UN CAMPANILE DI RISATE di Giorgio Calcagno

UN CAMPANILE DI RISATE UN CAMPANILE DI RISATE Torna l'introvabile «Trattato delle barzellette » CI sono molte ragioni per non leggere Campanile. La prima è che alimenta in chi legge un senso di impotenza, anzi di frustrazione. Di fronte a quelle sue divagazioni, che sembrano marginali, e scoccano sempre nel bersaglio, si ha l'impressione di essere presi in giro. Ma come, con trucchi così semplici, potrei provarci anch'io. Provateci: il gioco non torna, soltanto a lui il coniglio è uscito dal cappello, vi sentite degli imbecilli. La seconda ragione è che, dopo aver letto una sua pagina, vi viene voglia di ripeterla agli altri. Guai a cadere nella tentazione. Il vostro uditorio seguirà, con aria afflitta, quella storia sulla quale avete rischiato di slogarvi le mascelle, ma che non è più, per impercettibili spostamenti, la stessa storia. Provate a raccontare «la quercia del tasso», se non la sapete ripetere alla lettera. E saperla alla lettera, con tutti quei giochi fra il Tasso (poeta) e il tasso (animaletto del genere dei plantigradi), o il tasso (albero delle Alpi) o, guarda un po', il tasso (di pagamento), è impossibile. La terza, più pericolosa ragione, è che metterete fine alla vostra quiete familiare. Se avete una partner, che magari si è addormentata accanto a voi, non vi perdonerà mai le risate con le quali l'avete fatta sussultare nel cuore della notte. Inutile rifugiarsi in un'altra stanza, o magari in bagno, per farsi coprire dal getto della doccia. La donna vigila, vuole anche lei la sua parte, verrà a contendervi il libro; la luce resta accesa, la notte se ne va. C'è una sola ragione, per leggerlo. Perché fa bene alla vita. Una pagina di Campanile, nella sua stralunante • astrazione, nel suo vagabondaggio sul nulla, è un elisir dello spirito, un graal della mente. Giustifica le discussioni in famiglia, le proteste del vicinato, gli sguardi minacciami vendetta dei compagni di treno. Infischiatevene. La Bompiani, dopo avercele fatte sospirare quattro anni - le rinviava di Natale in Pasqua, di Pasqua in Natale - ci procura adesso 1465 pagine di quella felicità, a 75.000 lire. Grazie a Oreste del Buono, mette in circolo il secondo volume delle Opere, Romanzi e scritti stravaganti, 1932-1974, con un'appendice sulla più recente fortuna critica dell'autore, fino a Umberto Eco. Volume da non perdere. Il curatore, che ha qualche merito verso noi, affiliati della setta, ha tirato fuori dalla miniera di Campanile cinque pietre scintillanti, veri topkapi della letteratura umoristica. Le ultime due, Manuale di conversazione e Gli asparagi e l'immortalità dell'anima, sono «E* per eh 'io son minuto e piccoletto-/ ino <i chi è capace di vestirmi bene costa più d'un gnin monto il mio farsetto": ecco un epigramma sull'epigramma esimilo da una intrigante microanUìlugici, La rirolla delle Muse, in libreria per Ih/lardi (pp.252, L. 10.000). L'ha curata un cultore del genere, Gaia Fratini, ordinando /ter temi epigrammi di ogni tempo dai classici latini e girci ai nostri contemporanea sei aiuole, la letteratura, la politica, il costume, lo spettacolo, lo sport, igiochi diparole. Ironie e veleni, distillati con olimpica atarassia. Afe offriamo (daini scampoli, lasciando a chi cercherà il libnt il piacere di ritrovarvi i più celebri. CONTRO PIETRO ARETINO Qui giace l'Aretin, poeta tosco: di tutti disse mal fuorché di Cristo, scusandosi col du: — Non lo conosco. Paolo Giovio QUI GIACE IL GIOVIO Qui giace il Giovio, storicone altissimo; di tutti disse mal fuorché dell'asino, scusandosi col dir: — Egli è il mio prossimo. Pietro Aretino I GIORNALISTI Dare e tór quel che non s'ha, è una nuova abilità. Chi dà fama? I giornalisti. portate da dessert, friandises per i più raffinati; ma ancora trovabili in qualche reprint di anni meno remoti, nelle biblioteche di non decrepite zie. Ed è lì che bisogna cercare subito, a pagina 1033, «La mestozia», surreale apologia del refuso; o meglio ancora, a pagina 1359, il pezzo sui centenari, sintesi dello humour campanilesco: «C'è in giro una spaventosa moria fra i centenari, disse il capitano Horn. Ogni tanto leggo nei giornali che è morto nel paese tale o tal altro un vecchio, o una vecchia, che aveva raggiunto o superato i cent'anni di età. Chi sa da che dipende. Forse ci sarà un'epidemia fra i centenari. Oppure, costoro fanno una vita di stravizi. Certo, se io avessi cent'anni, non mi