E' caduto il Muro di Napoli di Paolo Guzzanti

V caduto il Muro di Napoli V caduto il Muro di Napoli Addio alla consorteria degli Intoccabili fi ISOGNA stare attenti a parlare del corpaccio imputridito di Napoli e di larga parte della sua società (civile e incivile), perché Napoli ha anche un'anima. Un orgoglio. Un senso della morte e della vita perduta che questo scandalo nello scandalo, questo terremoto nel terremoto, non fa che lievitare, proprio mentre si producono insieme nuove frane: frana, per rabbiosa delusione, quel che resta del senso dello Stato, che già non era molto. Ma frana, comincia a franare davvero, l'idea fatalistica che voleva comunque vittorioso Tanti-Stato. Oggi la città è immersa in una torbida primavera, in una dolcezza da fiori perversi e marcescenti. E la gente non parla d'altro che della pistola fatta arrivare a Poggioreale dal dottor Armando Cono Lancuba, il magistrato intoccabile. E di «don Rafele» Cutolo, che si è fatto sciogliere la lingua e ha detto a piena voce ciò che tutti sapevano: la politica collusa con la mafia (perché la camorra è direttamente Cosa Nostra, non è la locale «banda dell'ortica»), i magistrati legati agli imprenditori, a loro volta legati alla mafia. Gli avvocati e gli avvocaticchi di contorno alla banda di Carmine Alfieri, l'eccellente collaborante. Una fauna di uomini, sottouomini e quacquaracquà tutti armati di pistola, di mitra, tutti pieni di cocaina e di eroina, tutti irriverenti e deridenti nei confronti di ogni legge, regolamento e norma della vita civile. Oggi la gente legge a Napoli che la storia va rifatta, va riscritta, che ne vedremo delle belle. La gente legge e sorride amaramente. Non soltanto perché tutto quello che sta succedendo era previsto, sussurrato, saputo e risaputo; ma perché è Napoli stessa, e non una ristretta associazione per delinquere, a sentirsi e trovarsi sul banco degli imputati. Ho percorso di volata i territori periferici dei dominii dei Nuvoletta, degli stessi Alfieri, dei Galasso e ho rivisto con nuovi occhi quei supermercati d'avventura, quei prefabbricati da basso appalto e anche la stazione dei carabinieri simile a un avamposto nel deserto dei tartari in cui un capitano mi descrisse per filo e per segno come funzionava la grande porcheria: chi erano i politici implicati, i ministri colludenti. E mi disse che per quanto loro, i carabinieri, sapessero e scrivessero, tutto era inutile: non ci sarebbe stato niente da fare finché quel ministro degli Interni restava al Viminale. Il ministro era Gava. E così, nessuna sorpresa quando si scopre che il nome del signor Il ministro di Giustizia Conso: «Nessuno stupore Anche la magistratura ha le sue mele marce» A destra Armando Cono Lancuba A sinistra il Maschio Angioino Dair«abusivo» al politico, tutti hanno rovinato Secondigliano, Ponticelli e i Quartieri Spagnoli Antonio Malvento (l'impresario senza macchia ma con molta paura morto ammazzato nel 1991 per aver osato alzare la voce contro il suo padrino Carmine Alfieri di cui era il tramite diretto con i magistrati aggiustatori e, su semplice richiesta verbale, portatori di pistole ai detenuti) era stato vanamente incluso in un rapporto dei carabinieri che lo volevano in galera. Malvento fu arrestato ma restò dentro giusto il tempo di far recapitare una busta chiusa con le sue istruzioni. E subito i cardini ben oliati smisero di cigolare per lui, che uscì, anche se per andare incontro a una malamorte. La città è ferita, ma non è attonita. E' indispettita e fiaccata, ma non soltanto perché si sente ingannata: è fiaccata anche perché si rende conto di essere stata globalmente accondiscendente, quando non complice, con un sistema di potere e redistribuzione del denaro che beneficiava a pioggia tanti, troppi, anche se non si può dire che fossero proprio un po' tutti. Se i capi affiliati al clan Alfieri e protetti da magistrati che avevano ai loro ordini la polizia giudiziaria (quante inutili irruzioni? quante telefonate di preavviso a chi stava per essere arrestato? quante perquisizioni ordinate quando erano inutili e bloccate finché potevano servire?) sono davvero più di settemila, il loro indotto umano va calcolato con un semplice moltiplicatore sociale e territoriale nell'ordine delle centinaia di migliaia. Alle quali si possono unire le altre centinaia di migliaia dei bambini e adolescenti che lavoravano nel contrabbando e nell'eroina e nel totocalcio nero e nel lotto nero: a me capitò non molto tempo fa di documentare con la telecamera l'assoluta e festosa impunità che ha sempre avvolto tutte le operazioni di rastrellamento di denaro, di investimento nelle scommesse, di investimento nel riciclaggio. E ricordo ogni volta le decine di bambini in motorino, le bustine di eroina infilate nel cappelluccio di lana, che ogni mattina partono festosamente per recapitare la merce sotto gli occhi di tutti, o per fare lo straordinario mensile, a tredici anni, della revolverata nelle gambe. Tutto questo avveniva e ancora avviene sotto occhi gravati da palpebre sonnolente e perdonistiche, in un contesto