Arte il nuovo è un paradosso
Un secolo di estetiche impossibili Un secolo di estetiche impossibili Arte, il nuovo è un paradosso ¥ il ARTE moderna, spina I / centrale della coscienza -, moderna, è paradossale. La il sua parola d'ordine è stata a MAj lungo «fare del nuovo». Vattimo ha definito la modernità come l'epoca della riduzione dell'essere al novum, l'epoca in cui senza esserlo sempre stato - il nuovo si propone come valore. Baudelaire invocava «l'avvento del nuovo», Ezra Pound urlava il suo «make it new» e Valéry parlava di «superstizione del nuovo». Poco resta oggi di quel dogma, sorta di estenuante idolatria moderna. Forse soltanto quello che Nietzsche chiamava l'eterno ritorno, l'identico che torna travestito. L'espressione «tradizione moderna» ha un senso paradossale la cui storia è contraddittoria e negativa. Analizzarla equivale a ripercorrere la strada delle sue aporie insanabili. E' il viaggio che Antoine Compagnon compie nel suo / cinque paradossi della modernità, (il Mulino), come percorso tra i paradossi dell'estetica del nuovo, momenti di crisi di una tradizione costituita da contraddizioni irrisolte. La prima stazione definita della «Superstizione del nuovo», viene collocata da Compagnon al 1863, anno del Déjeuner sur l'herbe e delì'Olytnpia di Manet e ad un arco di tempo contemporaneo di Baudelaire la cui idea di nuovo è agli antipodi del «bisogna essere assolutamemte moderni» proclamata da Rimbaud. Compagnon nell'analizzare il secondo paradosso che chiama «La religione del futuro» inizia col distinguere tra modernità - luogo dei valori del presente - ed avanguardia intesa come coscienza storica del futuro in anticipo sul tempo. I primi moderni non avevano fiducia nel tempo né nella storia. Il loro eroismo è quello del presente e si sostanzia di due componenti contraddittorie: negazione ed affermazione, nichilismo e futurismo. L'avanguardia sostituendo il pathos del futuro all'assenso per il presente incarna uno dei paradossi in questione. Esemplare è la teoria generale del modernismo proposta dal critico americano Clement Greenberg per render conto dell'evoluzione della pittura da Manet a Pollock. Egli fa dell'idea di autocritica (come critica della pittura) il fondamento dell'arte moderna. Arte come ricerca di assoluto, del grado zero, dell'appiattimemto, della Plainéité, della continua Purificazione. S'avvia così una tradizione teleologica per la quale - ad esempio - i collages cubisti sarebbero da leggere come superamento «dell'ambizione artistica imbecille» di Cézanne verso l'appiattimento della pittura che usa il collage come puro procedimento formale. Storicismo genetico e militanza estetica sono due aspetti della stessa illusione progressista. Cézanne è «messo a posto» da Greenberg anche per insufficienza teorica, egli dà - in un certo senso - il via ad un altro dei paradossi (il terzo) definibile del «terrorismo teoretico», la cui pratica è tendente a sottomettere l'arte ad idee, filosofie, politica o - comunque - a sistemi e dunque a schemi. E' proprio il terrorismo teorico che rassicura le avanguardie sulla loro necessità storica. L'astrattismo di Kandinskij o Mondrian rivela la sconcertante corrispondenza tra teoria e pratica. Arte astratta comepratica metafisica, religiosa, sostenuta da dottrine intrise di spiritualismo che tendono a conferirle senso, arte che approderà con Malevic al rifiuto di ogni senso nella singolare combinazione di nichilismo e di astrazione estrema. Mentre l'astrattismo si nutriva di teorie filosofiche antiquate, il surrealismo con le sue dichiarazioni teoriche radicali produceva curiosamente opere accademiche e passatiste. Si pensi a Dall', De Chirico, Magritte o Delvaux. Se tutta la tradizione moderna del XIX secolo e le avanguardie storiche hanno reagito contro un'idea d'arte avulsa dalla società lottando contro l'idea borghese di sacralizzazione del genio, le esperienze del dopoguerra procedono spedite verso i paradisi artificiali della connaisseurship, dell'elite, dei musei, della critica e delle gallerie, accentuando il divario tra cultura high e cultura low. Da Parigi a New York dopo il 1945 il predominio degli Usa pone in secondo piano cultura e vocazione politica dell'Europa. D'ora in poi l'arte si farà a New York. Espressionismo astratto che si radica sui ruderi del surrealismo e dell'astrattismo europeo e che produrrà un'arte puritana, asettica: l'arte ufficiale delle grandi corporations d'oltreoceano. La lettura che Greenberg fa - ad esempio - dell'opera di Pollock risulta deviante. Le pulsioni, le emozioni, il gesto e la disperazione vengon lette come l'ultima metamorfosi del formalismo critico, dell'arte di élite consacrata dal mercato nella diabolica corrispondenza di valore-prezzo. Con la Pop si vive l'illusione della finta democratizzazione, la presunta fine della noia e della religione dell'arte. La Pop anticipa e sfrutta il proprio recupero attraverso i meccanismi del mercato, obbliga io spettatore ad accettare la riduzione dell'istituzione al mercato (quarto paradosso). Marcel Duchamp aveva svuotato la creazione del suo mistero ed aveva fatto dell'artista un artigiano, un «piccolo imprenditore». Il Ready Made ne fa un artista senza committente, uno che produce oggetti indifferenti la cui presenza ci parla tra l'altro dell'arbitrarietà del valore in arte. Dopo l'espressionismo astratto, ultima forma d'arte d elite, la società degli Anni 60 era pronta ad accogliere un'arte di più rapido consumo. Questo è - forse - il senso della disponibilità alla moltiplicazione serigrafica in Warhol. Negli Anni 80 il postmodernismo invade anche le belle arti stanche delle avanguardie, deluse dalla tradizione della rottura, sempre più integrate al feticismo delle merci. Per Compagnon, quinto paradosso o «la passione del rinnegamento», il postmoderno non si contrappone alla modernità baudelairiana bensì all'ideologia della modernità, alla modernità come ideologia e forse si propone come la vera ideologia della società dei consumi. Nelle arti figurative si parla di postavanguardia 0 di transavanguardia, si usa la citazione, si esalta la soggettività dell'artista. L'arte procura piacere allo spettatore ed è meta dell'inautentico piuttosto che dell'originalità. Compagnon s'avventura a distinguere una sorta di buona postmodernità che avrebbe da fare con l'idea baudelairiana, da una cattiva postmodernità (acritica) sorta di eterno kitsch. Egli mette in chiaro che non è che «tutto vada bene»: piuttosto, non si può più rifiutare un'opera con la scusa che sarebbe superata o retrograda. La fede nel nuovo, propria delle Avanguardie, poggiava su tante contraddizioni e si è per questo autodistrutta. Sorta di cerchio che si chiude. Dalla rottura con la tradizione alla tradizione della rottura sino - col postmoderno - alla rottura con la rottura. Per Compagnon il retaggio della tradizione sotto forma di mestiere si è dissolto: si può essere pittori anche senza saper dipingere e l'arte abolisce ogni confine tra ciò che è o non è accettabile. Se è inaccettabile la dottrina del progresso, se vien meno la coscienza storica, come evitare il «tutto va bene»? Compagnon sbrigativamente parla d'Ironia, incerto e nebuloso approdo che lo conduce a scegliere quegli artisti che «non si sono lasciati ingannare dalla modernità». C'è da temere che - in questo modo - la salvezza postmoderna usata ed abusata risulti nient'altro che l'estrema, incerta propaggine della modernità defunta. Ugo Nespolo
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