Onu italiani in Bosnia

Favorevole il Consiglio di sicurezza, Boutros Ghali frena Favorevole il Consiglio di sicurezza, Boutros Ghali frena Onu, italiani in Bosnia Cade il veto, Andreatta: siamo pronti Sbarrato il «muro del pianto» «Evitiamo scontri con gli arabi» F la prima volta a Gerusalemme Il barbone che non volle morire ROMA. Soldati italiani in Bosnia? L'ipotesi, accantonata un anno e mezzo fa dopo le riserve espresse dal segretario generale dell'Onu Boutros Ghali, torna improvvisamente alla ribalta. La Bbc rilancia voci in tal senso raccolte al Palazzo di Vetro mentre da Trieste il ministro degli Esteri Andreatta ricorda che «un'opposizione preconcetta dell'Italia all'invio di truppe non c'è mai stata». In realtà una richiesta formale dell'Onu non c'è, anche perché il segretario dell'Onu sembra frenare, ma la necessità di aumentare il contingente di 5000 uomini potrebbe far saltare le riserve di Boutros Ghali circa la partecipazione di Paesi confinanti o coinvolti, per motivi storici o religiosi, nel conflitto nella ex Jugoslavia. A spingere verso questa soluzione sarebbe in primo luogo il Consiglio di sicurezza. «Stiamo rivedendo la politica tradizionale delle Nazioni Unite», riconosce Alvaro De Soto, portavoce di Boutros Ghali. «Siamo ormai ridotti a mendicare truppe e non possiamo escludere alcun Paese». Badurina e Di Robilant A PAG. 7 Il ministro degli Esteri, Andreatta Il premier israeliano, Rabin LA STORIA SWASHINGTON TATO «quasi vegetativo», avevano sentenziato i medici dell'ospedale di Bennington, nel Vermont, incuranti dei pericoli lapalissiani contenuti in quello strano eufemismo, sul genere «quasi morto», «quasi gol», «quasi incinta». Ma sta di fatto che Ronald Comeau, anni 30, professione barbone, senza fissa dimora, bene non stava. Quando la polizia lo aveva arrestato dopo una rissa per un sacchetto di plastica con un suo compagno di strada nell'ottobre del 1993, aveva cercato di impiccarsi in cella, per la vergogna. L'avevano portato all'ospedale in coma e in coma era rimasto, appeso alle macchine, alle pompe, ai respiratori, agli aghi per settimane. Se Ronald fosse stato il figlio di Rockefeller, l'ospedale sarebbe stato forse più paziente, e l'ufficio contabilità più tranquillo. Ma Ronald Comeau non era nessuno. Non aveva un centesimo, non aveva un amico al mondo e il «business è business», gli affari sono affari: al prezzo di quasi 5 milioni di lire al giorno, perché tanto costa mantenere un comatoso artificialmente in vita, la parcella dell'ospedale aveva già superato i 75 milioni e gii amministratori cominciavano a diventare nervosi. Quanto può durare questo «stato quasi vegetativo» chiedevano e i medici si stringevano nelle spalle: un giorno, un mese, dieci anni. Chi paga? Nessuno. Ronald non aveva parenti conosciuti. Non aveva, come 36 milioni di americani, alcuna assicurazione sanitaria, né pubblica né privata. L'ospedale chiese al giudice di contea il permesso di staccare le macchine. Il giudice lo concesse. Le macchine furono spente e staccate, il 3 novembre. Addio Barbone Rolando. Ma Ronald non morì. 11 «quasi vegetale» continuò a respirare, senza più macchine di supporto, senza più pompe, nutrito soltanto dalla goccia di liquido che scolava dalle flebo nelle vene. Gli fecero altri encefalogrammi: «tracce» soltanto di attività cerebrale, «quasi morto», appunto. E' solo questione di tempo, dissero i medici per rassicurare gli amministratori che vedevano il conto salire, già ma «quanto» tempo? Altre due settimane passarono e la direzione dell'ospedale tagliò corto. Tornò dal giudice per chiedere l'autorizzazione a staccare anche i tubi delle flebo, e a sospendere il «sostentamento artificiale», come dicono gli avvocati. Per farlo morire di fame, come diremmo noi. Di nuovo il giudice concesse. I tubi furono staccati. La tenda della morte che nasconde le agonie dei moribondi nelle corsie degli ospedali americani fu tirata attorno al suo letto. Un prete fu chiamato per calmare la coscienza degli amministratori e per ungerlo, nel sospetto che Comeau, con quel nome di origine francese, fosse cattolico. E di nuovo Rolando il Barbone non morì. Dopo tre giorni senza tubi né liquidi per nutrirlo, dunque senza mangiare né bere, in coma, l'infermiera che doveva controllare periodicamente la sua agonia sentì un suono soffocato, un grido che suonava come «fffftù» o «ffffiù» venire da dietro la tenda. La schiuse, guardò dentro e le sfuggì un grido. Non soltanto GERUSALEMME. Per la prima volta i militari a Gerusalemme hanno sbarrato il Muro del pianto, impedendo agli ebrei ortodossi di recitarvi le loro lamentazioni e le loro preghiere. Il provvedimento è stato deciso, in una Gerusalemme chiusa in una morsa di ferro, per evitare gli altrimenti probabili scontri con i palestinesi, a una settimana esatta dalla strage alla moschea di Abramo. Anche la città di Hebron è stata sigillata in una morsa dall'esercito israeliano. Ieri si temevano gravi incidenti, ma gli arabi non hanno potuto manifestare in alcun modo. Due milioni di palestinesi nei Territori sono detenuti nelle loro abitazioni. M. Candito A PAG. 8