sentirei molto tranquillo». Ma i primi tre libri del nuovo volume erano scomparsi da anni, non si trovano nemmeno più dagli antiquari. Battista al Giro d'Italia, per esempio, del 1932. Per leggerlo bisogna farsi aprire polverosi archivi, disseppellire annate di giornali che nessuno consultava più da decenni. Campanile al seguito del Giro lo aveva mandato Ermanno Amicucci, direttore della Gazzetta del Popolo. E lui, in quella giostra dove tutti puntava- no su Binda e Guerra, era andato a scegliersi i più derelitti, gli ultimi, seguendone tappa per tappa la corsa. Ma nessuno, in ultimità, riusciva a battere Gerbi, il «diavolo rosso» del primo Novecento, ormai cinquantenne. «Ore 22 - Di Gerbi non si sa ancora nulla. La notte è calata. I pastori accendono i fuochi sulle montagne per indicargli la strada». E II diario di Gino Cornabò? Cornabò è un libro che noi della setta ci raccontavamo l'un l'altro, a pezzi, incontrandoci nei crocevia, per telefono. Chi scrive ne aveva avuto una copia nel 1947 e aveva commesso l'errore di restituirlo al proprietario dopo averlo letto appena due volte (mai restituire Campanile, è uno sgarbo fatto all'autore). Quel travet amareggiato e un po' ciula, che si crede vittima di una società incapace di riconoscere la sua grandezza, e ripete, con affetto sempre più esilarante, il suo «e non sono nemmeno cavaliere», è il solo vero personaggio creato da Campanile. Vero nel senso campaniliano, cioè inesistente, finzione verbale, fin dal nome che porta. Ma da quel nome si srotola una serie di avventure paradossali; il personaggio incespica in radi mano rapida, / romanzi stravaganti e gli scritti dell'umorista Il «Diario di Gino Comabò» con il tormentone «non sono nemmeno cavaliere» Cornasetta tro, acrocene av1947 di respo av(mai mariti gelosi; si infila nudo, sbagliando camera d'albergo, nel letto di vecchie signore; rimane ingabbiato in ascensore tutta la notte con una forma di robiola che si è guastata per il caldo; progetta un romanzo su due fidanzati di campagna minacciati da un signorotto, scoprendo solo alla fine che qualcun altro aveva già scritto I Promessi Sposi. «Non solo i contemporanei, ma anche i trapassati sono contro di me: Alessandro Manzoni mi taglia le gambe, mi traversa la strada, mi impedisce di far carriera, di scrivere il mio capolavoro... Questo, sentite, non è capitato a nessuno, mai». Il cuore del volume, l'oro del suo oro, la pietra che non usciva più di miniera neanche per citazioni, è il Trattato delle barzellette (1961) «ad uso delle scuole, Università, famiglie, comunità, signore sole, viaggiatori, tipi sedentari e professori della Sorbona», come recita il sottotitolo. Non è solo una silloge di barzellette, che Campanile ha messo insieme - e in parte probabilmente inventato - pescando da tutti i repertori. E' un lungo controcanto, campanilesco, sul riso, che fa il verso a tutti i saggi scritti sull'argomento. Campanile rifiuta il colore locale, gli indugi narrativi: prende la vecchia storiella e la sfronda di tutti gli accessori, fino a farne schizzare il veleno. Malignità fra amiche: «Ne ho visto degli uomini ai miei piedi!» «Cambi così spesso pedicure?». La moglie al marito che è stato schiaffeggiato da un tale: «E tu come hai reagito?» «Gli ho mostrato che sono un uomo». «Sporcaccione!». Durante un ricevimento, un signore a una giovane dama: «E' stata al concerto ieri sera?» «No, sono stata a letto»; il signore, distratto: «C'era molta gente?». Ci sono le storielle su Pierino, naturalmente: «Figlio mio, non mi hai mai dato una soddisfazione, da quando sei nato». «E' vero, papà, ma prima?». Sul rancio in caserma: «Non è cattivo questo brodo». «Se fosse brodo. Il guaio è che è caffè». Sui pazzi: «Come hai fatto a diventare direttore del manicomio?» «Ero il pazzo più anziano». E, inevitabile, sull'adulterio: «Ha confessato tutto a suo marito». «Che coraggio!» «No. Che memoria». E poi c'è, a comprenderle tutte, la storia di quello che raccontava a un amico barzellette a getto continuo. A un certo punto, essendosi fatto tardi, s'alza e s'avvia per andare a dormire. Sulla porta si volta indietro e dice all'amico: «Buonanotte». L'amico resta sconcertato: «Questa», dice, «non l'ho capita». Quel «buonanotte» è l'essenza di Campanile, la sua barzelletta: che nessuno può capire, se non accetta il suo spirito, il non-senso metafisico del suo riso. I Giorgio Calcagno

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