Morlotti l'incendiario naufrago della materia
Morlotti, l'incendiario naufrago della materia Morlotti, l'incendiario naufrago della materia to». «Io perseguo un principio molto semplice, quello stesso che ti consente, aprendo una finestra, di vedere la cosa che ti è di fronte, la stessa di ieri, in un modo diverso». Monet? Certo, in quegli anni, Morlotti pratica una vera rivoluzione copernicana: è necessario che «la forma venga dall'emozione, non viceversa, come fanno certi moderni che rielaborano solo delle forme. Questo è il problema centrale, trovare delle parole d'amore nuove perché hai delle emozioni nuove». E poi l'autentica frase-motto: «Un'emozione vera che renda inservibile il linguaggio precedente e ti imponga di scoprire, per poterla esprimere, mezzi nuovi». Ecco la battaglia con gli stilemi dell'avanguardia, che pure Morlotti corteggia (a Parigi conosce Riopelle, Tal Coat, De Stael, Wols): ma il suo «informale» è più umano, non vuole compromessi con l'astratto... «Mi è venuto questo informale» scrive, quasi si trattasse di un'influenza, d'un infarto, che «rompe» le sue certezze. Lo si vede anche negli emblematici «prigioni» di Statue, suo nostalgico congedo dal maestro Funi, dalle peci sironiane e novecentesche, «quella reverìe classicista che corre per tutta la tela», di cui parla ancora Testori. Ma è ancora una volta la materia germinante ed autonoma a farsi protagonista, issata Qui accanto: Ennio Morlotti Oggi, a un anno, dalla scomparsa, si inaugura a Ferrara una mostra antologica (sarà aperta fino al 12 giugno) tro la corazza tufacea di un capitello romanico, «mi sento un insetto dentro le cose» «e non mi piacciono le chiesuole le massonerie le conventicole». Eppure, per affetto, non può che essere solidale con le attenzioni che gli rivolgono gli amici di Corrente: firma manifesti engagés, guarda con loro ad Ensor e all'Espressionismo, anche se coltiva, in silenzio, la misura geometrica ed intimista di Cézanne. Poi, come mimando una delle sue cosmiche concitazioni di colore, sbotta, sincero sino alla crudeltà, all'offesa: «Presentivo che un giorno o l'altro si doveva finire a litigare sul serio. Butto all'aria tutto. Ritorno alle mie pas¬ sioni, a me stesso. Ritorno al mio destino di pittore individualista. Vado in montagna. Farò quadri di maledizione e di esasperazione». E' la liberazione anche dall'incubo Picasso. «Servitù insopportabile». Quando è venuto giovane, a Parigi, l'ha conosciuto, ha visto Guernica, e trovato in sé il coraggio di ammettere: «Non lo capii molto». E sono interessanti proprio questi primi quadri di combattimento di Picasso, con le formule per lui soffocanti dell'avanguardia, che la sua forza sanguigna farà esplodere dentro la tela stessa. Lui non vuole «sperimentare», vuole essere impastato di realtà, «come uno scolaret¬ Marco Vallerà
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