Berenson sotto il vestito ALTMAN di Simonetta Robiony

vestito m Incontro con Fattrice-fotomodella che interpreta a Parigi «Prèt-à-porter» sotto vestito mm ROMA. Marisa Berenson, fotomodella, attrice, ambasciatrice dell'Unesco, ma poi anche nipote per parte di madre della grande sarta Elsa Schiaparelli che tenne testa a Coco Chanci, che era sua nonna, e ancora nipote per parte di padre del famoso critico d'arte Bernard Berenson che era il suo prozio, e poi madre, moglie ed ex moglie, amica, artista, musa ispiratrice e ispirata, è soprattutto Marisa Berenson. Nel senso che nessuna delle molte qualifiche, alcune come le parentele di peso francamente insopportabile, sono riuscite mai a qualificarla in pieno perché Marisa Berenson è autoreferente. Tuttora bellissima a più di quarant'anni, pelle levigata, mani e piedi lunghissimi, una pioggia di collane sopra tunica e pantaloni beige ed écru come, scherzando, quelli di Avanzi sostenevano si sarebbe dovuto intitolare il programma di Santoro «Il rosso e il nero» in questa infuocata vigilia elettorale, è a Roma in uno di quei suoi viaggi che non si sa mai bene se sono di lavoro o di diletto: un po' per incontrare amici, un po' per andare in tv da Piero Angela, un po' per passcjjgiare nel centro della città. Ha appena interpretato con Enzo Doria, un regista italiano che di solito fa il produttore, «Ogni scimmia ha il suo ramo», storia di una miliardaria alla deriva che ritrova le radici a casa sua, in Brasile, dedicandosi ad aiutare bambini abbandonati, un film che certo non è autobiografico ma potrebbe esserlo, ed ora si appresta a tornare a Parigi per prender parte, anche lei, a «Prét-à-porter» il kolossal satirico sulla moda che Robert Altman vuol girare per dimostrare come il vestito nasconda, fino a fuorviarla ormai, la vera natura dell'uomo. Ma più che di lavoro Marisa Berenson parla di sentimenti: energia, passione, solidarietà, pietà, simpatia. Sentimenti partecipati, ma che nel suo meraviglioso italiano da straniera appaiono avvolti da una nebbiolina, impalpabili e inconsistenti. Perché Marisa Berenson, immagine mitica dell'eleganza senza tempo, è soprattutto il simbolo della Buona Educazione, quella cosa che non è tanto sapere come si sgusciano i gamberetti con forchetta e coltello quanto sforzarsi di vedere il mondo con sguardo elevato, una vocazione che le grandi famiglie d'un tempo passavano ai propri rampolli e che ormai a portai' in giro nel mondo è rimasta lei sola. Ed è questo, forse, che la rende tanto speciale, fino a creare perfino imbarazzo in chi l'avvicina e si sente goffo, inadeguato, petulante con le proprie domande. Anche se, si capisce, non deve esser facile rappresentare la Buona Educazione in una società come quella d'oggi che sgomita e alza la voce anche quando non serve. Ma d'altro canto, quanta arditezza occorre per battezzare, senza cadere nel ridicolo, la propria unica figlia Starlight, ovvero Luce di Stelle. Se non Berenson, chi avrebbe osato tanto? Che passaporto ha signora? «Quello americano perché sono nata in America. Ma a due anni ero a Parigi. E poi ho vissuto ovunque: Italia, Inghilterra, Francia, Svizzera». Seguiva la famiglia di suo padre diplomatico? «No. Ero in collegio. Ho visto solo collegi da bambina». Vantaggi? «Ho imparato la flessibilità e quattro lingue. Ho guardato alla vita con ampiezza, ma sono stata molto sola». Di che Paese si sente? «Cittadina del mondo». Oltre che negli alberghi dove vive? «Ho due case, a Parigi e a New York. Parigi perché è la città più bella per una donna che vive sola, New York perché mi comunica quell'energia di cui sento di aver bisogno». Sua figlia vive con lei? «Adesso no. E' in California con il padre e sei fratelli. Ha sedici anni, mi pareva opportuno che avesse una famiglia che sta in campagna, coi cavalli e l'aria aperta. E' carina. Ha già fatto alcune foto di moda con Steven Mysell che le hanno dato fiducia in se stessa. Tornerà con me per l'università». Lei che fa? «Faccio cinema. In America il cinema funziona. l'Europa produce poco. Peccato. Sta perdendo la sua identità culturale. E poi faccio campagne pubblicitarie di moda. Ho la fortuna di essere molto ricercata Negli Stati Uniti si valorizza adesso la donna sopra i quarant'anni perché finalmente si è capito che si può essere attraenti e desiderate anche se non si è più giovani. E a me piace passare alle donne questo messaggio positivo. Le aiuto a invecchiare bene». Isabella Rossellini, a Milano, ha sfilato per la prima volta, lei è mai andata in passerella? «No, ma potrei farlo. Io ho cominciato con Diane Vreeland che dirigeva Vogue America e allora la fotomodella non faceva l'indossatri- ce: erano due destini diversi». Le piacciono le top model di oggi? «Naturalmente sono bellissime, ma ho l'impressione che non sarà facile per loro inventarsi un'altra camera dopo». Lei perché ha cominciato? «Per avere indipendenza. Mia nonna non voleva ma io l'ho fatto lo stesso e ho avuto subito il massimo I del successo possibile». Anche col cinema è stato lo stesso: subito Visconti e Kubrick, poi però, anche se ha fatto tanti film, la carriera s'è fermata. Non pensa di essersi dispersa? «No. Sono maturata. So di essere una privilegiata, ma chi ha ricevuto molto dalla vita deve anche imparare a restituirlo. Io ci sto provando». In che modo? «Intanto ho letto molto e ho affinato la mia sensibilità: ho una mia religione filosofica per cui credo in Dio e negli uomini. Sempre. Contro ogni evidenza». E poi? «Da qualche tempo sono stata nominata dall'Unesco Ambasciatrice di Buona Volontà. Giro il mondo per raccogliere fondi e far circolare la speranza. Tra poco sarò in Bosnia a inaugurare alcune scuole per bambini, senza distinzione di razza e di religione. E poi ho realizzato un progetto che aiuta gli artisti handicappati di tutto il mondo a esprimere la loro arte». Lei si sente un'artista? «Sì. Mi riconosco in questa definizione. Ma ne preferisco un'altra». Quale? «Marisa Berenson: un essere umano». Sono passati oltre vent'anni dalla sua prima apparizione pubblica e lei appare immutata, come se fosse stata perfetta e completa fin dal principio. «Non è vero. Allora io ero una ragazza con una forte vocazione sprituale e un'altrettanto forte vocazione mondana, in lotta tra loro. Adesso ho fatto una sintesi». Simonetta Robiony Una quarantenne bella e cosmopolita «Aiuto le donne a invecchiare bene» Foto grande: Marisa Berenson e qua sopra l'attrice con Visconti I Robert Altman ha voluto la Berenson in «Prèt-à-porter» il kolossal satirico sulla moda