Berlusconi dopo il voto faremo i conti

Il Cavaliere non replica alle polemiche: «I militanti della Lega sono sangue del nostro sangue» Il Cavaliere non replica alle polemiche: «I militanti della Lega sono sangue del nostro sangue» Berlusconi; dopo il volo faremo i conti «Il Carroccio è sceso al 7%» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO «Menzogna!» Ecco la prima parola che Silvio Berlusconi pronuncia appena salito sul suo jet, il Gulf Stream G 4, 16 posti, che ha già i motori sotto pressione sulla pista dell'aeroporto privato di Linate, destinazione Firenze. Sono le 8,45. Il Dottore ha dato la prima occhiata al titolo della «Stampa» che dice: «Lega e Berlusconi, insulti e minacce». Sbotta: «Menzogna!». Piega il giornale, prende fiato, spiega: «Lo vede come stravolgete la realtà, come disinformate? Il titolo corretto è 'Lega a Berlusconi: insulti e minacce', sono loro che insultano, sono loro che minacciano. Ha capito?». Il jet prende la rincorsa. Il decollo toglie l'aria e concede 30 secondi di apnea. Berlusconi ha la faccia scura, si tormenta il collo della camicia che spunta sotto al maglione blu. E' teso. Tra due ore parlerà a 4 mila persone riunite dentro al palasport di Firenze, poi il pranzo con i 43 candidati, poi il bagno di folla, le telefonate in collegamento con varie convention. E c'è pure il Milan che alle 14,30 affronterà la Juvenuts. Giornata dura. Ma più di tutto, a rabbuiare questa nuova puntata elettorale di Berlusconi, a togliergli quel po' di sole che a 3.500 metri d'altezza filtra dagli oblò azzurrati, c'è quel tale del Nord che ogni giorno gli scava (o si scava) una fossa di parole. Non l'acerrimo nemico Cicchetto. Non l'antibot Bertinotti. Ma l'alleato Umberto Bossi. Dottore lo sa cosa ha fatto l'Umberto, ha scritto ai segretari della Lega dicendo di non votare sul proporzionale per i vostri candidati. «Lo so, lo so». E vi chiama, a piacere, «Farsa Italia» e «Sforza Italia». «Lo so, lo so. E voi ci andate a nozze». Va bè, ma lei non replica? «Prendo atto... No, è meglio che non ne parliamo». Sarà, ma il suo silenzio è già esplicito. Ed è esplicita l'occhiata che rimbalza tra le 8 persone accomodate in questo salotto viaggiante, Nicolò Querci, l'assistente, Marcello Dell'Utri, il capo di Publitalia, Codignoni il segretario dei 12 mila club, Lo Jucco, il responsabile dei 251 candidati, Marinella, la segretaria ombra del Dottore, Pier Silvio e Marina i due figli maggio¬ ri. Gli 8 uomini della scorta stanno più in là, nelle poltrone del corridoio, bevono caffè e parlano tra loro. Dice Berlusconi: «Guardi, io oggi lo dirò che non voglio polemizzare con Bossi. Il disegno dell'alleanza è più forte di ogni litigio. Dirò che una volta fatte le elezioni si dovranno contare i voti e allora si capirà che tutti i candidati, compresi quelli della Lega, saranno in debito con i nostri elettori, con i nostri voti. Dovranno trarne le conseguenze». Fini dice: Bossi dovrà abbassare le piume. «A me questo linguaggio non piace, gli alleati vanno rispettati. Lo dirò: sono sangue del nostro sangue, carne della nostra carne». Uno dei suoi collaboratori estrae un piccolo fogtìb con le nuove proiezioni elettorali elaborate dalla Diakron di Gianni Pilo, danno la Lega al 7 virgola qualcosa per cento. E Forza Italia sopra al 37. Berlusconi si rigira il foglietto tra le mani, sorride, guarda fuori, chiede: «Chi vuole un caffè?». Ed è come se dicesse: chi vuole champagne?. C'è una strana atmosfera in questa carovana elettorale che viaggia in jet privato, con telefonini che trillano e uomini in divisa da manager che non discutono di fatturati, ma passano in rassegna i punti del programma, si arrabbiano sfogliando «Repubblica», chiedono: «Cos'ha fatto ieri Spaventa a Poma? Quello