Tra le mura del sogno

Società' e Cultura Al castello di Rivoli la mostra dedicata a Gabetti e Isola Tra le mura del sogno Architetti per la nuova utopia 11 RIVOLI N sogno non si contenta mai di mezze misure». Questa proposizione di Freud è stata scelta da Roberto Gabetti e Aimaro Isola come intestazione del progetto di parco urbano sulle sponde della Dora del 1987. Lo leggiamo sull'elaborato esposto alla mostra nel Castello di Rivoli (Torino), aperta da oggi al pubblico - fino al 10 aprile - e inaugurata con la presentazione del volume di Carlo Olmo edito da Allemandi, dedicato alle architetture create e proposte dal sodalizio quarantennale all'insegna precoce e anticipatoria della «crisi delle certezze»: nello specifico, le rigide certezze del razionalismo divenuto, da avanguardia del sogno sociale, prassi senza spirito. Quale migliore strumento, per padroneggiare questo senso di crisi inizialmente solitario, senza cadere nei nuovi accademismi che si fregeranno in seguito dell'etichetta del postmoderno, che proporsi e proporre un nuovo e diverso sogno, una nuova utopia costruttiva? L'impressione fondamentale che scaturisce con grande forza di persuasione visiva dai modelli e disegni esposti nelle prime tre grandi sale - sintomatico il numero limitatissimo di fotografie - va proprio in questa direzione. Ne emerge un incontro, utopico fino ai limiti del fantastico o addirittura - pensando alle fonti e ipotesi culturali - del romantico, fra la scienza anche sociale del progettare e del costruire e un'ipotesi, nello stesso tempo sognata e reale, di sposalizio fra architettura, società e natura che preservi in felice equilibrio i valori vitali di ciascuna componente. Già l'introduzione alla mostra suggerisce questa capacità e volontà di elevare a livello di immagine fantastica quella che è stata ed è concreta realizzazione di una linea architettonica «solitaria» ed eterodossa e nel contempo di forte impronta umanistica. Riprendendo un modello espositivo già attuato qui a Rivoli nella sala dedicata all'architettura nella mostra «Torino International», quattro stendardi ingrandiscono gli «schizzi a margine» di Isola a china, per il libro di Olmo, dedicati, in una grande sintesi complessiva, alla Bottega d'Erasmo a Torino (1953-56), all'Unità Residenziale Ovest Olivetti a Ivrea (196871), all'allestimento della mostra «Idea e Conoscenza» alla XVI Triennale di Milano (198081) e al Monastero delle Carmelitane Scalze a Quart (1984-89). Queste metamorfosi di strutture ben solide e concrete, di grande dimensione ambientale nel caso dell'Unità Olivetti, in qualcosa di simile ai «capricci» di Francesco Guardi sono curiose e affascinanti nei limiti delle colonne laterali delle pagine nel raffinato volume, diventano fantastiche nell'ingrandimento sugli stendardi a introibo dell'esposizione. Non si tratta semplicemente di un'idea di allestimento riferita ad architetti, di cui Torino ricorda le fantasie barocche delle mostre in Palazzo Reale «Porcellane e argenti» e «Da Leonardo a Rembrandt», di for¬ te magia scenica (la mostra comprende un disegno per le vetrine della prima): è perfettamente inerente ai modi grafici tipici degli elaborati dei due architetti, che non mi sembra trovino paragone nella progettazione contemporanea, proprio perché si tratta dell'esternazione visiva della loro stessa eterodossia concettuale. Queste tempere e pastelli, vedute, piante, ipotesi territoriali, particolari costruttivi, a piccoli tocchi pieni di vibrazioni che costantemente mettono in discussione, anche a livello cromatico - vengono in mente Cézanne acquarellista, De Pisis, nella generazione attuale For¬ gioii -, i limiti fra il costruito e il naturale sono contemporaneamente romantiche e illuministe; l'illuminismo dei grandi architetti utopici francesi, giacobini e napoleonici. Con sussulti di spiriti bizzarri, rari ma ben tipici di questa Torino che è stata una delle capitali del modernismo (e proprio per questo l'etichetta neoliberty appiccicata alla Bottega d'Erasmo mi è sempre sembrata riduttiva, ingannevole, deviarne) e ha partorito Italo Cremona e l'architetto aviatore sciatore fotografo viveur Carlo Mollino; di quest'ultimo qualche mobile o disegno di mobile, esposto nelle ultime due salette della mostra, reca una sfumatura assai personale di memoria. In proposito, due tavole di progetto della realizzazione anche socialmente più impegnativa, l'Unità Olivetti a Ivrea, dove è proposta e raggiunta in massimo grado l'interazione fra architettura e ambiente naturale, lasciano stupefatti quasi quanto un foglio di Carol Rama. Nel primo, una planimetria parziale del semicerchio colossale dell'Unità Residenziale, per proiettare fra assonometria e prospettiva aerea l'arredo interno di una cellula, lo spazio arboreo viene arrotolato come il coperchio di una scatola di sardine, con tanto di chiavetta. Nel secondo, che contiene a collage planimetrie generali, alzati parziali, disegni di particolari dell'arredamento, sono inseriti anche gli schizzi colorati dei tappeti - arazzi della serie Tipizoo, di cui è esposto un esemplare nella saletta finale, evocando in qualche modo il nome di Merz. E' indubbia la bizzarria del gioco, sia visivo che concettuale, ma è però da tener presente che tappeti della serie erano previsti proprio per un impie- go nelle cellule dell'Unità. E si aggiunga, per completare il cerchio, che un tappeto di Paolucci con figura di tigre arredava la «sala d'estate» degli architetti torinesi capeggiati da Pagano e Levi Montalcini alla prima Triennale milanese del 1932. E' continuo il trapasso fra ricchezza strutturale e rigore progettuale in ogni particolare anche minimo e l'apertura fantastica e utopica, fra la concretezza dell'attenzione ai diversi livelli e scale delle richieste della committenza - si va dal municipio del piccolo centro al capolavoro del tribunale di Alba, dall'Olivetti e dalla Fiat alle Carmelitane Scalze - e una accesa sensibilità organicistica nei confronti dei materiali e dell'ambiente. Ed è costante e connotante la tensione culturale nei confronti della storia e dell'«immagine» dell'architettura. Ricordo, appeso in un corridoio dell'Einaudi, un grande disegno planimetrico per il concorso per il Centro Direzionale Fiat a Candido, enfatizzazione su scala veramente «utopica» dell'Unità Olivetti: in mezzo a rappresentanze oggettuali di «arte povera» e di sculture minimali, la tavola era perfettamente a suo agio, al di là della sua finalità che non cessava di essere legata all'ideazione progettuale ambientale. Non manca, in questo gioco costantemente raffinato fra ragion pratica ed economica e vocazione ideale di fratellanza fra materia e natura, qualche pericolo di ridondanza ludica, comunque ben al riparo dai giochi gratuiti della postmodernità. Mi riferisco ad esempio al voluto contrasto, in diversi progetti, fra il lirismo grafico e i modelli in plastica colorata e trasparente, al limite dell'oggetto déco. Contrasta infine con la qualità del tutto lo snobismo «brutale» dell'allestimento con assi grezze. Marco Rosei 77fantastico contro la crisi del razionalismo lì portico nel Vallo di Alba e in alto le Carmelitane scalze di Aosta Qui accanto: uno schizzo firmato Gabetti e Isola per Alba