il mio sogno massimo». Professor Grasso, di lei dicono che è un intellettuale snob. Che cosa risponde? «Non mi dispiace. Vuol dire avere un po' di diversità». Quale difetto si riconosce? «Sono molto chiuso, un solitario. Ammetto che ho difficoltà di rapporti. In Rai mi prendono in giro, dicono che sono un piemontese come ai tempi di Porta Pia. Entro alle otto e mezzo ed esco alle nove di sera. Ma non vorrei passasse anche questo per snobismo... "La vera profondità sta in superficie", diceva Hofmannsthal. La radio si perde nell'etere, è uno strumento superficiale: la sfida è di riuscire a mettere qualcosa di profondo in quella grazia e leggerezza. Mi piace mescolare il serio con il faceto, nascondere temi serissimi dietro una patina di battute. E preferisco Fenoglio a Pavese, perché i suoi personaggi hanno una vena di follia». Claudio Alta rocca «Qui ognuno aveva la sua nicchia, devo fare anche i conti della serva» «Un caos peggiore di quello televisivo: occorrono regole del gioco chiare per tutti» '*^^,>v*>**~—.... A sinistra, Fabio Fazio. A destra, Piero Chiambretti

Luoghi citati: Italia, Lombardia, Milano, Sale Delle Langhe, Savona, Sicilia