L'IMPRESA IMPOSSIBILE DELLA RAF

Estero LA STAMPA Merc L'IMPRESA IMPOSSIBILE DELLA RAF SLONDRA YDNEY Dowse ha giocato alla roulette con la propria vita e, adesso, non c'è da stupirsi se si è stabilito a Montecarlo. Ha 75 anni ed è un ex pilota della Raf. Confessa che la guerra lo ha divertito: «Anche la prigionia fu una vera e propria sfida». Dice: «Non mi è mai piaciuto partecipare alle riunioni di ex prigionieri, ma mi sono sempre detto che, se fossi stato ancora vivo, avrei partecipato ai festeggiamenti per il 50° anniversario della "Grande Fuga"». Cinquant'anni fa, il 24 marzo 1944, in una notte nevosa e senza luna, Dowse faceva parte del gruppo dei 76 prigionieri alleati che fuggirono dallo «Stalag Luft III», in Slesia, un campo tedesco per piloti. La maggior parte dei fuggiaschi erano ufficiali inglesi, ma anche gli altri - canadesi, australiani, neozelandesi, polacchi, cecoslovacchi, norvergesi, oltre a un lituano e a un greco - avevano i galloni. Dowse ci tiene a sottolinearlo: la «Grande Fuga» avvenne dalla baracca degli ufficiali e non da quella vicina, dove, l'anno precedente, era partita l'idea ingegnosa della fuga con il «Cavallo di legno». La sua insistenza lascia trasparire quale spirito competitivo abbia animato quegli uomini: anche se prigionieri, gli ufficiali si sentivano in dovere di distinguersi da tutti gli altri. L'impresa fu la maggiore nel suo genere nel corso di tutta la Seconda guerra mondiale e il tunnel che venne scavato fu probabilmente il più lungo mai realizzato per questo tipo di fuga, una meraviglia di ingegneria, realizzata a nove metri di profondità ed estesa per oltre 100 metri, che partiva da un nascondiglio nell'alloggiamento 104 e arrivava ben al di là del perimetro del campo. Originariamente, la fuga avrebbe dovuto essere ancora più massiccia. Quella notte, erano pronti 200 uomini - e infatti molti avevano parlato di «Operazione Fuga 200» -, ma il tunnel non riuscì a contenerli tutti. Di coloro che uscirono all'aperto - 76 -, solo tre riuscirono a sfuggire alla caccia all'uomo che seguì. Per ordine personale di Adolf Hitler, 50 fuggiaschi furono fucilati dalla Gestapo. Il giorno dopo, nel campo apparve un manifesto: «Ormai la fuga non è più uno sport». Il tempo ha distorto gli aspetti più brutali di tutta la vicenda. Ciò che è passato alla leggenda popolare è il tunnel, la preparazione della fuga e la fuga stessa. Il nome di «Grande Fuga» fu coniato nel 1951, grazie al titolo del libro di Paul Brickhill, un giornalista che fu rinchiuso nello «Stalag Luft III». Poi - se lo ricordano tutti - arrivò il film con Steve McQueen, con la famosissima scena sul sidecar in aperta campagna. Dei 23 che caddero nelle mani della Gestapo ma che sopravvissero alla rappresaglia, 14 si apprestano oggi a celebrare il 50° anniversario della grande impresa. «I sopravvissuti dei sopravvissuti», si definiscono scherzosamente. In realtà, non si sono mai più incontrati, perlomeno tutti insieme. Ne avranno finalmente l'occasione il 25 marzo, per la prima e forse per l'ultima volta, per una messa nella chiesa della Raf, a St. Clement Dane's. Due dei sopravvissuti che si sono tenuti in contatto nel corso degli anni sono stati gli ex piloti Douglas Poynter e Peter Fanshawe. Sebbene non sia mai fuggito, Fanshawe era stato nominato «Capo dell'Occultamento»: era lui che dirigeva le operazioni per nascondere le tonnellate di sabbia prodotte dallo scavo. Poynter, che invece fu uno dei fuggiaschi, era il suo vice. Fanshawe, purtroppo, è morto poche settimane fa. Oltre alla messa a Londra, alcuni degli «ex» andranno a visitare lo «Stalag Luft III», vicino a Zagan, oggi in Polonia. Le cerimonie saranno un'impresa di non poco conto, proprio come la «Grande Fuga». La complessa organizzazione per la messa di suffragio è compito di Dowse. Visti i Estero «Lavorammo per un anno per scavare un tunnel di un centinaio di metri nascondendolo alle SS»

Persone citate: Adolf Hitler, Clement Dane's, Douglas Poynter, Luft Iii, Paul Brickhill, Peter Fanshawe, Raf, Steve Mcqueen

Luoghi citati: Londra, Montecarlo, Polonia, Slesia