Sacrilega Rama tra cieli e inferi

Quarantanni di opere Quarantanni di opere Sacrilega Rama tra cieli e inferi EMILANO E opere di Carol Rama, che hanno cominciato più di mezzo secolo fa a svolazzare nei cieli o negli inferni, cioè nei cieli alla rovescia, dell'infrazione, del sacrilegio, con i suoi «materiali abnormi e impertinenti», come scrisse una volta Sanguineti, appartengono a quella specie di manufatti che non si adattano a qualsiasi luogo di esposizione. Il loro colloquio dolcemente maligno e inquietante con il nostro mondo quotidiano, la vocazione ad imporre una loro stravolgente quotidianità e intimità di tipo esoterico e stregonesco, hanno bisogno per realizzarsi di una particolare «aura» ambientale, o fuori norma all'origine oppure procurata per artificio: modello primario ne è la casa stessa torinese, che avvolge Carol come un superego uterino. Quando nel 1985 Lea Vergine a Milano la riscoprì per il mondo, se la portò giù nell'assurdo, metafisico sotterraneo dell'Arengario sotto Piazza Duomo. Nell'ultima Biennale, Corrado Levi ha aggregato quadri e quadretti, con le loro incredibili cornici rimediate al Balon, agli angoli della sala anziché sulle pareti. Ora e fino al 29 aprile una preziosa, raffinata antologia di 30 opere dal 1940 al 1983 è esposta alla galleria di Monica de Cardenas in via Francesco Vigano; la quale, come ubicazione e come ambienti, a tutto somiglia fuorché a quello che effettivamente è, cioè una galleria d'avanguardia milanese «bene». Ci si arriva vagando nel cuore di quell'incredibile frammento di periferia in pieno centro tagliato fuori negli anni d'oro milanesi fra la nuova stazione Garibaldi e il centro direzionale, fra spazi vaghi, vecchi magazzini, casamenti di speculazione della prima metà secolo e il terrapieno delle ex Varesine oggi Luna park - il tutto fa venire in mente i film realisti francesi fine Anni 30; sbucando in un casone a cortile con più colonne di scale, e in un placido appartamento piccolo-borghese, cucinino compreso; costellato di stanza in stanza, ben ordinati e assettati per periodi ovvero decenni, dai lazzi e sprazzi, sberleffi e magherie di Carol. Ed ecco nell'ingresso le enormità erotiche, rosse e dorate ad acquerello e matita, delle sue Alici ermafrodite - c'è anche la Dorina «appassionata» - che fanno le brutte cose con una volpe che è anche pelliccia o scendiletto di volpe, trapassando poi al momento più aspro e dolente, più austro-tedesco, dell'artista, le cinque acqueforti 1945 delle Parche; a confronto, e a chiusura del cerchio, è esposta l'unica carta degli Anni '80, Soffitte e pittura, documenta la riscrittura delle ossessioni giovanili arricchita in fantasie, miti, araldiche visuali da decenni di distillate frequentazioni intellettuali. La piccola cucina pone sul piatto esempi della particolare astrazione nell'ambito del Movimento Arte Concreta - qualche scambio qui con Albino Galvano - con il modo tutto suo, felpato e come tessuto al tombolo, di contestare dall'interno le durezze geometriche del concretismo. I due punti forti della mostra consistono però soprattutto nelle opere degli Anni 60 e 70 e soprattutto nell'inusitata ricchezza, e straordinaria tenuta qualitativa, di esempi dei Bricolages, così amati e compresi da Sanguineti chiamando in causa Lévi-Strauss e il suo pensiero mitico e selvaggio: intorno al coagulo pittorico, prezioso, della macchia informale vive il piccolo orrore quotidiano degli occhi di bambola, delle unghie, dei minuti reperti neodadaisti-neorealisti, fino al limite estremo delle siringhe. Carol eternamente ragazzaccia sfrontata e mater dolorosa, degna di Bunuel. Marco Rosei Una tempera su carta «senza titolo» di Carol Rama realizzata dalla pittrice nel 1956

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