Mille anni di magia per Turandot

Mille unni di magia per Turando! A Torino la favola di Gozzi nella reinvenzione dell'Opera di Pechino Mille unni di magia per Turando! Irresistibile spettacolo acrobatico e «totale» TORINO. Lo Stabile del fuggiasco Luca Ronconi è in questi giorni a Roma con «Affabulazione» di Pasolini e il suo confratello romano arriva al Carignano, dove si fermerà fino a domenica, con la «Turandot» di Carlo Gozzi reinventata, riscritta, ridecorata dall'Opera Nazionale di Pechino. Non stiamo a dire chi ci guadagna, ma certo, pur nella capricciosità delle coincidenze, non possiamo non rilevare il singolare infittirsi degli scambi fra i due teatri, come se davvero si volesse indicare una corsia privilegiata di collaborazione e di reciprocità. Ma è un puro caso, si capisce. Niente di serio. Seria, serissima è invece l'operazione dell'Opera pechinese: un vero salto nel tempo e nello spazio per noi occidentali abituati a tutt'altro tipo di spettacolarità; e un'autentica immersione in un insospettato deposito delle meraviglie. Con questa «Turandot» ci sentiamo proiettare alle origini di una tradizione millenaria che gli straordinari artisti dell'Opera coltivano con uno scrupolo e un talento ineguagliabili. Maschere, mostri, bandiere, costumi sofisticati e rutilanti, abilità mozzafiato di giocolieri, acrobatismi in perpetua sfida alla legge di gravità, simbolismi, favolismi, canti in falsetto, recitativi, rissosi accompagnamenti musicali... tutto ciò appartiene a una cultura che ignora i miti occidentali e che, anzi, forte delle proprie radici, tende ad annullare le distanze del tempo. Inattuale e sempre attuale, dunque. E la favola di Gozzi, così stilizzata, così anti naturalistica, sembra fatta apposta per lo stile squillante e acrobatico della compagnia. La vicenda del principe Calaf che, grazie alla sua sagacia e grazie soprattutto al fondamentale aiuto della Fenice e di un flauto magico affidatogli dal padre morente, riesce a conquistare la crudele e inarrivabile principessa Turandot, conquista lo spettatore con le suggestioni di un favolismo a volte straniato ma sempre sfolgorante. Seduto in un angolo del pro¬ scenio un narratore italiano (Roberto Gandini) illustra provvidenzialmente gli snodi fondamentali della commedia. Gli fanno da interlocutori due nani clown, interpretati da due formidabili attori costretti ad agire eternamente accovacciati sui talloni e appesantiti da ridondanti imbottiture. Sono i buffoni (gli zanni) di una storia che si rifa ai canoni dei riti iniziatici e che, nelle forme travolgenti del teatro totale, coinvolge un magnifico stuolo di interpreti che utilizzano ogni risorsa fisica e ogni artificio. Notevole, fra le innumerevoli delizie, è l'uso delle maschere che, secondo la tradizione cinese, non suggeriscono un «carattere», ma acquistano un valore simbolico. Per cui un viso dipinto di ros- so non indica collera, ma calma e coraggio; il bianco è il colore della slealtà; il giallo è l'intelligenza; il verde allude a malvagità e doppiezza. Il racconto che ci restituisce questo fantastico «ensemble» appartiene a un gioco antico che, a tratti e per certe tipizzazioni, sembra richiamare la nostra Commedia dell'Arte. Con risultati scenici strepitosi, accolti dal pubblico con un autentico trionfo. Fra gli interpreti dello spettacolo rielaborato da Wei Mingiun e diretto dalla coppia Lin Zhaohua e Shi Hongtu, ricordiamo almeno la Turandot di Yang Fengyl, il Calaf di Ye Jinyan e la Fenice di Zhao Lin. Una menzione speciale agli otto musicisti che, seminascosti in quinta, danno ritmo e gioia ad uno spettacolo che, fin dalle primissime battute, si trasforma in una festa e forse in un sogno. [0. g.] Un'antica tradizione interpretata da ottimi attori Ovazione al Carignano Un momento della «Turandot» proposta dal Teatro di Roma Lo spettacolo per attori e musicisti testimonia una tradizione che Pechino coltiva con grande scrupolo

Persone citate: Carlo Gozzi, Gozzi, Jinyan, Luca Ronconi, Pasolini, Roberto Gandini, Zhao Lin

Luoghi citati: Pechino, Roma, Torino