I vicoli ricantano il Te Diegum di Gabriele Romagnoli

I vicoli ricantano il Te Diegum I vicoli ricantano il Te Diegum «Lui non c'entra, cólpa del Biscione» LA CITTA' E IL SUO IDOLO NAPOLI DAL NOSTRO INVIATO Venerdì. E' una notte senza allegria nella piazza di Santa Maria degli Angeli. L'accendono otto ragazzi che sbucano dai vicoli con un pallone sotto braccio. Quattro contro quattro e si comincia. Il più forte ò un moretto con la maglia a righe. Avrà undici anni come il baby-scippatore del rione Sanità arrestato in mattinata. Se ci fosse il sole dribblerebbe anche la propria ombra. A mezzanotte, invece, si limita a due avversari, poi spiazza il portiere e, mentre la palla va a infilarsi imparabilmente nella rete che non c'è, lo sfotte alla maniera napoletana: «Apara purtié». La partita ò finita. Sabato. E' una mattina senza luce sul lungomare di Mergellina. C'è foschia. I giornali hanno titoli su Napoli capitale dello smog e sull'invito per vecchi e bambini a non uscire di casa nelle ore di punta per non respirare il sovrac carico di smog. 11 traffico è melma. Piazza Garibaldi è devastata dai lavori in corso per ospitare il G-7. Il penalista Claudio Botti esce dal tribunale dei veleni ed entra nella città avvelenata. Sottobraccio ha un manifesto. Annuncia una serata d'incontro al cinema Astra per martedì, organizzata dal suo comitato, quello che realizzò il «Te Diegum», scambiato per un rito in onore di Maradona e invece metafora per partire di Napoli attraverso il calcio. Ora si replica. Immagine sul manifesto: gruppo di tifosi che esulta per il secondo scudetto esibendo uno striscione con la scritta «Napoli festeggia, Berlusconi si amareggia». Titolo della manifestazione di martedì: «Apara bisciò». Ci sono partite che non finiscono mai. Napoli-Milan, sei anni contro, due mondi e due modi di essere diversi, uno solo che può sopravvivere: non c'è pareggio. La sfida comincia il 10 maggio del 1988. E' la partita incriminata, quella del sorpasso rossonero. Il pentito Pugliese dice che fu Maradona a venderla alla camorra. A Napoli non gli crede nessuno. Non Oscar Nicolaus, psicologo «che ha visto Maradona accanirsi per vincere anche in allenamento». Non Vincenzo Scudellaro, capo-tifoso: «C'è poco fango per fare pallottole, il Milan non rubò, era più forte». Vinse 3-2, nonostante un magistrale gol su punizione di Diego, che Pugliese non giustifica. Ci sono partite che si rigiocano per una vita. Una volta in campo e mille nella testa. Rigiocandola e facendola finire in parità, quella partita avrebbe cambiato il corso di molte storie: il Napoli avrebbe vinto il secondo campionato consecutivo e avviato un ciclo, invece dell'epurazione che seguii. Sacchi, il geniale Sacchi, non avrebbe conquistato il suo unico scudetto. Migliaia di napoletani si sarebbero arricchiti con le vincite al Totonero che pagava incredibilmente a mezzo un successo che sembrava inevitabile. Berlusconi non avrebbe portato la squadra a vincere quelle coppe che oggi gli sembrano un solco di merito incolmabile tra lui e il suo avversario elettorale Luigi Spaventa. Senza quello scudetto, Berlusconi forse non sarebbe mai sceso in campo, come fa oggi, candidandosi alla Camera proprio a Napoli. «Apara bisciò». Forse glielo disse sottovoce anche Diego Maradona, quando si prese la rivincita per tutta Napoli, due anni dopo. Era la notte del 27 aprile del 90. Maradona entrò a Forcella, regno dei Giuliano, e si recò davanti all'«altare» che raffigurava un Berlusconi piangente e sostò in ironica preghiera tra i sorrisi dei presenti. Pochi giorni dopo il Napoli si ricucì lo scudetto sulle maglie nello stadio di San Paolo gremito da 80 mila spettatori. Una vita fa. Oggi al San Paolo gioca il Piacenza. Ci saranno 15 mila spettatori circa. Maradona