«Il Csm sapeva tutto da anni» di Fulvio Milone
«Il Csm sapeva tutto da anni» «Il Csm sapeva tutto da anni» Spiegai le collusioni, non fece nulla» UNATOGA ACCUSA E NAPOLI CCOLO qui, il giudice accusatore. Spara a zero contro la «cricca di Lancuba», dice che il magistrato finito dietro le sbarre ha ancora amici nella procura di Napoli. Uno di questi è Arcibaldo Miller, l'uomo di punta delle inchieste di Mani Pulite sul cui capo pende la spada di Damocle di un avviso di garanzia per corruzione: «Nell'88, dopo che avevo inutilmente denunciato al Csm una serie di scandali nella procura di Napoli, lui minacciò me e alcuni giovani colleghi. Disse: "Con voi faremo i conti"». Marco Occhiofino, 42 anni, ex sostituto procuratore e oggi giudice per le indagini preliminari e presidente del tribunale dei ministri, dice che Miller farebbe bene ad andarsene. «Se capitasse a me di rice- vere un'informazione di garanzia mi farei da parte, anche sapendo di avere la coscienza pulita. Perché? E' ovvio: se andassi a interrogare una persona sospettata di corruzione, rischierei di sentirmi dare del collega». E come giudica la posizione di Agostino Cordova, il capo della procura che quattro giorni fa ha difeso a spada tratta il suo collaboratore? «Non è napoletano, tante cose non le sa. Forse si è lasciato condizionare, oppure ha dovuto tener conto di certi equilibri interni». Il giudice accusatore è uno di quelli che si sono trovati sempre dall'altra parte della barricata: contro Francesco Cedrangolo, procuratore capo fino alla metà degli Anni Ottanta; poi contro Alfredo Sant'Elia, che ha guidato l'ufficio fino all'88; e sempre contro Armando Cono Lancuba, il potentissimo responsabile dell'ufficio denunce che i magistrati di Salerno indicano come «consulente giuridico» della camorra. Nel '90 ha condannato per associazione a delinquere e estorsione il boss Galasso, nonostante un tentativo del magistrato arrestato lunedì di inquinare le indagini. Ma soprattutto ha saputo contrastare con una «quasi rissa» in camera di consiglio il componente della terza sezione penale, Vito Masi, anche lui arrestato, che pretendeva l'assoluzione del clan finito sul banco degli imputati. E ora il giudice spara a zero contro tutti, o quasi. «Le cose - racconta - andavano male già nell'84, quando fui trasferito qui da Monza. Vissi per un certo periodo in al¬ bergo, e un bel giorno mi telefonò uno sconosciuto per raccomandarmi un imputato. Quello stesso anno, in estate, seppi che qualcuno aveva tentato di pagare il conto dell'albergo. Era troppo. Feci fare accertamenti, e seppi che si trattava della stessa persona della telefonata. Era un amico di Antonio Malvento, un boss camorrista. Mi dissero che si era presentato in portineria con un uomo della scorta del procuratore Cedrangolo. Lo dissi al procuratore capo, ma non accadde nulla. Dopo quattro anni l'ho ripetuto al Csm, ma è stato come parlare al muro». Nell'88, Marco Occhiofino e altri due sostituti procuratori, Narducci e Policastro, furono ascoltati a Palazzo dei Marescialli. A Cedrangolo era succeduto Sant'Elia, e il palaz- zo di giustizia era al centro di quello che sarebbe stato catalogato negli annali della storia giudiziaria come «il caso Napoli». «Raccontai tutto quello che sapevo, ma fu inutile - spiega Occhiofino -. Gli amici degli amici si trovavano anche al Csm». Il giudice raccontò allora quello che i magistrati salernitani hanno scoperto quattro giorni fa. «Lancuba ha ancora alleati nella procura napoletana», spiega. Anche Arcibaldo Miller, aggiunge Occhiofino, era un grande amico del magistrato finito in manette: «Hanno lavorato per anni nello stesso ufficio. Io non dico che Miller abbia partecipato agli intrallazzi. Ma certo non poteva non sapere». Fulvio Milone
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