Morto Rey il volto di Bunuel

L'attore, che aveva 77 anni, stroncato da un tumore. Nella sua camera oltre 100 film L'attore, che aveva 77 anni, stroncato da un tumore. Nella sua camera oltre 100 film Morto Rey, il volto di Bunuel II loro sodalizio iniziò con «Viridiana» MADRID. L'attore spagnolo Fernando Rey (Fernando Casado Arambillet) e morto ieri a Madrid all'età di 77 anni. A darne notizia è stata la radio spagnola, precisando che l'attore era malato da tempo di tumore alla prostata. Nato il 20 dicembre 1917 a La Coruna, in Galizia, Fernando Rey, l'attore spagnolo più noto a livello internazionale, scelse la strada dello spettacolo per necessità. Lavorò per il teatro, per la televisione e soprattutto per il cinema. Nella sua lunga camera fu diretto dai più acclamati registi intemazionali. Oltre a numerosi film in Italia interpretò per la Rai «I problemi di Don Isidro Parodi», «Vestire gli ignudi» e «Racconto d'autunno». Gratificato da premi e riconoscimenti, Fernando Rey non aveva rinunciato a combattere contro il male. Sebbene provato dalle cure chemioterapiche cui si sottoponeva, non rifiutava di comparire in pubblico. Da pochi giorni era arrivato nelle sale il suo ultimo film, «Al otro lato del tunel» di Jaiine de Arminan. Fernando Rey amava profondamente la macchina da presa. «Con quell'occhio luminoso ho un affare di cuore», diceva. Il contorno, invece, non lo interessava. Il mondo del cinema per lui era vanità, dolore, pettegolezzo, qualche volta allegria. E se continuava a lavorare, dopo la grande avventura bunueliana, era principalmente per bisogno di denaro e per quelle minuscole, segrete emozioni che gli scaturivano dal dialogo con la cinepresa. Confessava tuttavia di odiare i primi piani. Il che, per un attore, equivale a una bestemmia. «Il primo piano è innaturale, è una mutilazione. Poi è anche buffo, quel faccione che parla tutto solo». Forse era un lascito estetico di Bunuel. L'autore del «Fascino discreto della borghesia» era intriso di surrealismo in ogni sua fibra. Era perciò lontanissimo dallo psicologismo. Un attore doveva essere per lui una presenza, uno strumento narrativo e non un suggeritore di sentimenti o di passioni. Rey condivise quei principii fino in fondo, magari deprimendo la sua controllatissima natura istrionica, o il lampo magnetico del svio sguardo, e magari considerando con qualche insofferenza la televisione, per la quale, recentemente, aveva interpretato Don Chisciotte, ritornando così a un personaggio che aveva incontrato altre volte nella sua carriera: agli esor¬ di - nel 1948 - quando incarnò il «Don Chisciotte della Mancia» di Rafael Gii e nel 1966, quando girò un secondo «Don Chisciotte» con la regia di Carlo Rim. Fernando Rey fu, come molti, un «attore per caso». Nato nel 1915 a La Coruna, apparteneva a una famiglia dell'alta borghesia galiziana. Era destinato agli studi d'Architettura e per questo scopo si trasferì a 17 anni a Madrid. Ma la guerra civile lo costrinse a interrompere l'Università. Suo padre era un generale e comandava le forze d'artiglieria dell'esercito repubblicano antifranchista. Il giovane Fernando s'arruolò volontario e combatte nelle micidiali battaglie di Guadarrama e di Brunete. Dopo la vittoria di Franco, suo padre fu condannato alla pena di morte (poi commutata in lunghi anni di prigione). «Avremmo potuto fuggire - ricordò -. Decidemmo di restare in Spagna per amore, e forse fu uno sbaglio. Abbiamo sofferto molto, siamo restati traumatizzati per sempre». In uno stato assoluto di precarietà, Fernando Rey cominciò ad accostarsi al mondo dello spettacolo e, soprattutto, alle sale di doppiacs'io cinematografico. Per qualche tempo fece la comparsa e, poiché era dotato di una bella voce, iniziò a «tradurre» gli americani. Doppiò Humphrey Bogart, Tyrone Power, Laurence Olivier. Dopo di che arrivarono le prime parti in "r^ro. «Non ero un asino diceva - avevo una certa intelligenza». Fu così che si ritrovò attore. Nel 1947 girò il suo primo film da protagonista «Giovanna la pazza» di Juan De Orduna, che conquistò i record di cassetta in tutto il mondo ispano-americano. Seguirono film più o meno notevoli. Ad esempio, «Benvenuto Mr. Marshall» di Luis Berlanga e «Marcellino pane e vino» di Rafael Gii. Il 1960 ò l'anno dell'incontro con Luis Bunuel e del film «Viridiana». Per la prima volta Rey era chiamato ad interpretare le ossessioni di un artista che credeva esclusivamente nella realtà interiore. In quel film si raccontava un amore sognato e contrastato dalla differenza di classe. Rey doveva incarnare il gusto feticistico di Bunuel che spiegò: «Il feticismo del personaggio interpretato da Fernando Rey è un altro dei miei sogni infantili. Si trat¬ tava di un travestimento per feticisti, e non di un travestimento omosessuale. Da piccolo mi piaceva indossare i vestiti di mia madre, e di combinarli con qualcosa di mio padre: stivaletti di lei e il capello di lui eccetera. Mia madre si accorgeva che qualcuno aveva toccato il suo guardaroba e si arrabbiava gridando: "Chi è stato qui?". Avevo sei o sette anni. Tale vezzo lo tenni per un po' di tempo, ho sempre adorato il travestimento feticista e anche le maschere». L'accoppiata Buiìuel-Rey si dimostrò perfetta e continuò con altre opere a cadenze quasi regolari: «Tristana» (1970), «Il fascino discreto della borghesia» (1972), «La ragazza dagli stivali rossi» (1974), «Quell'oscuro oggetto del desiderio» (1977). Nessun volto, anzi nessuna presenza sembrava più adatta a materializzare il surrealismo esasperato ed enigmatico di Bunuel. E Rey si portò fino alla fine quella sorta di marchio di fabbrica, quel simbolo di appartenenza a una casta intellettuale di cui lui incarnava la parte più malinco¬ nica e interrogativa. Certo la grandezza di Rey non è legata soltanto al lavoro con Bunuel. Interpretò oltre cento film, alcuni dei quali furono senz'altro eccellenti. Ricordiamo le sue partecipazioni al «Falstaff» di Orson Welles, al «Braccio violento della legge» di William Friedkin, al «Bianco Rosso e...» di Lattuada, ai «Fatti di gente per bene» di Bolognini, al «Pasqualino Settebellezze» della Wertmuller, al «Quintet» di Robert Altman. Fernando Rey era poliglotta e recitava con facilità anche in inglese e in italiano. Non fece soltanto capolavori. Alcune volte si concedeva qualche scivolata nella qualità, consentiva a qualche western di troppo o accetteva ruoli malavitosi e neri. E' tuttavia innegabile che qualunque fosse il personaggio da interpretare, l'attore gli portava tutto il garbo, tutta l'eleganza e l'intelligenza, che erano in realtà i tratti incancellabili della sua persona e della sua formazione. Osvaldo Guerrieri E' appena uscito nelle sale spagnole il suo ultimo lavoro Recitò con Welles Fu per tre volte Don Chisciotte Fernando Rey in due film di Bunuel l'<iOscuro oggetto del desiderio» e il «Fascino discreto della borghesia»

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