ò lontano e la sua leggenda sempre più nera. La maglia numero 10 ò sulle spalle dell'esangue svedese Thern. Il Napoli Calcio di Ferlaino non paga gli stipendi ai giocatori e si avvia al fallimento. Il Milan si avvia al terzo scudetto consecutivo, Berlusconi a conquistare Napoli. Per ora ha mandato avanti i suoi candidati, simbolo comune con il movimento sociale italiano, tra cui spicca l'avvocato Alfonso Luigi Marra, quello che compra valanghe di pagine sui quotidiani por pubblicizzare i suoi libri. A vedere Napoli-Piacenza non ci sarà neppure Vincenzo Scudel¬ laro: «E che ci vado a fare? Non mi diverto più. Sto a casa e guardo la televisione. Non ci vanno più neppure i miei due figli maschi e i mariti delle mie due figlie femmine. Che io non vada alla partita e come se il Papa non andasse a Messa, ma ci sto troppo male a vedere la squadra trascinarsi così». Tutta Napoli indica un solo colpevole: Ferlaino. Scudellaro non fa eccezione: «Quello va depennato. E' fallito, deve pagare i suoi errori e andarsene». Affiora la nostalgia del padre, dell'uomo forte: «Come fece Lauro, che in punto di morte disse: vendete tutto e pagate i dipendenti. Che si venda pure lui l'istituto del Sacro Cuore, le ville di via Tasso e di Capri, paghi i giocatori e se ne vada. E venga un altro al suo posto». Un altro, ma chi? Per l'avvocato Botti proprio lì è il cuore del problema di Napoli e del Napoli: «C'è tanta voglia di cambiare che chiunque sia nuovo, venga e si proponga per la squadra o per il governo, se li prende tra gli applausi. La gente qui ha una vocazione a personalizzare gli affetti. La disaffezione alla squadra è dovuta anche alla brutta conclusione della vicenda Maradona. Ora cerca un nuovo idolo, nel calcio come in politica. Ma il Napoli di Diego era trasgressione nel gioco e nel comportamento. Con lui per la prima volta si affermò una città che non seguiva regole. Ora si sta imponendo un modello opposto, quello del Milan, fondato sulla violazione delle regole dall'interno del sistema. Per questo nella serata di martedì proietteremo una serie di filmati che vanno dal ritiro della squadra contro il Marsiglia, alla scorrettezza della palla non restituita all'Atalanta, dimostrando come il diffondersi di questo modello sia pericoloso anche per Napoli». Se un pericolo c'è, nessuno sembra accorgersene. Al Bar dello Stadio hanno indetto una riunione straordinaria per respingere le calunnie sulla partita dell'88 e rispondere alle voci sulla cessione di Fonseca. Chiunque po¬ tesse garantire il ripetersi di una sfida scudetto, con un Napoli da competizione, sarebbe il benvenuto, qualunque metodo proponesse. Fosse anche lo stesso Berlusconi. In piazza Bellini il manifesto che annuncia la serata «Apara bisciò» è stato strappato e dato alle fiamme. Lo ha fatto un gruppo di ragazzi di destra. Cinque ragazzi di Napoli hanno bruciato per spregio un poster in cui si vedono tifosi azzurri fare festa sbeffeggiando il presidente della squadra avversaria. Sembra troppo anche per la città dei paradossi. Forse la partita è davvero finita. Il Biscione non solo para, ma vince gli scudetti e imprime il suo modello anche nell'immaginario di Napoli. Resta da rispettare un'ultima formalità, domenica 27 marzo, giorno delle elezioni. Per una curiosa coincidenza, se mai ne esistono, il campionato di calcio propone per quella data Napoli-Milan. Di questi tempi, se qualcuno dagli spalti lancerà lo sfottò «apara purtié», c'è da giurarci che sarà per quello del Napoli, Tagliartela, che giocava in CI ai tempi di Maradona, una vita fa, quando la trasgressione era al potere e Napoli, per una stagione, non viveva di nostalgia. Gabriele Romagnoli Corrado Ferlaino, ex presidente del Napoli «Il nostro sogno è stato spezzato anche da Ferlaino»