La scomparsa della Mercouri l'attrice greca più famosa nel mondo il coraggioso ministro della Cultura di Papandreu

La scomparsa della Mercouri: l'attrice greca più famosa nel mondo, il coraggioso ministro della Cultura di Papandreu La scomparsa della Mercouri: l'attrice greca più famosa nel mondo, il coraggioso ministro della Cultura di Papandreu m ■ Le passioni di MELINA I mette paura la morte. La malattia, anche. Ma soprattutto la morte. Se morissi oggi morirei pensando: che rabbia, non ho avuto il tempo di fare niente», diceva l'ultima volta Melina Mercouri. Naturalmente, aveva fatto moltissime delle cose più appassionanti e belle, cinema, amore, politica, ma nulla le bastava mai né la appagava, nulla le pareva sufficiente né placava l'urgenza del fare, il dinamismo aggressivo, un sentimento sproporzionato di responsabilità, la fame di vita che segnavano la sua personalità d'attrice greca più famosa nel mondo, tanto famosa da aver reso proverbiale per sempre il titolo d'un film, Mai di domenica, tanto famosa da rivaleggiare in popolarità con l'altra diva greca internazionale, Maria Callas. Adesso che è morta di domenica a settantuno anni; adesso che le sue immagini più recenti mostravano una faccia scavata da grande tragica quasi allarmante, un'eleganza composta e ingioiellata da dama autorevole, da ambasciatrice o da presidentessa; adesso che la facilità dei luoghi comuni e la memoria corta la apparentavano ad Anna Magnai"1 i, sempre sottolineando l'artificio sfacciato d'una donna mediterranea tipica, però bionda; adesso che si aveva l'abitudine a vederla (quando pure la si vedeva, mica tanto spesso) come componente del governo, sindaco di Atene, convegnista, socialista, comiziante, battagliera, polemica, candidata politica vincente o perdente, adesso sembra strano ricordare quant'è stata bella Melina Mercouri, quanto da giovane era passionale, allegra, ridente, bravissima a ballare, esagerata, infinitamente simpatica. Anche mondana, turbolenta, capace in due ore di distruggere o quasi, insieme con Ari Onassis e altri amici, un locale notturno, capace di assolversi con assoluta naturalezza: «Troppe storie. Abbiamo soltanto rotto qualche piatto, fatto un po' di chiasso, ballato: io sono greca e i greci si divertono così, si sfrenano, hanno bisogno di azione, di movimento, di rumore, di musica forte». Era sincera o almeno convinta di esserlo: «Sono troppo pigra per dire bugie, o magari troppo superba. Mentisco soltanto nelle grandi occasioni, nelle cose importanti, quando ne vale la pena». Non sentiva il rimpianto di non aver avuto figli («il mondo è pieno di bambini»), mentre nel suo amore per Jules Dassin, il regista americano più vecchio di lei d'una dozzina d'anni di cui era la seconda moglie e la protagonista prediletta, c'era una sfumatura da figlia, da allieva: «Incontrare un uomo di valore ha un'importanza decisiva nella vita d'una donna, se non avessi conosciuto Dassin avrei perduto molto, considero il legame con lui la più grossa fortuna che potesse capitarmi». S'erano conosciuti in Inghilterra sul finire degli Anni Cinquanta. Lui s'era rifugiato in Europa per sfuggire al Comitato per le attività antiamericane, alla «caccia ai rossi» specialmente se ebrei; per lavorare, come non poteva fare negli Stati Uniti essendo stato «blacklisted», messo sulla lista nera e ridotto alla di- soccupazione dopo aver diretto film come Forza bruta o La città nuda, e a Parigi aveva diretto un altro classico, Rififi. Lei, figlia di ministro (dell'Interno) destinata a diventare ministro (della Cultura), allieva del Teatro nazionale di Atene, attrice di palcoscenico, aveva debuttato nel cinema nel 1955 con Stella, cortigiana del Pireo di Cacoyannis, aveva interpretato con Joseph Losey (altro «blacklisted») La zingara rossa. Nomade, ladra, attrice, prostituta sembravano i ruoli adatti alla sua esuberanza, alla sua vitalità istrionica, ai suoi lineamenti decisi, e anche con la direzione di Jules Dassin fu il personaggio di prostituta generosa dal gran cuore a darle il maggior successo in Mai di domenica. Andò meno bene quando Melina Mercouri pretese dal suo regista un personaggio, almeno uno, di ricca signora chic, moglie d'un potente armatore greco: in Fedra, versione aggiornata del mito greco, quando sul tappeto davanti al caminetto acceso dove facevano l'amore lei si chinava con furia predace sull'esile figliastro Tony Perkins, capitava di sentire nel buio del cinema piccole grida spaventate: «Oddio, se lo mangia». Andò benissimo con Topkapi, commedia ironica d'una grande rapina fallita nel museo di Istanbul: la capacità di far ridere era naturale in Melina Mercouri quanto quella di ridere. Amava la tragedia e la commedia, ma il cinema serio no: «Antonioni e Bergman sono due registi di cui non riesco fisicamente a sopportare i film. Sono lenti, lenti, lenti. E poi i problemi astratti che non esistono, le borghesi tormentate da chissà cosa, la totale mancanza di vitalità... Quando andai a vedere Deserto rosso m'addormentai: letteralmente. Facevo uno sforzo terribile per tenere gli occhi aperti, non ci riuscivo: devo aver persino russato, e forte. Una vergogna. Ma cosa posso farci? Dassin ha continuato per anni a ripetermi che II silenzio è un film straordinario, eppure non ho avuto mai la forza d'andare a vederlo». In seguito sarebbe diventata più cauta, più diplomatica: non tanto, però. Considerava Mai di domenica il proprio film migliore, interpretato e riu¬ scito con felicità: e aveva ragione. Se le chiedevi cos'è per un'attrice il talento, rispondeva «Lavoro, tenacia, intelligenza»: e di nuovo aveva ragione. Non s'offendeva se l'accusavano di essere sguaiata, anzi: «Mi piace che lo dicano». Non le piaceva sentirsi definire una donna forte: «Va' a sapere quando una donna e un carattere sono forti sul serio. Certo, nei momenti difficili riesco a cavarmela». I momenti più difficili comin ciarono nel 1967, quando i colonnelli presero il potere in Gre eia e lei venne espulsa dal Paese dove alla fine tornò conquistandosi un seggio in Parlamento nel 1977. Anche se interpretò ancora un paio di film diretti da Jules Dassin, con il cinema era finita: cominciava quel tanto di recitazione (più spinosa, più rischiosa e astiosa, a volte più mortificante) necessario nella politica. Aveva già avuto il massimo, bravura e coraggio: eppure adesso che Melina Mercouri se n'è andata è più bello ricordarla trentenne, con i gran capelli biondi fluttuanti e la bocca grande aperta al riso, con le bellissime gambe abbronzate, con i bei piedi nudi che prendevano a calci il mare nella luce radiosa d'un giorno d'estate, mentre parlava della morte senza crederla possibile. Lietta Tornabuoni Il cinema, l'amore, la lotta al regime dei colonnelli Polemica, turbolenta, affamata di vita. Nulla le bastava mai Capace di scatenarsi con Onassis egli altri amici: «Ci divertiamo così, abbiamo bisogno di azione, di rumore, di musica forte» n l a a i ù , . l a e a è o n i a e n g cdnanmdnCfdppsELcipl«f

Luoghi citati: Atene, Europa, Inghilterra, Istanbul, Parigi, Stati Uniti