Berlusconi guerra a Mani Pulite di Augusto Minzolini

«Chiederò a Scalfaro di intervenire per frenare i giudici che scandiscono la campagna elettorale» «Chiederò a Scalfaro di intervenire per frenare i giudici che scandiscono la campagna elettorale» Berlusconi, guerra a Mani Pulite Attacchi alla Con/industria: gente incapace ROMA. Alle 19 di sera, alla fine di una giornata in cui ha sparato contro tutto e tutti, Silvio Berlusconi, il cavalier furente e disperato, lancia sotto i riflettori nella sala conferenze della nuova sede di Forza Italia a via dell'Umiltà, un appello al Capo dello Stato perché intervenga in suo aiuto. Lo affida ad un esposto in cui critica sostanza e procedure dell'iniziativa dei giudici di Milano, in particolare del pm Gherardo Colombo, che ha chiesto l'arresto del numero uno di Publitalia e vero organizzatore del movimento di «Forza Italia», Marcello Dell'Utri. E sempre lì, davanti ad una folla di giornalisti, Berlusconi pronuncia l'accusa più pesante contro la procura milanese: «I magistrati del pool mani pulite dice, scandendo le parole - hanno svolto un ruolo positivo, ma ora qualcosa è cambiato. C'è un'involuzione che è spiegabile soltanto con motivazioni schiettamente politiche. Ormai mi è chiaro che il pool ha due anime: una di giustizia e una di azione e di repressione politica. Faccio un appello al dottor Borrelli affinché dimostri il contrario riacciuffando per i capelli la situazione che ha per autore il giudice Colombo». Parole pesanti, di un uomo che ha deciso di utilizzare tutte le armi che ha a disposizione. Allora il cavaliere invita Scalfaro a dire la sua, ad esercitare il suo ruolo di garanzia riportando la calma in una campagna elettorale scandita dalle procure. E, contemporaneamente, decide di attaccare a fondo la parte dei giudici milanesi più politicizzata. Berlusconi spara sul giudice Colombo, è più cauto su Borrelli ma in privato non lo risparmia, come non risparmia il suo vice, D'Ambrosio. La crociata contro quest'«anima» della magistratura diventerà un «leit motiv» della sua campagna elettorale: «La sinistra - è la tesi del cavaliere credeva di aver messo le mani sul potere e oggi tenta di tutto per evitare una diversa possibilità di governo, utilizzando coloro che fanno riferimento a lei anche nella magistratura». Insomma, siamo alla resa dei conti, alla «o la va, o la spacca». E il Berlusconi che si appresta a sostenere questo scontro decisivo è diverso da quello dei giorni scorsi: il personaggio che va in scena non è più l'uomo sorridente e suadente della prima fase della campagna elettorale. Sono rimaste la cipria e la lacca, ma l'atteggiamento del cavaliere è cambia to, i modi sono nervosi, la lingua si è fatta tagliente. D'ora in avanti Berlusconi interpreterà come dicono i registi della sua campagna - un altro ruolo: quello dell'uomo «perseguitato ingiustamente», della «vittima innocente», dell'«eroc che combatte da solo». «Credo che ce la farà dice uno dei suoi consiglieri politici, l'ex-missino Domenico Mennitti - perché la gente ormai lo accetta. Glielo avevo detto a Silvio qualche settimana fa: se devi uccidere un bambino fallo tra dieci giorni. Ora non deve temere nulla: l'opinione pubblica crede a lui non alle accuse che gli vengono mosse. Ecco perché Silvio può fare e deve fare qualcosa: non dico che bisogna organizzare una marcia dei 40 mila contro i giudici, sarebbe eversivo, ma un segnale bisogna lanciarlo». La «metamorfosi» del perso- ROMA. La Confindustria «non intende raccogliere provocazioni». Una secca nota ufficiale dell'Associazione degli industriali ha replicato a Berlusconi. Dice la nota: «La Confindustria non intende lasciarsi strumentalizzare nella gestione di una campagna elettorale di partito, nel farsi coinvolgere in una competizione politica dai toni sguaiati. Così come nel recente passato ha lasciato cadere le provocazioni di altri esponenti di partito, Confindustria non intende raccogliere nemmeno quest'ultima». Berlusconi aveva detto: «Io in Confindustria non ci vado spesso perché sto in giunta e non mi va di sedere naggio Berlusconi si compie in una notte. «Ho dovuto occuparmi - dice al mattino ai cronisti e ai fotografi che lo attendono davanti al portone della casa di via dell'Anima - di una vicenda che è una vera e propria aggressione da stato di polizia. Non ho dormito. Con un incredibile spiegamento di forze la guardia di finanza ha perquisito gli uffici di Publitalia, la casa privata e la casa di campagna dei uno dei miei più stretti collaboratori. Io comunque sono intenzionato ad andare avanti in questa guerra e a non desistere». Poi il corteo parte: la sua auto, quelle della scorta privata, quelle delle tv e una cinquantina di motorini con fotografi e giornalisti in sella. Prima tappa del «giustiziere» Marcello Dell'Utri A destra, Mino Martinazzoli Tra una domanda dei dirigenti della Confartiginato e una risposta, Berlusconi si fa prendere la mano e alla fine tira fuori tutto il rancore che ha verso i grandi industriali che non hanno sostenuto a dovere il suo ingresso in politica, «lo - dice - in Confindustria non ci vado spesso perché sto in giunta e non mi va di sedere con certa gente che non mi piace. In Confindustria c'è un'aria rarefatta, non ci respiro un'aria di trincea. Ho sempre avuto l'impressione che in Confindustria ci vanno quelli che è meglio non tenere in azienda, quelli bravi hanno spesso altro da fare. Stanno in azienda». Gli applausi a scena aperta spingono il cavaliere a fare un'altra provocazione: «Il centro di Segni e Martinazzoli faccia dei sondaggi e nei collegi in cui è sicuro di perdere ritiri il candidato; Forza Italia farà altrettanto dove pensa di non farcela». La mattina si chiude con l'incontro con Pannella, con l'uomo che ha sempre capitanato le grandi campagne sulla giustizia. Un prezioso alleato per quello che Berlusconi ha in mente. Il pomeriggio il cavaliere lo passa a casa. I suoi collaboratori giurano che dorme. In realtà è attaccato al telefono e alle agenzie di stampa. Va su tutte le furie quando gli portano il testo delle uscite di Borrelli contro di lui. «Avevamo detto - dichiara il capo della procura di Milano - che chi aveva scheletri nell'armadio non si doveva presentare». Sono proprio quelle parole che lo inducono a dare il via all'escalation, a spingerlo ad affermare davanti alle tv che «la magistratura ha usato nei confronti dei leader politici atteggiamenti differenti». Come a dire: Occhetto e D'Alema non sono stati neanche chiamati a testimoniare in un processo, mentre un giudice ha chiesto senza problemi l'arresto del suo più stretto collaboratore. Augusto Minzolini

Luoghi citati: Milano, Roma