arreso, fatalista, lugubremente scherzoso e ammiccante sempre e soltanto ad Da sinistra a destra, il boss Carmine Alfieri e il senatore Antonio Gava la stampa napoletana riflette oggi distacco, disgusto, imbarazzo e voglia di voltar pagina. Ma perché sorprendersi? E di che cosa poi? Anche nel giornalismo, nel pubblicismo delle collaborazioni fantasiosamente retribuite su rivistucole costosissime e patinate, del tutto inutili e anzi ridicole, ma capaci di funzionare come collettori insaziabili di denaro sudicio sotto forma di pubblicità, altri e lontani poteri: con un Male che è sempre nel regno dell'Altrove. In un altrove vagamente nemico e vago. E invece, come ha spietatamente detto il procuratore di ferro Agostino Cordova, il male è proprio qui, il marcio è qui ed è da qui che la cancrena si espande. Il marcio comprende anche giornalisti, oltre che professionisti di ogni ordine professionale. E anche nel giornalismo della grande cronaca la mela è morsa dai vermi. E del resto giusto ieri mattina il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso ha detto, dopo aver ricevuto Cordova, che la magistratura ha le sue mele marce, e non potrebbe essere diversamente. Come dargli torto, dopo che tutti qui a Napoli, e da un pezzo, sapevano per filo e per segno ciò che bolliva in pentola, ne parlavano al bar, al tavolo da lavoro, a scuola e nei vicoli? I segni di questa insofferenza, di questa imminenza, di questo arrivo di uno strano Messia, la verità, erano già nell'animo della città e nei suoi organi di riflessione, di conoscenza. Il clero era agitato. Don Riboldi trattava in proprio la resa fisica per fallimento politico e morale della mafia camorristica. Le redazioni dei giornali erano agitate. I palazzi di giustizia sapevano di sudore e di adrenalina. Commissariati e questure sapevano quel che si preparava e i carabinieri pregustavano forse il momento della verità, quella verità che loro avevano tanto rabbiosamente inseguito, e talvolta morso, senza poterla fermare, definire, costringere a presentarsi senza maschera. La grande svolta era in arrivo. E oltre a Carmine Alfieri ha avuto un altro Battista che si è deciso ad annunciarla. Cutolo. Cutolo parla. Dunque Cutolo vuota il sacco di immondizie del caso Cirillo. E della pattumiera dei segreti servizi. E degli appalti del terremoto. E della sudditanza di alcune toghe al crimine. Ma intanto, se percorrete via Toledo, potreste imbattervi in un rivenditore di videocassette contraffatte che espone la sua merce su un negozio semistabile che occu¬ pa in barba alla legge il suolo pubblico del marciapiede, attrezzato con ben due televisori e due videoregistratori accesi per far controllare la qualità della merce agli acquirenti-complici, sotto gli occhi di tutti, nella mesta e distratta complicità generale: nel senso più deprimente todos caballeros. Tanti, troppi membri di un ordine cavalleresco alla luce del sole ma non della legge, che ha dettato rovina civile da Secondigliano a Ponticelli, da Pozzuoli ai Quartieri spagnoli. Ma il corpaccio di Napoli va distinto dalla sua anima che è quella di una umanità sequestrata. Ieri la città (che non era attonita e tantomeno sbalordita, semmai sollevata) ha vissuto la sua giornata del Muro Caduto. Non il muro del crimine, ma quello della autorevole protezione, anzi intoccabile. Andranno ricordate queste giornate del sette, otto e nove marzo, quando gli intoccabili furono toccati, quando la spazzatura finì sotto gli occhi e il naso di tutti. Sono questi i giorni in cui dall'immondezza, come dice la canzone, può davvero nascere un fiore. Il fiore della liberazione. La liberazione dall'incubo, perfettamente reale e per nulla fantastico, che rendeva inutile l'impegno degli onesti e lo sdegno di chi si è sempre battuto, perché tanto - si sa, si sapeva - al di sopra delle belle chiacchiere, al di là delle generiche denunce, c'erano loro: gli intoccabili in toga, con la tessera del Parlamento della Repubblica, con il loro potere di favori e di casta, con il loro fascino di elemosinieri ed elargitori di denaro. Tutto quel denaro che ha stordito, insieme alla miseria dei miseri, alla povertà dei veri disoccupati, la città stessa rendendola opulenta e mostruosa. So di che parlo, non alludo a cose astratte. Vada, chi vuole, a controllare nel quartiere pazzesco detto «Le Vele» una umanità di miserabili milionari che si addobbano con croci d'oro, capi firmati e motociclette costose e vomitevoli, ma che hanno denti guasti, sono obesi o macilenti, hanno figli che dormono sullo stereo hi-fi, ma che non sanno leggere e scrivere, non hanno mai avuto salute né scuola. Quell'oro di Napoli forse oggi può tornare ad essere il letame che era, mentre si apre uno spiraglio da cui, abbattuti gli intoccabili e prima di tutto il loro mito, si intravede la possibilità concreta del ritorno alla legalità, della legalità minuta, quotidiana. Quella che lega i cittadini quando sono cittadini. Ed è calpestata da coloro che si sentono (quando non sono di fatto) dei complici. Paolo Guzzanti

Luoghi citati: Napoli, Pozzuoli