«Troppi pentiti inchieste paralizzate» di Fulvio Milone
«Troppi pentiti, inchieste paralizzate» «Troppi pentiti, inchieste paralizzate» Cordova: pochi magistrati, non riusciamo a raccogliere le confessioni NAPOLI. Il pentimento di Carmine Alfieri, il boss dei boss della camorra, il Totò Riina della mala che prospera all'ombra del Vesuvio, rischia di non servire a niente. Parola di Agostino Cordova, capo della procura della Repubblica di Napoli, che ammette con inquietante chiarezza di non avere uomini a sufficienza per affrontare l'esercito ormai imponente dei collaboratori della giustizia: «I magistrati addetti alla lotta alla camorra sono soltanto tredici. E' assolutamente inutile che i colleghi continuino a interrogare i pentiti mattina, pomeriggio e sera se poi i verbali languono in attesa che qualcuno possa svilupparli». Sono duecento i camorristi che fino ad oggi hanno deciso di svelare tutti i segreti della «camorra spa». Attualmente i giudici napoletani ne stanno ascoltando cinquanta, tra i quali, naturalmente, Alfieri. «L'organico dell'ufficio che dirigo - spiega Cordova - dovrebbe essere almeno raddoppiato, eppure si continua a mantenerlo ad un livello assolu¬ tamente inadeguato. Se fino a ieri eravamo prossimi al collasso, con le nuove confessioni di Alfieri saremo completamente paralizzati». Il capo della direzione distrettuale antimafia, Paolo Mancuso, rincara la dose: «Molte confessioni offrono sviluppi investigativi importantissimi, come il coinvolgimento nel settore dell'imprenditoria di grosse organizzazioni criminali. Purtroppo, in alcuni casi, siamo costretti ad accantonare le indagini». Ed ecco la conclusione, che suona quasi come una resa: «Siamo ad una svolta storica: ci sarebbero tutte le condizioni per assestare un colpo definitivo alla camorra, ma corriamo davvero il rischio di non essere in grado di vincere la guerra». Alfieri, che vive in una località tenuta segreta sotto strettissima sorveglianza, sta facendo luce sui misteri della sua organizzazione: parla dei collegamenti fra malavita, politica e pubblica amministrazione, racconta gli ultimi quindici anni di storia della camorra in Cam- timento, che il boss ha preso poco più di un mese fa. Cordova ripete ancora una volta che la scelta di Alfieri non è da collegare in alcun modo con il proclama lanciato il sei febbraio scorso dal vescovo di Acerra, don Antonio Riboldi, in favore dei camorristi che avrebbero intenzione di arrendersi allo Stato. Nei confronti del prelato, il procuratore usa parole dure: «Qualcuno ha evidentemente approfittato della sua buona fede. L'iniziativa della Curia di Acerra è certo anomala, perché non si capisce quale sia il confine fra attività pastorale, investigativa e giudiziaria». Don Riboldi non replica alle critiche: «Litigare non serve a niente», dice, e conferma una notizia trapelata nel palazzo di giustizia: il vescovo ha ricevuto una lettera dal carcere firmata da Angelo Moccia, un camorrista che avrebbe intenzione di dissociarsi. «Andrò a trovarlo presto», annuncia don Riboldi. li procuratore di Napoli, Agostino Cordova pania. Durante gli interrogatori teorizza «la fine di una fase storica», ammette che «gli apparati repressivi dello Stato hanno inferto colpi terribili alle organizzazioni criminali» e che «la società deve recuperare il rispetto delle regole». 51 anni, sposato, quattro figli, «Don» Carmine ha cominciato a trattare la sua resa l'estate scorsa, quando era detenuto nel carcere di Pianosa. Il dialogo con i magistrati napoletani si è fatto sempre più concreto fino alla decisione finale, quella del pen¬ Fulvio Milone
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