Il pds prepensiona 207 funzionari

Anche la Quercia usufruirà dei benefici previsti dopo il «crack» dei partiti Anche la Quercia usufruirà dei benefici previsti dopo il «crack» dei partiti Il pds prepensiona 207 funzionari Nell'elenco, Imbeni e Borghini Accuse e veleni dividono il movimento «CI» si spacca in due sul voto dei cattolici Vittadini e Rondoni: ilppiFNo, grazie E sul «Popolo» si apre la polemica MROMA ENO tempo per la politica in tv, una Rai un po' più s favore della sinistra e una Fininvest che guarda un po' più a destra, il polo di centro schiacciato tra i due opposti schieramenti, quasi assente il Tg di Volcic, i più partigiani, manco a farlo apposta, sono Fede e Liguori, Curzi e il neo Tg3 di Andrea Giubilo, mentre Raitre è la rete che lascia più tempo ai candidati di presentarsi e raccontarsi da soli. La campagna elettorale in tv, come emerge dai primi nove giorni del monitoraggio «qualitativo» che sta compiendo l'Università di Pavia per conto della Rai, non è per ora eclatante. Ma Franco Rositi, Giacomo Sani e Pasquale Scaramozzino, i tre docenti che curano l'indagine, lo avevano detto in anticipo che gli elementi più nuovi, le caratteristiche più interessanti, sui comportamenti dei vari conduttori per esempio, o come sono trattati da ciascuno i vari partiti, sarebbero emersi solo nel «flusso» di dati, vale a dire nel corso del tempo. Tempo di politica. Colpisce che, cominciata ufficialmente la campagna, l'abbuffata di video elettorale stia scemando, almeno sulle reti nazionali. Finora «solo» 1398 minuti dedicati a partiti e candidati, a parlare di loro o a farli parlare in proprio. Dal tg ai varietà. Un'altra indagine dell'Università di Perugia, che conteggiava solo talk-show e dibattiti vari, nel mese prima della vera campagna aveva contato 14.000 minuti, pari a 233 ore. Adesso, sospesi Funari news e Punto di svolta, esclusa la politica dal Costanzo show, ridotta a una puntata settimanale O di qua odi là e a zero i faccia a faccia di Lilli Gruber per Sanremo e la Coppa Uefa, in 9 giorni siamo a 23 ore. Ma se l'offerta Fininvest è ben distribuita sulle tre reti, quella Rai ROMA. Renzo Imbeni, ex sindaco di Bologna, e Gianfranco Borghini, capo della task force di palazzo Chigi per l'occupazione, sono gli ultimi beneficiari della norma che estende la possibilità di accedere alla cassa integrazione e ai prepensionamenti anche ai dipendenti dei partiti. A metà luglio, quando la Camera approvò il provvedimento in questione, scoppiò un gran putiferio. La Lega insorse e abbandonò l'aula, sdegnata. Rifondazione comunista protestò con una certa veemenza. I verdi si inalberarono: «E' un'operazione inaccettabile, una sovvenzione surrettizia», dichiarò, stizzito, Mauro Paissan. E ora, grazie a quella legge, che addossa allo Stato il «crack» della forze politiche, travolte da Tangentopoli e dal referendum sul finanziamento pubblico, i partiti hanno potuto prepensionare ben 549 impiegati e funzionari. Ma nessuno, l'estate scorsa, dopo tanto gridare allo scandalo, poteva mai pensare che avrebbero usufruito di quella provvidenziale normativa anche esponenti politici che uno stipendio in tasca già ce l'hanno o che tra qualche anno godranno della pensione di parlamentare. A gennaio i primi ad avvalersi della legge, che impegnerà 119 miliardi dello Stato, sono stati popolari, socialisti, liberali e socialdemocratici. Che si sono alleggeriti di trecento dipendenti. La seconda infornata, invece, è recentissima: la Gazzetta ufficiale di lunedì pubblica una nuova tranche di decreti. Con cui vengono prepensionati altri 249 dipendenti. La maggior parte (207) del pds. Una lista lunghissima, quella di Botteghe Oscuri:, che riserva più di una sorpresa. Se si scorrono in nomi, infatti, ci si imbatte, per esempio, in quello di Renzo Imbeni. Stando al provvedimento firmato il 19 febbraio di quest'anno, dal ministro del Lavoro, Gino Giugni, l'ex sin- LA CAMPAGNA ELETTORALE AL VIDEO daco di Bologna figura tra i prepensionati della Quercia. Eppure Imbeni qualche altra fonte di reddito ce l'ha, visto che è un europarlamentare del pds, e che, con tutta probabilità, verrà ricandidato. Continuando a sfogliare la lista pidiessina si arriva al migliorista Gianfranco Borghini. Deputato per due legislature: è stato eletto una prima volta nell'83 e una seconda nell'87. Il partito lo ha poi «fatto fuori» e nel '92 non lo ha più ricandidato. La pensione da parlamentare, comunque, Borghini l'avrà lo stesso. Solo che deve aspettare una decina d'anni per ottenerla. Intanto ricopre il ruolo di capo della task force di palazzo Chigi per l'occupazione. Borghini, dunque, un lavoro ce l'ha. Diversa la situazione di Giulio Quercini, capogruppo del pei a Montecitorio nella decima legislatura. Lui, il deputato l'ha fatto una volta sola. Non avrà quindi versato i sessanta mesi di contributi necessari