Moretti il Festival che non colse I suoi fan e i colleghi divisi tra soddisfazione e disappunto di F. C.
Moretti, il Festival che non colse Moretti, il Festival che non colse I suoi fan e i colleghi divisi tra soddisfazione e disappunto ROMA. Mattina ore 12: «Dirigere la Mostra del cinema di Venezia? Non se ne parla neppure». Pomeriggio ore 16: «Ma bastano quattro mesi per mettere in piedi una Mostra del cinema?». Indecisione d'autore, tipica del personaggio: Nanni Moretti poteva diventare il nuovo direttore della Mostra del cinema di Venezia, i suoi fans hanno atteso la nomina col fiato sospeso, i suoi colleghi, registi italiani, hanno oscillato tra la soddisfazione sincera e il disappunto malcelato. Qualcuno ha già insinuato: «Accettare, per lui, sarebbe stato un po' un cedimento...». Cedimento perché? Perché le cariche ufficiali e il prestigio che ne deriva c'entrano poco col «morettismo». Perché in principio Nanni Moretti è stato un autarchico: lontano mille miglia dai centri del potere, dalle buone maniere obbligatorie nei rapporti ufficiali, dagli inevitabili lustrini di un festival, dai riti mondani anche se intel- lettuali. Difficile immaginare Moretti alla guida del Festival, anche adesso che ha 40 anni compiuti il 19 agosto scorso in un mare di celebrazioni sui giornali. Schivo, mai accomodante, moralista con ostinazione, nemico giurato dei luoghi comuni e dei modi di dire alla moda (guai a pronunciare in sua presenza la parola «trend»), Moretti avrebbe fatto di certo una Mostra a sua immagine e somiglianza. La Mostra di un outsider violentemente antiedonista, capace di levare il saluto a vecchi amici per una divergenza di giudizio estetico su un film. Nanni Moretti è diventato autore di culto a 23 anni, nel '77, con il superotto «Io sono un autarchico», subito celebre per la battuta-mito «No, il dibattito no!». L'anno dopo ha girato «Ecce bombo» («Mi si nota di più se non vado alla festa, o se ci vado e me ne sto in disparte?») e nel '78 ha firmato il felliniano «Sogni d'oro», Premio Speciale alla Mostra di Venezia. L'84 è l'anno di «Bianca» con Nanni Moretti protagonista ossessionato dalle nevrosi, implacabile persecutore delle «coppie aperte» che di notte cura l'insonnia affondando il cucchiaio in un enorme barattolo di Nutella. Ne «La messa è finita», uscito nell'85 e considerato da molti la sua opera più intensa e compiuta, Moretti diventa prete, don Giulio, e conclude la celebrazione sacra sulle note di un vecchio motivo di Bruno Lauzi: «Ritornerai... lo so, ritornerai». Nell'89, in una scena di «Palombella rossa», Moretti dichiara: «La vita di un uomo è sporcata per sempre se qualcuno ne parla su un settimanale». Di lui, però, i settimanali parlano spessissimo e mentre il «morettismo» diventa sempre più intransigente, l'autore fonda una casa di produzione che è anche una scuola di pensiero e di stile: nasce la «Sacher Film», vengono tenuti a battesimo giovani autori morettiani come Luchetti e Mazzacurati e, nell'ottobre del '91, a Roma, nel cuore di Trastevere, viene inaugurato il cinema «Nuovo Sacher» dove saranno proiettati solo film scelti e amati da Nanni Moretti in persona. L'esperienza della malattia, il legame con la «fidanzata» Silvia Nono, l'amore per Roma, un modo più lieve e meno indignato di guardare la vita sono descritti nell'ultimo film, «Caro diario», di cui si dice che dovrebbe partecipare al prossimo Festival di Cannes. [f. c.]
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