MCLUHAN di Mirella Serri

Profeta o illuso: l'Italia a trent'anni dalle sue teorie sul ruolo della televisione Profeta o illuso: l'Italia a trent'anni dalle sue teorie sul ruolo della televisione MCLUHAN Chi ha paura del grande fratello? M T MM I onT al Mi Mi giorno nella tv; circondati da computer, modem, fax, / j j telefonini e -y (T~^ ~'J videogiochi. A trent'anni dalla pubblicazione del fondamentale Gli strumenti del comunicare (1964, ma l'edizione italiana è del '67), l'eroe elettronico preconizzato da Marshall McLuhan sembra ormai la realtà di noi tutti. E' vero altrettanto per le altre principali profezie del massimo guru dei mass media? Il mondo si è già trasformato in quel «villaggio globale», postmoderno e prealfabetico, di cui il teorico canadese parlava tanti anni fa? Ed è vero che il mezzo di comunicazione si è sempre più compenetrato con il messaggio, che tv e computer, in altre parole, sono mezzi tecnici tali da condizionare pesantemente la qualità delle informazioni trasmesse per loro tramite? Se può essere interessante tentare un bilancio della validità delle predizioni di McLuhan, scomparso nel 1980, lo è certamente molto di più verificare le sue intuizioni teoriche alla luce dei più recenti sviluppi, anche politici, del sistema dei mass media in Italia. Il mezzo che si fa messaggio e soprattutto il villaggio planetario dove tutti sono al corrente di tutto in tempo reale, come nelle antiche tribù, secondo l'accademico canadese non costituivano seri pericoli, ma, anzi, rappresentavano fenomeni in larga misura positivi perché permettevano una rapidissima e «democratica» circolazione delle informazioni e, quindi, del potere. E qui casca l'asino. Proprio sulla questione del nuovo potere che nasce dal controllo dei media del villaggio globale, l'ottimismo di McLuhan (di cui sta per uscire per le Edizioni Lavoro, con prefazione di Alberto Abruzzese, La legge dei media, una summa scritta a quattro mani con il figlio Eric e pubblicata postuma) faceva pochi proseliti già negli scorsi decenni. Molti sono invece coloro che, proprio perché condividevano le tesi di fondo del massmediologo nordamericano, delineavano scenari da incubo: tycoons delle tv che diventavano «grandi fratelli», gruppi economici che conquistavano fette sempre più ampie anche del potere politico, folle pilotate nelle scelte consumistiche, prima, in quelle culturali e politiche poi. E oggi? Oggi che in Italia la concentrazione in campo televisivo ha assunto l'aspetto di Mi j j (T un duopolio, che il soggetto privato dominante nella tv scende esplicitamente nell'arena politica, qual è l'attualità dell'insegnamento di McLuhan? La tv è ancora quel «gigante timido», un po' freddo e poco coinvolgente, che appariva al profeta de Gli strumenti del comunicare, o è diventata il braccio armato di un nuovo potere, la videocrazia? «Oggi solamente una fetta del mondo, quella rappresentata dalle società più ricche, usufruisce della comunicazione a livello globale - osserva il sociologo Sabino Acquaviva -. Parlare di villaggio globale esteso ovunque è come confondere Wall Street con New York. Una gran parte del pianeta è ai margini del network mondiale delle comunicazioni. E le divisioni non passano più attraverso le classi ma attraverso aree regionali. Ciò che fa rivivere, in molti casi, culture locali che sembravano scomparse e riassorbite dagli Stati nazionali. In Sud America, ad esempio, mentre la cultura spagnola avrebbe dovuto avere una funzione di omologazione, si fa sentire la voce prepotente degli indios. E il fenomeno della Lega in Italia può essere letto in quest'ottica. Non solo, ma chi ha un quasi monopolio in importanti settori della comunicazione - come Berlusconi - e dovrebbe esprimere la cultura dell'intero Paese, non a caso si è alleato con chi rappresenta interessi regionali. Come la Lega al Nord e il Msi: quest'ultimo, pur presentandosi come partito nazionale, ha come serbatoio di voti e di simpatie il Sud». Nel suo ottimismo, McLuhan aveva visto una positiva evoluzione nel passaggio dalla fase di dominanza della radio a quella del video. E' una tesi che il politologo Gianni Baget Bozzo abbraccia con convinzione: «La radio è lo strumento caldo dei dittatori, aveva affermato McLuhan. Aveva ragione: con ///// M /M M lo strumento televisivo Mussolini e Hitler non sarebbero esistiti. La tv è democratica, mostra i difetti e abbassa il piedistallo su cui si pongono i protagonisti. La voce radiofonica, al contrario, ci arriva come quella di Dio. Berlusconi quando appare non è un teleproprietario ma un telepersonaggio: lui lo ha capito benissimo e adotta uno stile chiaro, diretto, a volte banale e a volte anche soporifero. Lui tratta la politica come la pubblicità. E ha visto giusto. La tv diventerà il nuovo