Favori ai boss altri due giudici nei guai di Fulvio Milone

Il pentito Galasso li accusa di aver aiutato la camorra nell'acquisto di un centro vacanze Il pentito Galasso li accusa di aver aiutato la camorra nell'acquisto di un centro vacanze favori ai boss, altri due giudici nei guai Napoli, s'allarga lo scandalo con i boss, le vacanze-regalo a spese di camorristi, gli incontri conviviali con pregiudicati, gli interventi per «aggiustare» i processi. La richiesta di proscioglimento per Carmine Alfieri, accusato della strage di Torre Annunziata? «Fui io a farlo arrestare». I contrasti con il giudice Carlo Alemi per il caso Cirillo? «Non mi risultano, giunsi alle sue stesse conclusioni, ma nella requisitoria non feci considerazioni politiche». La vacanza a Positano? «Ci sono stato solo una volta in viaggio di nozze». E le telefonate dal suo cellulare a due uomini legati al clan Alfieri? «Uno era un professore e forse lo ha chiamato mia sorella che fa l'insegnante». Al suo destino sembra legata la sorte di una decina di persone, tra giudici e amici, che hanno avuto in passato stretti contatti con lui e che ora sarebbero finiti nel registro degli indagati della procura di Salerno. Ma la «bomba» scoppiata a Castelcapuano, nel vecchio Palazzo di giustizia di Napoli dove Lancuba è stato per anni un uomo potente, ha già provocato polemiche e divisioni che hanno spinto ieri pomeriggio il procuratore Agostino Cordova a convocare i suoi 56 sostituti nella caserma di polizia «Nino Bixio» dove vive superprotetto. Una riunione con al centro quello che viene ormai definito il «caso» di Arcibaldo Miller, il pm del pool «Mani pulite», raggiunto da un avviso di garanzia e che Cordova ha voluto restasse al suo posto. Su Miller (e anche sui giudici Masi e Sacchi), UNAPOLI E' bello»: due paroline sussurrate al telefono, l'«Apriti Sesamo» che dovrebbe schiudere le porte supervigilate della procura della repubblica. La formuletta può essere pronunciata in due modi: con il tono suadente, quasi supplice del cronista che abitualmente non è ammesso ai segreti della giustizia napoletana, ma conosce il magistrato quel tanto da dargli del tu; o con con la voce bassa ma ferma, che esprime amicizia ma anche autorevolezza, e non ammette il rifiuto di un colloquio. Questa volta, però, non c'è niente da fare per nessuno. Gli uffici al terzo piano di Castelcapuano, il palazzo di giustizia bombardato con una pioggia di arresti e avvisi di garanzia, sono chiusi per tutti, resi inaccessibili da due carabinieri che eseguono alla lettera gli ordini del capo, Agostino Cordova. Del resto non è lì che bisogna andare per ascoltare i battiti incerti del cuore di una giustizia che mostra preoccupanti sintomi d'infarto. Nel maniero secentesco che domina i vicoli del centro antico la vita pulsa da sempre nel cortile. E' nel cortile che si intrecciano commenti, che circolano notizie, che si sparano battute all'acido muriatico capaci di sbriciolare in un secondo carriere decennali. Ed è nel cortile, fra lazzi feroci e confidenze accorate, che si scrive l'ennesimo capitolo di una storia tutt'altro che comica: quella di una procura che ha vissuto per vent'anni di vita vegetativa, è stata rianimata cinque mesi fa dall'arrivo da Palmi di Agostino Cordova e che adesso ò lacerata dal dissenso. L'arresto di Armando Cono Lancuba per concorso in associazione per delinquere e l'avviso di garanzia per corruzione ad Arcibaldo Miller, uomo di punta delle inchieste su Mani Pulite, sono materia di uno psicodramma dal finale imprevedibile. E' come se il clic delle manette fatte scattare ai polsi di un magistrato fino a quattro anni fa potentissimo a Napoli avesse liberato voci troppo a lungo trattenute o angosce che non si possono più nascondere. Qui il mondo è diviso in due, le uniche categorie riconosciute sono quelle degli amici e dei nemici di Lancuba. E le dichiarazioni del capo della procura, Agostino Cordova, per il quale «Miller ò e resta» nel pool di Mani Pulite, non hanno fatto che alimentare vecchi rancori e Vertice nella notte fra le toghe per discutere la posizione del capo di Mani pulite inoltre, il Csm ha aperto ieri la prcedura che potrebbe concludersi con un trasferimento d'ufficio. L'inchiesta, nel frattempo, marcia a pieno ritmo: dopo avere ascoltato Armando Lancuba, i pm e il gip salernitani sono andati ad interrogare lui, il