Gara contro il tempo per l'Europa dei 16 di Aldo Rizzo

Gara contro il tempo per l'Europa dei 16 OSSERVATO!!® Gara contro il tempo per l'Europa dei 16 |pMRHP- ■ HH ■ HE confusione in ^^^À Europa, in un momento così delicato c diffìcile per il mondo intero. Domani, a Bruxelles, comincia un'ennesima corsa contro il tempo della Comunità, ora Unione, europea. Si tratta di vedere se sarà possibile sottoporre al voto del Parlamento di Strasburgo l'adesione dei quattro nuovi candidati (Austria, Finlandia, Svezia e Norvegia) prima che il Parlamento medesimo si sciolga per le elezioni europee di giugno. In caso negativo, il passaggio dell'Unione da 12 a 16 membri, ufficialmente previsto per il 10 gennaio 1995, e che comunque dev'essere ratificato da austriaci e scandinavi mediante referendum popolari, slitterà quanto meno al 1996. Rendendo ancora più complicata l'intera prospettiva dell'«allargamento», che ha altre scadenze o ipotesi, da qui al Duemila, come Malta e Cipro, e i Paesi ex comunisti dell'Est. I problemi sono due: bisogna ancora completare l'accordo di adesione della Norvegia, per una modesta questione di diritti di pesca, tenuta viva dalla Spagna; e soprattutto occorre che i Dodici, cioè gli Stati già membri, si accordino fra loro su cosa cambierà nei meccanismi di decisione del Consiglio dei ministri (il massimo organo deliberante dell'Unione) quando sarà aumentato il numero dei soci. Anche su questo secondo e più importante problema, che tiene sospesa la stessa adesione di Austria, Finlandia e Svezia, è la Spagna a tirare la corda. D'intesa con la Gran Bretagna. E c'è una ragione. La Spagna, che ha la più grossa fiotta peschereccia europea, vuole maggiori quote di accesso alle acque norvegesi, e più generalmente chiede che non sia intaccata la cosiddetta «minoranza di blocco», che può impedire una «maggioranza qualificata», nel Consiglio dei ministri, su questioni che toccano in profondità ('«interesse nazionale», economico e politico. Con motivazioni diverse, ma parallele, gli inglesi vogliono la stessa cosa. La «blocking minority» è ora di 23 voti su 76 (tenendo conto che i Paesi grandi hanno quattro voti ciascuno, contro i tre e i due degli altri), sarebbe di 27 contro 90 in un'Europa a sedici. Insufficiente, o rischiosa. per impedire una maggioranza nordica contro gli interessi «mediterranei» o, nel caso britannico, contro gli interessi 0 i pregiudizi «insulari». Sembrano tecnicismi, di quelli che allontanano, non da oggi, la gente dal discorso europeo. Ma c'è una posta in gioco politica non indifferente, anzi decisiva (quindi con effetti indotti sulla vita di tutti). La posta in gioco è se l'Europa, allargandosi, com'è nel suo destino, dopo la fine della Guerra fredda, debba progressivamente paralizzarsi, per una difficoltà crescente di prendere decisioni concrete, e quindi debba ridursi a una grande o grandissina area di libero scambio; o se invece debba procedere sulla strada di una comunità politica, e non solo economica, integrata, capace di fare ascoltare la sua voce nel mondo. Non stupisce che la Gran Bretagna sia per la prima ipotesi, meraviglia un po' più la Spagna. E l'Italia? Nella confusione europea, c'è un piccolo mistero italiano. Ciampi e Andreatta hanno sempre detto, lodevolmente, che non bisogna perdere di vista l'integrazione politica e che anzi all'allargamento dell'Ue deve corrispondere il rafforzamento di un nucleo centrale o «duro», tendenzialmente federale. Ma ora l'«Economist» afferma che «sotto voce» (in italiano) il governo di Roma appoggia le tesi restrittive di Madrid, e per altri versi di Londra, magari pensando anch'esso a immediati interessi di blocco mediterraneo, con Spagna e Grecia. Sarà vero? Aspettando una risposta, se ci sarà, se cioè non sarà diluita nel mare aperto del negoziato comunitario, si vorrebbe comunque che simili questioni (che non attengono a un generico ideale di Europa, ma allo stretto contesto in cui opererà l'Italia più o meno rinnovata) avessero uno spazio nella campagna elettorale. Ma mi pare proprio di no. Aldo Rizzo

Persone citate: Andreatta, Ciampi