SUSANNA E IL CARDINALE IN VOLO PER BRASILIA di Ruggero Bianchi

tuttolibri LA STAMPA Marzo IW4 STIAMO andando a Milano per partecipare a una di quelle mortali tavole rotonde o seminari o conferenze-dibattito che trattano generalmente di un qualsiasi soggetto abbinato a "donna": "Donne nell'amministrazione pubblica". "Il ruolo della donna tra lavoro e famiglia" per passare a "Il futuro della donna al mare o in montagna"... e, per disperazione d'immaginazione degli organizzatori, "La donna di fronte all'alternativa uncinetto o consiglio di quartiere", "Donne e yogurt"». Comincia così l'ultimo libro di Susanna Agnelli, Questo libro è tuo (Mondadori, pp. 121, L. 15.000), ma donne e yogurt appaiono subito come un falso scopo e, in questi racconti fulminanti di viaggio, entreranno soltanto capovolti o di straforo. Infatti l'aereo per Milano non ha ancora decollato che alla delegazione italiana d'Agnelli è, al momento, sottosegretario agli Esteri) arriva un ordine contraddittorio. Destinazione: Brasilia, per la morte improvvisa del presidente del Brasile. L'alba di Rio de Janeiro è «bollente e umida», un funzionario brasiliano scorta la delegazione italiana fino a un aereo delle forze armate. Degna di un film di Fellini la comparsa di un cardinale con accompagnatori: «Il cardinale e io abbiamo lo stesso cognome. Immagino l'imbarazzo dei brasiliani all'annuncio che sullo stesso aereo arrivano il cardinale e la signora Agnelli». La residenza dell'ambasciatore a Brasilia è bellissima, ma il caldo infernale. Sole torrido, strade silenziose e dritte accol- smo, il pensiero radicale e l'arte del successo). E' un mondo multiforme che riflette e risponde alle varie motivazioni che inducono lo hobo a mettersi in viaggio: la disoccupazione e la ricerca di lavori stagionali, l'incapacità di adattarsi ai ritmi dell'industria, la difficoltà di convivenza nella vita privata e soprattutto il wanderlust, il desiderio insopprimibile di girovagare. Non sorprende allora che in questa comunità in perenne movimento e tuttavia capace di organizzarsi secondo leggi sotterranee, non scritte ma rispettate, possano manifestarsi forme di autentica cultura, dalYopen forum al comizio, dalle poesie di protesta ai canti di lotta, ai racconti di vita vissuta. Lo hobo non è necessariamente condannato a seguire per sempre un certo modello di vita. E Anderson (come precisa Raffaele Rauty in un'introduzione utile e puntuale) ne è un esempio tra i più classici. Anderson stesso è stato infatti un hobo, pur essendo passato alla storia della cultura come sociologo e antropologo, esponente di spicco della Scuola di Chicago, autore apprezzato di volumi sugli Homeless e gli slum di New York e di Chicago, sul rapporto tra mondo giovanile e vagabondaggio, sulla mobilità intema negli Stati Uniti e addirittura sulle connessioni tra migrazione e religione, a cominciare da quello sui Santi del Deserto (1942), dedicato ai Mormoni. Per questo II vagabondo è un'opera godibile anche dal lettore medio, che in essa trova un'infinità di spunti capaci di fargli comprendere in concreto il senso di certe esperienze culturali ricorrenti nella storia dell'America moderna e contemporanea. Anderson cita il caso di due poeti, Walt Whitman e Vachel Lindsay; ma come non pensare ad esempio alla saga di Studs Ixmigan di Farrell o a Vita da cani di Dahlberg? L'epopea del viaggio come fuga e ricerca è del resto alla base di tutta la cultura beat, nella quale diventa anzi una metafora onnivora, giacché non si viaggia soltanto in un paesaggio fisico, lungo strade ferrate o asfaltate (Easy Rider), ma anche nella musica e nella droga, nel sesso e nella religione: come Neal Cassady, come il Kerouac di Sulla strada, Isotterranei o I Vagabondi del Dhanna, come il Ginsberg di Urlo. Lo stereotipo dello hobo, in mille sfumature contraddittorie, si affaccia a ogni angolo del Nuovo Mondo: nei mitici Medicine Shows dei ciarlatani girovaghi che vendevano elisir e rimedi universali a base di laudano, come nelle saghe altrettanto mitiche del giovane Paperon de' Paperoni. Hobohemia non è insomma il mondo allucinante degli slum, crudamente descritto da Jack London nel Popolo degli abissi. Hobohemia è anche al di là delle sue perversioni e delle sue degradazioni il luogo del cambiamento e della possibilità. E' la Bohemia dello Hobo, certo. Ma è anche Oh Bohemia! come Oh Calcutta!, sintesi a tratti giocosa e a volte addirittura gioiosa dei paradisi e degli inferni del nostro mondo. Ruggero Bianchi tuttolibri

Luoghi citati: Brasile, Brasilia, Chicago, Milano, New York, Stati Uniti