numero uno della camorra, Carmine Alfieri, che da poco ha deciso di dichiararsi pentito e che sui magistrati «addomesticati» con regali e denaro ha molte cose da dire. Al boss, gli inquirenti potrebbero aver chiesto riscontri alla vicenda raccontata da Galasso sul «Parco dei fiori», il villaggio turistico acquistato a Positano dai suoi uomini. Lì soggiornarono Lancuba e l'avv. Alfredo Bargi, anch'egli arrestato lunedì, lì investirono i loro soldi personaggi legati al clan Alfieri, come il boss Antonio Malvento, poi finito ammazzato, e lì acqusitò un appartamento, che gli inquirenti sospettano sia stato venduto ad un prezzo di favore, l'attuale procuratore di Sant'Angelo dei Lombardi, Ettore Maresca. Il complesso per vacanze fu sequestrato nel '90, quando un'inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere rivelò che l'affare nascondeva un'operazione di riciclaggio di denaro sporco. Ma l'indagine fu poi archiviata, come aveva chiesto il pm, Silvio Sacchi, con il quale si dichiarò d'accordo il gip, Raffaele Sapienza, pure lui destinatario di un avviso di garanzia. Nasce invece dalle confessioni di un altro pentito, Carmine Schiavone, nipote del boss significativamente soprannominato «Sandokan», il coinvolgimento dell'ispettore di polizia, Nicola Capoluongo, attualmente in servizio all'ufficio contravvenzioni del commissariato di Aversa: si parla di contatti per sistemare un processo affidato proprio a Sapienza. Mariella Cirillo Una veduta di Positano. A sinistra, il giudice Armando Cono Lancuba ne. Un'inchiesta aperta nel marzo del 1990 fu però archiviata perché si disse che non c'erano prove della provenienza illecita dei soldi investiti nella speculazione: una decisione su cui grava ora il sospetto dei giudici di Salerno. Al «Parco dei fiori» i magistrati sono giunti seguendo le rivelazioni di Galasso che ha parlato di vacanze trascorse nel complesso turistico dal procuratore Armando Cono Lancuba e dall'avv. Alfredo Bargi, finiti in carcere nei giorni scorsi. «La prima estate successiva al rilevamento della società da parte di Malvento - ha detto il pentito - Lancuba e Bargi hanno trascorso il periodo feriale in uno o due degli appartamenti di tale villaggio, ospitati gratuitamente da Malvento. Poiché entrambi rimasero entusiasti della località, chiesero a Malvento di acquistare uno o due appartamenti nel villaggio». Ma non basta. «La richiesta - spiega Galasso - fu esaminata nel corso di alcune riunioni, poiché pareva chiaro che i due non avevano intenzione di comprare l'immobile, altrimenti non avrebbero chiesto al proprietario del villaggio di riferire ad Alfieri questa loro intenzione e, poiché non era ancora possibile giuridicamente effettuare passaggi di proprietà, fu deciso da Alfieri di dare in uso a Lancuba e Bargi gli appartamenti». [m. e] re della Repubblica di Napoli, Csm una lunga serie di malefatte di cui si sarebbero resi responsabili i procuratori Francesco Cedrangolo e Alfredo Sant'Elia e il potentissimo Lancuba. Raccontò di ingerenze indebite in processi di camorra, di amicizie pericolose e sospetti di collusione. Spiegò, insomma, che la giustizia era stata di fatto paralizzata. «Non gli credettero, non vollero credergli spiega il pm -. Lo fecero passare per pazzo, e lui ne fece una malattia. Ancora oggi ha paura che il inondo e la giustizia ingiusta dei Cedrangolo e i Sant'Elia torni a crollargli addosso». E' vero. Probabilmente, sotto le battutacce sparate a raffica nel cortile del vecchio tribunale, sotto i sorrisini e gli ammiccamenti che inseguono gli «amici di Lancuba» c'è proprio la paura, l'ossessione per il fatto che forse, in qualche angolino dogli uffici del palazzo di giustizia, non è stata ancora fatta pulizia. Ed è con animo mesto che, in serata, i cinquantasei sostituti napoletani si avviano verso la monumentale caserma di polizia «Nino Bixio», in via Monte di Dio. Lì abita Cordova, che li ha convocati per un chiarimento. «Così, se qualcuno ha da ridire, può discuterne senza problemi», ha fatto sapere. All'assemblea, che si protrarrà fino a notte, si presentano in tanti. «Ci incontriamo in caserma perché in questo modo il primo che parla viene arrestato subito», scherza un pm. Un altro va giù pesante con una battutaccia: «Anche il capo ha un soprannome: il cinghialone. Vuol dire che stasera siamo invitati ad un ghianda-party». Fulvio Milone