modo Messori scava fra miti e « così non la pensa neppure il sociologo delle comunicazioni di massa Alberto Abruzzese: «Lo sviluppo delle tecnologie informatiche porta con sé la crescita anche di una serie di strumenti, il più banale è il telecomando, che svolgono un ruolo di diaframma tra lo strapotere dei media e il libero arbitrio dell'individuo. Che può quindi cambiare, cancellare, ricomporre il menù che gli viene offerto. Quanto alla nostra tv di oggi, grande merito di Berlusconi è stato quello di rompere il "totalitarismo" di Stato, che si fondava su dei criteri molto rigidi. Certo il Berlusconi politico mortifica l'imprenditore televisivo che ha giocato un ruolo molto importante nello svecchiamento della nostra televisione. Anche se adesso la Fininvest fa propaganda per Forza Italia, in un contenitore televisivo esiste una miriade di saperi, e di anticorpi, che obbediscono alle leggi del mercato e dei consumi. Quando la propaganda è smaccata escono personaggi, come Funari, che non stanno alle regole: «E' meglio che i settarismi si moltiplichino, che non vi sia un solo Santoro o un solo Ferrara». «Ero in America come corrispondente dell'Espresso quando uscì il libro di McLuhan - ricorda Corrado Augias - e fu per me una vera rivelazione. Ma oggi invece sappiamo che McLuhan, per quanto brillante teorico, non ha azzeccato la diagnosi e che non era poi tanto vera quella presunta scoperta secondo cui il tubo catodico aveva il potere di amalgamare e omogeneizzare tutto, dalla guerra nel Vietnam ai pannolini. E, di conseguenza, non è nemmeno vero che il potere televisivo debba necessariamente esercitarsi in modo totalitario. Non credo, ad esempio, che questo sia il caso di Berlusconi». Ma c'è anche chi si rifiuta nel modo più assoluto, come Omar Calabrese, di dare la pagella in futurologia a McLuhan, negando che sia stato profeta di alcunché: «Analizzava semplicemente i fenomeni del proprio tempo. La sua idea del "villaggio globale" è arrivata sulla scia di un dibattito già esistente sul predominio mondiale del cinema e della tv americani e sui pericoli di colonizzazione culturale di una buona parte del mondo. Certo, molto di quel che McLuhan sosteneva allora rispetto ai "nuovi" media, è valido anche oggi, come la banalizzazione dei contenuti, l'universalismo che smussa tutte le diversità. Su una cosa mi sembra che McLuhan abbia certamente sbagliato, quando cioè sostenne che la tv era un mezzo freddo; al contrario, mi sembra che sia il più emotivamente coinvolgente di tutti». battiti politici non si svolgono più, quasi per nulla, nelle sezioni di partito o nelle piazze, surclassate da «Samarcanda» o da «Uno contro tutti» di Maurizio Costanzo. Però è anche vero che le forze politiche, cambiati i mezzi, e spesso anche le sigle, rimangono le fondamentali titolari della mediazione democratica. E allora? «Le previsioni di McLuhan oggi si sono avverate solo in piccola misura. Lo saranno completamente tra trenta o quarantanni - osserva il direttore di Raitre, Angelo Guglielmi -. In attesa del suo futuro "globale", sono possibili molti stadi intermedi e molti compromessi. Nel mio lavoro, a dispetto dell'affermazione di McLuhan che il "mezzo è il messaggio", ho sempre cercato di piegare il primo ai miei obiettivi. Ho utilizzato la televisione più che come uno strumento "freddo" come un mezzo caldo, cioè come una penna, un linguaggio che mi è servito per favorire gli incontri, per rompere le solitudini. In Italia c'è fin d'ora la necessità di uscire dal monopolio a due teste Rai e Fininvest con un vero pluralismo di emittenti che non facciano capo alla stessa proprietà». «L'uomo che oggi è in armonia con il suo ambiente, l'uomo ben adattato è un robot: la sua umanità gli è stata strappata ed è rimasto soltanto un servomeccanismo», scriveva Wyndhan Lewis, teorico dell'arte e della comunicazione. L'uomo del «villaggio globale» è dunque destinato a diventare un terminale di computer, un apparecchio ricevente, un videodipendente e nulla più? McLuhan non arrivava certo a queste conseguenze estreme. E Omar Calabrese Da sinistra Baget Bozzo e Sabino Acquaviva ///////// s Mi ■/,y.U\,\y ,;■ di far politica. Si potenzieranno le figure istituzionali, i referendum e scompariranno i partiti. La tv ha ricreato l'agorà greca, la democrazia diretta che si sostituisce a quella rappresentativa». Quanto è lontano ancora il futuro preconizzato da Baget Bozzo sulla scia di McLuhan e considerato piuttosto lontano da Acquaviva? Siamo ormai prossimi all'estinzione dei partiti e al dominio assoluto della tv? Per certi versi quello scenario appare già realizzato. I di¬ «leggende nere» della Prelatura: nuovi documenti in un libro Mondadori Mirella Serri

Luoghi citati: America, Italia, New York, Sud America, Vietnam