Ma non c'è mai un poco di giustizia

Ma non c'è mai un poco di giustizia LETTERE AL GIORNALE IL LUNEDI' DI O.d.B. Ma non c'è mai un poco di giustizia La mamma di Davide Guardo il mio bambino fare i primi passi dentro il suo box colorato. Gorgheggia, allegro, si alza, si sposta, cade e si rialza, ride e balbetta qualche «mamma». Dovrei essere felice, dovrei abbracciarlo e ridere. E, invece, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Tutta questa vitalità, amore mio, questa voglia di vivere, di scoprire, di alzarti ancora e riprovare dopo ogni caduta, questo tuo sorriso di sei dentini appena, questo tuo fare «ciao» con la manina a qualsiasi persona tu abbia davanti, questo tuo fidarti, questo tuo carattere volitivo e forte... Tutto questo, amore mio, è possibile che tu lo perda nel corso della vita? Che le delusioni, i torti, le offese ti rendano uomo come tutti gli uomini? E l'entusiasmo, questo entusiasmo puro, questo amore puro, queste scoperte ed emozioni perché devono essere destinate a inaridirsi? Eppure questo è il mondo, lo ti ci ho portato, io ti ci devo accompagnare. Scusami per tutto questo, eppure ti ho desiderato così tanto! Così tanto che adesso sto male. In che modo potrò dirti delle guerre, dell'inquinamento, del lavoro e delle malattie, del razzismo, dello sporco dentro e fuori alle persone? E' giusto tutto questo? Che diritto ho avuto io per decidere per te? Aiutami con un sorriso, ti prego. Bello, grande, gorgogliante. A sei dentini appena... La mamma di Davide, Torino Gentile signora, nel poscritto dulia sua lettera in cui mi comunica il suo nome e cognome, mi dice pure che è un momento diffìcile per lei, che ha perso il lavoro ed è molto stanca. Che scrive al suo bambino chiedendogli un sorriso per allontanare la sua paura. L'accontento volentieri. Sporo che il suo bambino le conceda i suoi sorrisi più incoraggianti. Ma lei deve farsi forza. Prima, poteva anche abbandonarsi alla depressione, ora che le è nato il bambino, non ne ha più diritto. [o.d.b.] Umanità e sanità Gentile signor Del Buono, sono una comunissima casalinga italiana e chiedo che venga pubblicata la mia lettera. Forse il mio caso non è l'unico, ma desidero sapere la verità sul servizio sanitario prestato a mio marito Aldo Coppa. Il 28 gennaio 1993 all'ospedale di Susa gli venne riscontrato un infarto leggero ed esteso, quindi fu fatta richiesta di una coronarografia all'Ospedale Mauriziano di Torino, che gli fu praticata il 12 marzo. Il giorno dopo, al momento delle dimissioni, arriva un'infermiera o una dottoressa e, a voce alta, senza un minimo di umanità, dà la sentenza. A mio marito viene detto: «Lei deve fare tre by-pass». Il caso era seguito da un cardiochirurgo di Milano operante alla clinica San Donato. Ogni settimana, immancabilmente, telefonavo all'ospedale per sapere cosa avevano deciso, ma ogni volta venivo rimandata alla settimana seguente. Passa un mese e mezzo, arrivano le feste pasquali. Dalla stessa dottoressa che aveva praticato la coronarografia cui mi rivolgevo ogni settimana vengo invitata a non telefonare più. Sarebbero stati loro ad avvisarmi. Passa altro tempo e a una mia nuova chiamata mi viene detto che il cardiochirurgo di Milano non se ne sarebbe più potuto occupare perché aveva troppi impegni. Allora chiediamo una visita privata a un cardiochirurgo delle Molinette, che oltre alla cartella clinica prende in visione anche il filmino. Dice che, secondo lui, l'operazione non avrebbe giovato, perché il male era in periferia. Non soddisfatti prendiamo un appuntamento a Lione, dove ci ricevono dopo IS giorni. Dopo una visita accurata e registrata, propongono di eseguire tre o quattro by-pass, ma dicono che per l'ospedalizzazione occorreva che l'Ossi ci compilasse il modello E.l 12. Noi non abbiamo potuto ottenerlo o non conoscevamo le persone giuste. Entro tre settimane, senza ulteriore spesa, riceviamo dall'ospedale di Lione tutta la documentazione con sempre la richiesta del modello E. 112 e in più la prova sotto sforzo da inviare entro un mese. Svanita l'opportunità del ricovero in Francia, non ci rimane che essere seguiti dalla Sanità di cui disponiamo. All'ospedale di Susa avevamo fornito tutti i referti medici, ma con fare gentile viene consigliato a mio marito di smettere di fumare e di continuare a lavorare. La prova sotto sforzo l'avremmo fatta poi. Restituiamo il filmino all'Ospedale Mauriziano perché di sua proprietà. Ci rivolgiamo al cardiochirurgo che doveva occuparsi di mio marito. Al nostro arrivo lui non c'era, aveva lasciato alla dottoressa il compito di comunicarci che a mio marito non era necessaria l'operazione. Andava bene la cura assegnatagli. Ma qualche tempo dopo mio marito cominciava ad avere attacchi di angina. Il cardiologo lo rassicura somministrandogli il Carvasin. Dopo due giorni viene ricoverato in ospedale, ma lo stesso medico che due giorni prima diceva che tutto era normale, era in ferie. Mio marito rimane a Susa nove giorni, dopo di che si aggrava e così decidono di trasportarlo all'Ospedale Molinette il 23 luglio 1993. Ma è troppo tardi. Alle ore 5 e 5 del giorno 26 lui è mancato. Perché non l'hanno soccorso? Era solo un numero che serviva a pagare le tasse? Ferdinanda Vair, Torino Gentile signora Coppa, è stata lei stessa a scrivere il titolo di questo suo terribile racconto. E io l'ho rispettato perché contiene nell'accostamento forzoso di due parole Umanità e Sanità che, purtroppo, qui da noi sono attualmente inconciliabili, tutto il dolore, la rabbia, la vergogna che qualcuno possa venir trattato come è stato trattato suo marito. E anche come è stata trattata lei, che giustamente usa spesso la prima persona plurale, perché allo stesso modo e, con un'intensità forse maggiore di suo marito, ha sofferto questa spaventosa incuria. E' possibile che non ci sia mai un poco di giustizia? [o.d.b.] Di chi è la colpa Egregio signor Del Buono, approvo pienamente lo sfogo del signor Della Schiava a proposito della situazione in cui si trovano oggi molti padri. Se troppe famiglie sono disgregate, se i figli crescono senza validi ideali, la colpa è soprattutto delle madri spesso deboli e incapaci, che pensano a un benessere materiale spicciolo e a tante futilità, trascurando così il loro compito naturale o, almeno, tradizionale. La figura paterna è importante almeno quanto quella materna e spesso è proprio il padre l'unico sostegno della famiglia. P.S: con preghiera di pubblicazione. Alberto Germani, Torino Gentile signor Germani, mi pare che lei esageri. C'è sempre caso e caso. Ma essere un padre rispettabile è difficile, esige una gran buona volontà e molta, moltissima autocritica. Non illudersi mai sulle proprie qualità. Non peccare troppo né di presunzione né di vittimismo. [o.d.b.]

Persone citate: Alberto Germani, Aldo Coppa, Davide Guardo, Del Buono, Della Schiava, Germani, Vair

Luoghi citati: Francia, Lione, Milano, Susa, Torino