Dopo il lungo viaggio di Biagi la Cina diventa più vicina? di Alessandra Comazzi
Dopo /7 lungo viaggio di Biagi la Cina diventa più vicina? TIVÙ'& TIVÙ' Dopo /7 lungo viaggio di Biagi la Cina diventa più vicina? ANCHE in televisione ci sono le mode, anche nel giornalismo: il reportage, a esempio, è un genere passato di moda. Perché facilmente costoso, perché ha un ritmo ampio non coerente ai tempi, perché, per seguirlo, o per leggerlo, è necessaria quell'attenzione che si suppone il telespettatore, il lettore frettoloso, non abbiano più. Perché il reportage non è modulare, non lo puoi acchiappare dove e quando vuoi come i racconti di «Beautiful»: ha un principio, uno sviluppo e una fine, e una parte non è intercambiabile con l'altra. E così Enzo Biagi è andato in controtendenza realizzando «La lunga marcia», un reportage televisivo fatto in Cina. Non è un racconto di viaggio, non è neppure un'analisi didascalica di quel grande Paese così lontano da noi, così sconosciuto, eppure sempre più presente nel mondo occidentale. E' una descrizione per immagini di quel luogo misterioso, difficile da capire, con una civiltà plurimillenaria che fa impallidire la nostra. Un luogo mitico, nel passato lontano e nel presente, il Celeste Impero e la Città Proibita, Mao e la Rivoluzione culturale, «L'ultimo imperatore» e «Lanterne rosse», la Muraglia e i guerrieri di terracotta, i ristoranti e la mafia che fa concorrenza alla nostra. Poi i cinesi, tanti, abilissimi, grandi commercianti, minacciosi: se la Cina si mette sul mercato con la sua potenza e il suo tradizionale talento, che cosa accadrà? E nel mondo dello sport? «Arrivano i cinesi, arrivano nuotando, dice Ruggero Orlando: domani sono qua», cantava la vecchia canzone di Lauzi, ai tempi dei bagni di Mao Tse Tung o Zadong, secondo l'attuale traslitterazione, nel Fiume Azzurro, quando si immaginava che il Grande Timoniere, già avanti con gli anni, fosse sostenuto da un sommozzatore. Insomma, l'Oriente è l'antonomasia, la figura retorica del mistero, come si può pretendere di capirlo, e soprattutto di farlo capire in televisione? Ecco, il programma di Biagi ha il merito di essere soprattutto descrittivo, con immagini e interviste che rappresentano momenti di realtà cinese: un funerale con tamburi e fuochi d'artificio (un'invenzione di là, si usavano già ai tempi di Marco Polo), ripreso a Taiwan perché nella Cina Popolare non hanno dato il permesso; una sala d'ospedale dove sono ricoverate alcune donne che hanno appena partorito il loro unico bambino (vista la drammatica progressione delle nascite, norme tassative vietano di avere più di un figlio); l'incontro con una prostituta che dice come ha cominciato; bambini che cantano in coro per ricordare la lunga marcia; un plotone militare che interpreta, con fucile e baionetta innestata, una.specie di danza di guerra, al comando di un, chissà, sergente maggiore, nei confronti del quale Louis Gosset jr. di «Ufficiale e gentiluomo» è una debole macchietta. Certo, neppure alla fine del programma di Biagi capiremo com'è la Cina e che cosa ci sta succedendo: però ne sapremo qualcosa di più. E' questo che ci aspettiamo dal lavoro dei giornalisti. Alessandra Comazzi
Persone citate: Biagi, Enzo Biagi, Lauzi, Louis Gosset, Mao, Muraglia, Ruggero Orlando, Tung
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