per ottenere la pensione da parlamentare? Non è così, come spiega lo stesso dirigente pidiessino: «La pensione - precisa - la prenderò, ma devo aspettare i sessant'anni (adesso ne ha cinquantatré). Non so se potrò poi mantenerle entrambe. A dire il vero non mi sono informato. Io sono un tipo distratto, non ho idea, per esempio, di quali siano i cosiddetti privilegi degli ex deputati. Se ci sono, io non li sfrutto: uso esclusivamente i biglietti del treno che abbiamo gratis in numero illimitato». Ancora un altro nome: quello di Alberto Provantini. Ex deputato umbro eletto alla Camera per due volte, l'ultima nell'87. Nel '92 si è ritirato. Però non ha abbandonato la politica. Ed è stato nominato presidente della Provincia di Terni. Tra sette anni otterrà la sua brava pensione di deputato. Ma nel frattempo dovrà pur campare. Maria Teresa Meli Accanto Gianfranco Borghini e. sopra, il ministro del Lavoro Gino Giugni. A destra Renzo Imbeni ROMA. Un'intera pagina: «Comunione e Liberazione non si compra e non si vende». E via con i giudizi sferzanti, durissimi. «Mercato delle vacche», «teoremi, accuse, calunnie», e poi quel clima instaurato in passato da un «giornale trans-demenziale come II Sabato», che per anni «ha appaltato la produzione del giudizio culturale, storico e politico dell'intero movimento». E' polemica pesante in casa ciellina. Anche II Popolo, il quotidiano del partito popolare, è sceso in campo. E a partire da ieri, la pubblicazione di una lunghissima lettera a tutta pagina firmata da due appartenenti «da ormai venticinque anni a Comunione e Liberazione» ha dato una brusca sterzata allo scontro che da un paio di settimane divide gli aderenti al movimento fondato da don Luigi Giussani. Uno scontro che è ormai divampato in incendio. Un incendio gonfiato dal vento elettorale e reso più intenso dalle due posizioni che si fronteggiano. Come voteranno i cattolici? Tornando in massa fra le pareti amiche della casa di Mino Martinazzoli? O dividendosi fra l'attico di Berlusconi e il palazzo di Occhetto? Ad aprire le ostilità era stato Giorgio Vittadini, 38 anni, presidente di quella Compagnia delle Opere che raduna 5 mila fra piccole e medie imprese e circa 700 società di servizi «senza fini di lucro». Il partito di Martinazzoli? No grazie. «Ci aspetteremmo - aveva detto Vittadini al Giornale - che i valori della dottrina sociale cattolica non fossero trattati come modi di dire. Noi diffidiamo di quella parte del partito popolare che scarica su un nuovo assistenzialismo statalista la soluzione dei problemi sociali». E a dare una seconda botta era intervenuto Davide Rondoni, direttore di Tracce, il mensile di CI. «I Rocco Buttiglione, i Giovanni Bianchi, gli Alberto Monticone, sono personaggi che hanno indossato una casacca cattolica forse millantando - aveva detto a Repubblica - ma senza avanzare una sola originale proposta chiara¬ mente ispirata alla dottrina sociale della Chiesa». Nomi e cognomi. Che ieri hanno scatenato la reazione sul Popolo. «Ma con chi crede di avere a che fare Vittadini? - scrivono i due ciellini -. Forse con una massa acefala di adulti cattolici che si muove, sul piano sociale e politico, al primo discutibile ordine di scuderia?». E poi: «infantile livore», «sr henze deliranti»; «aperse Buttiglione, Formigoni, r jse, Folloni, Martini Sem. antissimi altri va tutta la no^ra solidarietà». E per finire il diretto al mento: «Non possiamo più nasconderci la verità. Una parte "malata" dell'ex Movimento Popolare da cui questi leader (Vittadini e gli altri, n. d. r.) non hanno mai pubblicamente preso le distanze (a proposito, perché mai è stato chiuso Mp?) ha intrattenuto con uomini e forze politiche proficui rapporti di scambio (voti per soldi, appalti per «abbonamenti», appoggi giornalistici di ogni genere)». Quali rapporti con le forze politiche? La lettera al Popolo cita l'alleanza con Sbardella e la «nuova corrente de fatta in casa e abortita fortunatamente sul nascere». E l'incendio divampa. Accuse sul piano personale, scomuniche. Che cosa succede nel popolo di CI? «Cosa vuole che le dica? Uno degli autori della lettera al Popolo, Pier Luigi Pollini - osserva il filosofo Rocco Buttiglione - è un mio vecchio amico che evidentemente ha perso la pazienza». Lei condivide le cose che scrive? «Direi di sì. Nella lettera si fanno delle distinzioni e si difende CI. E questo è importante. CI è il mio cuore, la mia famiglia, e se io oggi ho deciso di fare politica è anche perché voglio riscattare il fango che alcuni hanno gettato sul movimento». Che cosa risponde il direttore di Tracce, Rondoni? Con una battuta: «Se II Popolo si riduce a polemizzare con una lettera come quella, vuol dire che sono proprio messi male». Molti esponenti hanno già lo stipendio e presto la pensione da parlamentare Mauro Anselmo

Luoghi citati: Bologna, Pavia, Roma, Sanremo