E il «borghese» Silvio strega la nobiltà nera

E il «borghese» Silvio strega la nobiltà nera E il «borghese» Silvio strega la nobiltà nera :r:::v:::: ::::::: : ;: :; :: ; : :::: : ;:: gine invano tenuta su dal doppio rifiuto a uno smanioso Cossiga che, già respinto dal circolo della Caccia, ha incautamente pensato di bussare pure a quello degli Scacchi incassando il secondo no, e senza neanche avere, come Livio Garzanti nel 1950, un Pasolini che piazzasse sulla vicenda un fulminante epigramma dedicato appunto ai nobili della Caccia: «Non siete mai esistiti, vecchi pecoroni papalini:/ ora un po' esistete perché un po' esiste Pasolini». E in fondo gli era anche andata bene, se solo si pensa che un secolo prima in ordinari e continuati accessi di poetica furia plebea, un altro grande della letteratura, Giuseppe Gioachino Belli, aveva ben arrotato i suoi versi perfetti contro «li conti, li marchesi, li baroni/ e tutta st'illustrissima canaja». E «cani da macello», li definiva, da tenere alla catena, per concludere che nonostante gli si dovessero «tanti ariguardi», ecco, «er ceto de li nobbili/ è tutto un spedatone un grande ospedale, cioè - de bastardi». Berlusconi, adesso, piomba a peso morto su un disfacimento assai meno grandioso, una decadenza relativa, un umanissimo adattarsi dei nobbili de Roma a rispettabili mestieri che i loro avi non avrebbero mai ritenuto all'altezza della Tradizione. Per cui un Torlonia fa il sarto e altre Torlonia le pierre, un Chigi Rovere produce la marmellata, un altro Chigi affitta baracche ai romeni, un Barberini ha la palestra «Gold Jim», una Aldobrandini è nel catering, Sacchetti offre le case per i matrimoni... E una verosimile leggenda racconta che qualche Odescalchi e un paio di Lante della Rovere, dopo millenaria fedeltà papalina, siano già «dipendenti» della Fininvest. Palazzo RospigliosiPallavicini. Sotto, Pasolini Isc

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