Ho sempre soffiato di essere Buster Keaton

ALEC GUINNESS ALEC GUINNESS Ho sempre soffiato di essere Busterkaton gnori della birra abbiano poi tentato di appropriarsi di lui mettendone in evidenza la rassomiglianza con la fisionomia della stirpe, si convinse che il suo vero padre era un attempato banchiere scozzese, Andrew Geddes, che incontrò quattro volte da bambino e che sua madre gli presentò sempre come uno zio. Il mistero non è completamente risolto. Ma la fanciullezza nomadica e negligentemente signorile, di albergo in albergo al seguito della madre, gli impresse per sempre nell'anima la fedeltà al sogno che coltivava nei suoi soliloqui di ragazzo: recitare. Fedele, Guinness lo è sempre stato: alla moglie Menila, che continua ad amare con tenerezza immutata da quasi sessant'anni; al lavoro, al quale si è sempre accostato con modestia, rifiutando cocciutamente di essere una star e mettendo a profitto il suo genio schivo del dissolvimento nei personaggi; e a Dio, che ha trovato dopo una giovinezza atea e anticlericale durante le riprese di Padre Brown e II prigioniero, in cui interpretava rispettivamente un frate e un cardinale. La conversione fu così drammatica che nel 1956 si fece cattolico; e da allora la religione è una delle sue gioie quotidiane. «Quando decide una cosa è quella, per la vita - assicura Russell Taylor -. Escludo che abbia amoreggiato a destra e a manca, non è proprio il tipo. E' un uomo profondamente devoto alla sua famiglia». Preso dal suo bisogno di credere, Guinness tastò anche il terreno del buddismo. Cercò sostegno spirituale nel maestro di un centro londinese, ma apprese che il sant'uomo se l'era filata perché non approvava la possibilità di bombardamenti. Alee lasciò perdere, ma le sue esperienze religiose sono ugualmente diventate carne da fantacronache. «Un giorno gli ho riferito: Oinar Sharif va dicendo che hai cambiato molte fedi, a cominciare dall'ebraismo - ride il biografo -. Lui ha sgranato gli occhi e ha detto: «Re nudi»: in uscita una raccolta antimaschilista di detti, proverbi, interviste a scrittori, attori e donne celebri Durante la guerra comandava una nave: fu il primo alleato a sbarcare in Sicilia. A James Dean in Porsche disse: «Corri troppo, ti ucciderai» In alto: 7 delle 8 parti interpretate da Alee Guinness in «Sangue blu» A lato e sopra: il giorno dell'Oscar e con la moglie A destra: James Dean "Ma va', non sono neppure circonciso"». Tutto d'un pezzo era già fatto il ventenne e squattrinato Guinness: se ne accorse subito John Gielgud, che Alee venerava ma da cui non accettò venti sterline sonanti che pure gli sarebbero servite a riempirsi la pancia. «Prendile, me le restituirai non appena avrai un lavoro», insistette invano l'astro del teatro inglese una sera del 1934, quando nel suo camerino vide vacilla¬ re per la fame quel ragazzo che voleva fare l'attore. Anziché mettersele in tasca, Guinness ringraziò, uscì e andò a trovarsi un impiego come comparsa al Piccadilly Theatre. Pochi mesi dopo Gielgud gli offrì la sua grande chance con la particina di Osric nell'Amleto. Per un momento Alee temette di aver guastato tutto quando durante le prove il grande mattatore esplose: «Non lo sopporto, non lo sopporto. Vai via per dieci giorni e impara a recitare, per l'amor di Dio». Non certo di non essere stato licenziato, l'apprendista tornò per constatare con sollievo che la burrasca era passata. La guerra di Guinness fu segnata dallo sbarco in Sicilia della nave da lui comandata, un'ora prima del dovuto. «Pare proprio vero che sia stato il primo a metter piede sul suolo italiano - conferma il biografo - . Ed è possibile che quell'esperienza di vita militare gli abbia fornito modelli per interpretare il colonnello Nicholson in II ponte sul fiume Kwab). Prima di arrivare al film che l'avrebbe consacrato superstar (di quell'interpretazione da Oscar avrebbe detto, con suprema indulgenza: «Non sono stato malvagio») di strada avrebbe dovuto farne ancora parecchia. Ma il suo stile umano non mutò, neppure dopo la gloriosa presa di Hollywood. Da artista, non ha mai giudicato i suoi personaggi, ma in un'occasione gli è scappata un'osservazione tagliente su Lawrence d'Arabia, i cui panni aveva indossato in palcoscenico prima di cederli a Peter O'Toole sul set: «Non mi è mai piaciuto Lawrence: era un bugiardo. E i bugiardi mi stancano». Meglio il retto Feisal, che interpretò, irriconoscibile, nel film di Lean: tanto più che Noel Coward, a teatro, aveva irriso alla sua improbabile parrucca bionda «che rimaneva perfettamente composta anche dopo la sodomizzazione da parte di dodici turchi». Non ha mai covato animosità, Guinness. Bette Davis è l'unica eccezione: non si potevano soffrire. Durante le riprese di II capro espiatorio, lei strillò che era colpa di quell'uomo a cui piaceva «recitare da solo» se la sua parte era stata «ridotta a brandelli»; lui la ricambiò più blandamente dandole dell'egoista. Ma perché non ha mai recitato con Olivier al National Theatre? «Sospetto che la ragione fosse Olivier. E' possibile che avesse paura della competizione con lui». Di delusioni Alee ne ha sofferte: la più devastante gliel'ha inflitta David Lean, l'amico e regista di tanti suoi film. «So che Lean era molto geloso del Dottor Zivago e voleva accentrare su di sé tutti i meriti - racconta Russell Taylor -. Può darsi che l'enorme successo di Guinness in Kwai, la loro collaborazione precedente, abbia fatto esplodere qualche risentimento inconscio nel regista». Risultato: Lean trattò malissimo Guinness, gli sibilò che era

Luoghi citati: Hollywood, Sicilia