Appello per i progressisti di Maria Grazia Bruzzone

Appello per i progressisti Appello per i progressisti Achille e l'ombra di Silvio ROMA. Anche se il polo progressista «non convince del tutto», anche perché «non ha saputo evitare, nelle candidature, vecchi criteri partitici», resta «l'unico ad aver indicato una chiara propensione per un governo di continuità con l'opera di risanamento avviata da Ciampi ed è questa l'unica vera garanzia di competenza, serietà ed efficienza che può essere messa al servizio di un Paese sofferente ed inquieto». Lo dice un'appello firmato da esponenti del mondo imprenditoriale e della cultura tra cui Luciano Benetton, Norberto Bobbio, Umberto Eco, Furio Colombo, Ettore Gallo, Margherita Hack e Paolo Sylos Labini. Altri intellettuali, tra i quali Camilla Cedema, Grazia Cherchi, Vincenzo Consolo, Dacia Maraini, Antonio Tabucchi e Paolo Volponi hanno firmato un appello contro «il rigurgito della destra e l'aggressione psicologica di nuovi persuasori nei confronti di un pubblico stordito dagli spot», [r. i.] La Rai elettorale è di nuovo sotto pressione. E in prima fila a sparare ci sono i popolari del centro. Il capogruppo del ppi Bianco che accusa i vertici Rai di «attuare una vera e propria controriforma che trasforma il servizio pubblico in un dominio di gruppi monoculturali». Sotto accusa persino titoli come «O di qua o di là» che inviterebbero a trascurare il Centro. Anche a spiegare la decisione della Commissione parlamentare è un popolare, Franco Ciliberti. «Come commissione abbiamo chiesto la sospensione negli ultimi 30 giorni di progranmmi come Tunnel, Schegge e Blob perché c'è modo e modo di fare satira» spiega grave, aggiungendo un invito al Garante 10 iiii»™™* ■ filt tti cette pidiessine contro la crisi. Ha preferito attaccare le altrui, ripetendo come disco incantato il nome del Nemico: Berlusconi, Berlusconi. In chiusura Fini, abituato a ricevere ben altre attenzioni da sinistra, s'è ironicamente lamentato: «Sei diventato monomaniacale - ha sbuffato rivolto al collega - capisco che avresti voluto Berlusconi al posto mio, ma insomma...». Il vero «miracolo» di Berlusconi è consistito nell'occupare in poche settimane il centro della scena politica, nel «berlusconizzare» rapidamente alleati e avversari. Non era ancora «sceso in campo» e già il villone di Arcore veniva legittimato a magna sede della politica nazionale dal viavai di leader pellegrini. Oggi il Cavaliere può anche permettersi di vincere i «faccia a faccia» televisivi senza parteciparvi. «Domani, si vedrà» ha pronunciato minaccioso Occhetto, con ammirevole ottimismo della volontà. In questo clima da Rocky III («ti spiezzo in due»), Berlusconi ha raccolto platealmente il guanto di sfida occhettiano. Difficilmente invece accetterà di farsi incastrare da un esperto di economia come Luigi Spaventa. In attesa dell'incontro del secolo, si possono ricordare due tre regole in vigore nei network americani. I contendenti debbono poter disporre dello stesso tempo, calcolato con un cronometro e non a spanna come da noi. Al pubblico non è consentito abbandonarsi al tifo da stadio: urla, fischi, risate, battimani e ole. Infine, i candidati presenti non citano di norma i candidati assenti, per esempio in un Clinton-Bush non ci si occupa della politica di Perot (questa, in effetti, da noi è utopia). Negli Stati Uniti, in generale, il western resta un genere cinematografico. Santaniello perché non si faccia scappare i peccati della concorrenza: «Come la servile intervista di Pelegatti a Berlusconi, nell'ultimo Pressing». «Trasmissioni in contrasto col codice di autodisciplina che la Rai si è data» spiega il presidente ppi Luciano Radi, riferendosi alla satira incriminata. Il vicepresidente Verde Paissan, si dissocia, suggerendo caso mai di autoregolamentare anche quella, come l'informazione. Il pidiessino Rognoni dichiara di «accettare a malincuore la decisione». E sulla nuova richiesta di censura, arriva una valanga di critiche. «Così si riequilibra la situazione», ironizza Walter Veltroni, alludendo alle polemiche sui tagli nottur¬ ni che favorirebbero il Tg3. Michele Serra è d'accordo con Berlusconi quando afferma che i dibattiti elettorali andrebbero moderati dalla sola clessidra. «Ma tutto il resto è irregolamentabile». Staino evoca «i regimi oscurantisti di Luigi Filippo e del fascismo». Lapidario Funari: «La satira politica convince i convinti, entusiasmandoli e irrita i non convinti, non convincendoli». E Giuliano Ferrara sconsolato commenta: «Questa campagna elettorale doveva essere il trionfo di un sano antagonismo ma si sta spegnendo in un sonnacchioso galateo per educande». La Rai oscilla silenziosa davanti agli attacchi. E' ormai sera quando i vertici incontrano il sindacato dei giornalisti che minacciano anche loro agitazioni per l'annunciato black-out notturno. E quando Locatelli prende carta e penna per rispondere a Radi. «Caro presidente, è senz'altro condivisibile la sua preoccupazione che le trasmissioni di satira politica non diventino elementi di interferenza nel delicato periodo elettorale, pur nella insopprimibile libertà che contraddistingue ogni società democratica». E promette che Tunnel, Blob e Schegge escluderanno «tutte le immagini, espressioni cariturali, situazioni satiriche collegate o collegabili alla scadenza elettorale». Non restano che le Alpi. 10■ i finalmente, a tanti m anni dal piano Marshall, abbiamo anche noi i «faccia a faccia» televisivi. Come l'America, wow. La regola è che bisogna dire subito chi ha vinto. Stavolta è facile. Il primo faccia a faccia del mese elettorale, Occhetto-Fini a «Milano, Italia» se lo è aggiudicato Silvio Berlusconi. L'ombra pettinata del Cavaliere incombe sul teatro dello scontro fin dalla prima inquadratura, che presenta Occhetto, Fini e Deaglio in versione kit del presidente: giacca blu, distintivo all'occhiello, camicia azzurrine e scarpe inglesi (la cravatta, per ora, è libera). I discorsi sono in tinta. La trasmissione dura 55 minuti, Occhetto tiene banco per meno di venti e riesce a nominare Berlusconi 26 volte. In media, ogni cinquanta secondi. Ben oltre 11 tetto Cee per gli spot. Il più accorto Fini cita l'alleato soltanto sei volte (in altre quattro occasioni preferisce parlare di «Forza Italia»). Nella hit parade del presidente, segue Deaglio con quattro citazioni e Bebee Tarantelli candidata della sinistra tra il pubblico - con due, una divertente: «Berlusconi? Uno che sta cercando di vendere il Colosseo agli italiani», detto da un'americana. Se la pubblicità è diventata l'anima della politica, come in molti sospettano, Occhetto ha reso un gran servigio al suo avversario. E dire che gli argomenti del contendere non sarebbero mancati: sanità, scuola, tasse. Ma i primi due vengono liquidati in poche battute, il terzo quasi ignorato. In ossequio alla scarsa attenzione (o scarsa preparazione?) dei nostri politici, anche i più abili come Fini, verso i decisivi temi economici. Neppure Occhetto, reduce dalla tournée liberista in Europa, con tappa nella nuova Mecca della politica italiana - la City londinese - ha voluto illustrare le ri- Maria Grazia Bruzzone

Luoghi citati: America, Arcore, Europa, Italia, Mecca, Milano, Roma, Stati Uniti