FORTINI di Giovanni Raboni
FORTINI FORTINI Italia orrìbile ti dico addio giorno ho telefonato a Giovanni Raboni perché l'avevo visto in tv con Rifonda2Ìone comunista. Mi ha fatto piacere; ma Raboni spiazza un po' la gente, perché ha atteggiamenti contraddittori: appoggia Strehler... La sintonia non è una cosa da tarallucci e vino o da corporazione letteraria. Trovererei difficoltà enormi a collaborare oggi al Manifesto. Mentre posso scrivere di letteratura sul giornale della Confindustria o su un settimanale per il quale non ho nessun rispetto, L'Espresso». Ha dei rimpianti? Si riconosce delle colpe? «No. Beh, sì. Le colpe sono moltissime. Moltissime. Andando avanti negli anni - e io ne ho 76 - non è che uno capisca di più di sé: capisce meno. Ma più che di colpe, parlerei di inadempienze verso persone a cui s'è voluto bene e con le quali non si è stati abbastanza umani, abbastanza affettuosi, abbastanza pieni d'amore». Fa autocritica? «Sì. Sì. Grazia Cherchi diceva di me citando Manzoni: "Oh che sant'uomo! ma che tormento!". Sono stato esageratamente esigente, e in modo spesso sofistico. Un atteggiamento di aggressività, di sadismo, volto a pretendere, soprattutto dagli amici, capitolazione e conversione in nome di un qualche cosa che si pretende essere la Verità». Quest'atteggiamento si è allentato? «Sono forse un pochino più amabile. Ma tutti rammentano che ero un carattere impossibile, un per... Ho avuto due operazioni, a giugno e a settembre. Il peggio: le viscere, le budella, il colon. Sono stato molto più di là che di qua. Ero tutto marcito. Nella prima operazione hanno visto il tumore, ma non hanno potuto intervenire. La seconda l'ho fatta a Barga, meraviglioso posto e meraviglioso ospedale e meraviglioso chirurgo. Loro dicono che sono guarito. Naturalmente ti sottopongono a quelle cose tremende che sono le radiazioni. Le statistiche dicono che si va avanti almeno cinque anni; io dico da sei mesi a due anni: ma lo dico per narcisismo, perché dà una certa aura. In realtà tutto è incerto... Cosa posso farci io? Reagisco male, nel senso che ci penso». Alla morte? «Ho il massimo dell'angoscia, il timore di perdere completamente la personalità nella fase terminale. Per alcuni giorni dopo l'operazione ero sveglissimo, ma davo i numeri. Me l'ha raccontato mia moglie Ruth. Ero sotto narcosi... Ci penso sempre. "La morte è il vino dei poeti": non ricordo chi l'ha detto. Secondo una famosa frase di Hegel, occorre introdurre delle parcelle di morte nella vita di tutti i giorni: intrattenersi, stare accanto alla morte, all'annullamento; non per esorcizzarlo, ma per rafforzarsene. Bellissimi discorsi, che possono essere annullati da un dolore fisico o da un'alterazione mentale. Die mio, quanta gente vediamo diventare... Questo è il mio terrore. Com'è morto Manzoni? Bestemmiando e vomitando cose insensate, picchiato a pugni da due infermieri di Pavia. Hanno trovato le ecchimosi... Quello che di te rimane, che di tutti rimane, non è rappresentato da, quei quattro, venti, cento libri che puoi avere scritto, e neanche dagli affetti e dall'insegnamento, perché basta passare una certa età per accorgersi di quanto questo sia vano, ma è una quantità di modificazioni che la tua vita, come quella degli altri, ha introdotto nei rapporti fra gli uomini». Quale eredità sente più sua? «Diamine! Per tutta la vita ho scritto, ho vissuto, ho partecipato agli eventi del mondo che mi stava intomo, ho cercato di capirlo, ho usato un linguaggio, ho modificato un linguaggio. Questa è la mia sopravvivenza». La malattia ha cambiato la sua poesia? «Non ho scritto i versi sotto quest'influenza. Non credo alla divina mania, all'ispirazione e a tutte le ciarle irrazionalistiche, ma confesso che io stesso non so che cosa faccio quando scrivo versi». Lei è stato protagonista di furiose battaglie ideologiche. Oggi si sente isolato? «Io sono un chiacchierone, non solo perché vecchio. Sennonché per carattere - la parte più superficiale di una persona - non ho rapporti molto felici. Ho la tendenza agli urti, alle rotture. Nel maggio '68 venne da me Elvio Fachinelli, lo psicoanalista: era seduto in questo salotto di casa, su quella poltrona. Avemmo una disputa molto violenta mentre intorno si stava creando un violento temporale. Io cacciai, letteralmente cacciai di casa Fachinelli, che poi mi mandò un biglietto in cui alludeva a una mia stortura psichica. Credo che avesse abbastanza ragione, perché altrimenti non si spiegherebbe questo periodico abbandono. Io vengo mollato. Non esalto questa situazione di solitudine. Assolutamente no. Se ne soffre anche». Con chi ha scambi, consonanze culturali? «Il gruppo è ristrettissimo. L'altro Claudio Aitarocca
Persone citate: Elvio Fachinelli, Fachinelli, Grazia Cherchi, Hegel, Manzoni, Raboni, Strehler
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