sarà un osso duro». Oppure: «Dottore, oggi a Firenze dovrebbe puntare sulla questione delle tasse e sulla tutela dei commercianti. Però stia attento, saremo collegati con la piazza di Matera, la sentiranno e la vedranno, dovrebbe dire qualcosa anche sull'agricoltura e la disoccupazione». Berlusconi ascolta, si massaggia il collo, memorizza. Due ore dopo, sul palcoscenico del Palasport, ricorderà. «Mi dicono che in questo momento a Matera ci sono 10 mila persone. Facciamo sentire un grande applauso». Eccolo. «Sappiano, quei nostri concittadini del Sud, che nel nostro programma affrontiamo i mali dell'agricoltura e il dramma della disoccupazione... ». L'atterraggio è violento, strappato, ma dura un paio di respiri. Dieci scalini e si sale sul corteo di auto metallizzate, con doppia vo- lante apripista. Si viaggia veloci e Marinella mette in allerta l'altra metà dell'organizzazione: «Stiamo arrivando al Grand Hotel, dieci minuti. Preparatevi». Berlusconi sprofondato nella Thema, dà i tempi: «Ho bisogno di un'ora per concentrarmi. Alle 11,15 si va». E poi, sarcastico: «Mi metterò il doppiopetto, così voi della stampa potrete fare gli spiritosi». Mentre se ne sta chiuso nella suite del Grand Hotel arrivano da Torino i frammenti delle nuove sparate di Bossi contro Berlusconi, «uomo sintesi del pentapartito», e altre amenità. Lo staff del Dottore (caffè, brioches e marmellate nella sala ristorante) risponde con meno diplomazia: «Quello è proprio matto». Oppure: «Adesso è ora che la pianti». Op- pure: «Cos'è che ha detto il capobanda?». Oppure: «I sondaggi li conosce, sta perdendo la testa». Stiratissimo compare il Dottore. E si entra nel tunnel della convention, con inno, trombe, flash, telecamere, ressa, cori: «Silvio! Silvio!». Lui è trasformato, niente più stanchezza, niente più tensione. E' il re del palcoscenico che parla, accarezza, massaggia, si arrabbia, ma non contro la Lega (che lo rode dentro), ma con i «comunisti e i paracomunisti», i nemici ufficiali. «Loro sono il partito delle tasse. Il partito deUa disoccupazione. Il partito della recessione». Applausi. «Loro vogliono trasformare l'Italia in una grande usi!». Ovazioni. Parole in puro stile elettorale. Per ritrovare il Berlusconi privato, preoccupato di questa alleanza che traballa (ma che si deve tenere), bisogna saltare parecchie ore, ritrovarsi a fine pomeriggio, quando si torna a correre per Firenze, con deviazione panoramica al Forte del Belvedere, dopo la telefonata di Fabio Capello che chiama (proprio) da Torino, ma con una buona notizia. Quelle cattive ormai sono tutte in agenzia. E Berlusconi (nel volo di ritorno, tramonto amaranto) alterna i sorrisi di fine tensione a nuove cupezze. «Non ha ancora capito che sono oggetto di un attacco forsennato? I grandi giornali sono contro di me. E sono contro di me le reti Bai. Ed è contro di me certa magistratura di regime». Sarebbe a dire? «Ci sono decine di pm che si sono scatenati a caccia di chissà cosa. Non passa giorno che una delle nostre società non subisca incursioni della guardia di Finanza. Ogni giorno! Sono i colpi di coda del vècchio, dinsinformazione e certa magistratura che insieme vorrebbero fermare il nuovo. Ma la gente lo sa, la gente capisce». Vi voterà, d'accordo, ma poi vi ritroverete al governo con Bossi... «Con Bossi sì...». E si aprirà il problema della leadership. «Cosa?! Ma mi faccia il piacere!». Alza le spalle, stringe gli occhi, dice: «Io questo problema proprio non lo vedo». Sta per dire: non scherziamo il capo sono io, non si discute. Ma basta l'occhiata, basta il sospiro. Definitivo come questo benedetto atterraggio a Milano. La città di Bossi. O no? PinoCorrias Silvio Berlusconi ha aperto ieri a Firenze la convention nazionale di Forza Italia ih